"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

lunedì 6 giugno 2011

Di tutti e di nessuno.

E' freddo fuori. Del resto gli inverni sono nati freddi e muoiono freddi. La pioggia sta allagando le strade. Il porfido su cui camminiamo io e lei è così lucido da rifletterla nella sua giacca nera. Apro un ombrello. Proprio io che gli ombrelli li odio e non li voglio mai con me. E' così suggestivo sentire l'acqua fredda che bagna la pelle. Comunque l'ombrello va aperto. La pioggia battente sulla pelle nuda piace solo a me. Lei teme i capelli ricci. Siamo usciti da un posto giallo e buio insieme, dal rumore di troppe voci che si sovrappongono e dagli umori scomodi di persone che non sopportiamo più stasera.
Io sono eccitato all'idea di fare a piedi con lei quattro chilometri di asfalto umidiccio e di gocce che si rompono sul nylon dell'ombrello. C'è un'intimità rara sotto quella cupola, un'unione di pensiero e corpo che prima d'ora non ho mai provato con lei. E' la volta buona. Stavolta mi dice di sì. Stavolta la smette di fuggire. Questo sto pensando. Stavolta la smette una volta per tutte di farsi rincorrere, la smette di sorprendermi con i suoi abissi di amore puro che vanno sempre oltre la carnalità. E invece fra le poche parole che scorrono questa sera, lei si lascia scivolare dalla tasca un piccolo frammento che io porterò per sempre nella testa. Accade tutto talmente in fretta che io nemmeno faccio in tempo ad accorgermene. Non posso nemmeno posarle un dito sulle labbra e lasciare che non pronunci quelle parole. Quando le chiedo perché ancora una volta non possiamo essere noi, lei si ferma. La cupola va in frantumi in quel preciso istante. Si ferma a guardarmi. Mi accorgo che da quando siamo usciti dal locale abbiamo parlato senza guardarci, solo stretti uno vicino all'altra e cercando di lasciare fuori dalla cupola tutti i rumori del mondo.
Ora con un fragore che mi lascia quasi impaurito, nulla mi protegge più dal mondo, dagli altri, dalla vita quella cattiva, quella che ti si mette davanti a braccia incrociate e non ti fa passare. Poche parole che mi porterò dentro per sempre. Sono di tutti e di nessuno. La sintesi che lacera la carne e lascia un segno perenne. E' un marchio a fuoco su cui la pelle non ricrescerà mai. Io sono di tutti e di nessuno. Io sono per tutti e per nessuno. Ancora oggi.

3 commenti:

  1. Sentito, fino all'ultima tegola caduta sulla testa

    Fra

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  2. Toccata nel profondo dal tuo racconto

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  3. Proprio quando ti fanno un tatuaggio indelebile sul cuore..è proprio così per sempre.
    Complimenti!

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