"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

sabato 24 marzo 2012

Niente aragoste per colazione.

 Ci arrampichiamo lungo il budello male imbiancato che sale ripido, pare il cunicolo scavato da una talpa ubriaca. Arranchiamo come salmoni controcorrente, è in occasioni come questa che ringrazio dio per avermi dotato di gambe magari corte ma robuste, lo dico sempre che lui sa quello che fa, sebbene a permettere che il serpente intortasse Eva abbia di certo commesso un'imperdonabile cazzata. Ma Paolo Pà sacramenta pesante, le sue sono lunghe ma gracili, e non è certo uno che le cose le manda a dire, non protesta timido ai cancelli del paradiso, lui butta fuori tutto il marcio che ha dentro senza guardare in faccia nessuno.
La casa è vecchia, i muri sono di quelli sbiechi, spessi un buon mezzo metro ripieno di canniccio e pietrame, male intonacati con lo zoccolo dipinto, istoriati con cazzi giganteschi e vagine pelose, numeri di cellulare fittizi a seguire offerte gratuite di prestazioni oscene scandalosamente generose. Rampa dopo rampa mi convinco che dio dopotutto non è stato munifico nell'imprimere vigore alle mie membra inferiori, così, fiato permettendo, comincio a bestemmiare pure io.
E' una grotta umida e buia, fetida di cavoli bolliti e purè stantii, ai lati si susseguono poveri usci dalla vernice scrostata, tristi e deprimenti, e ti viene proprio da piangere quando in cima, dopo aver bussato al portoncino più malandato del tugurio, ad aprire è Pipino Mutanda in imperfetta persona, in calzoncini da basket di raso giallo fluorescente, troppo larghi per le sue gambe scarne avviluppate da una rete di vene varicose, che come una mala pianta s'intorcono e s'aggroppano d'intorno fruttando disgustose bolle blu. E ciabatte da spiaggia arancione stinto, consunte e rotte, rattoppate alla meno peggio, alla belino di cane per la verità, con del nastro isolante bluastro, e una maglietta sghemba, ovunque bucata da braci di canna franate, e occhiali scheggiati, storti sul naso ricoperto da grossi punti neri gonfi pronti ad eruttare catramosa seborreica materia.
E barbetta rada che farebbe vergognare una capretta affetta d'alopecia.
-Entrate, entrate. Sono felice che siate finalmente venuti.
Colgo qualcosa di strano in lui, non l'ombra di un sorriso o un'arguzia, il personaggio prevede un copione del tutto diverso, battute spumeggianti e manate molli sulle spalle, stupidi risolini laidi che Paolo Pà chiama scoreggette liquide. Eppure sembra contento della nostra venuta, è che oggi è un cane bastonato di suo. Siamo passati per portarcelo via, ché sono due settimane che la mena al telefono, insistente come il bruciore di stomaco. Si è appena trasferito qui a Rapallo, voleva che vedessimo la nuova casa, e si diceva stressato, bisognoso di scambiare quattro chiacchiere con i vecchi amici, di fare rotta con loro per i locali migliori sbevazzando cocktail all'ultima moda. Ha traslocato per potersi godere in pace la sua nuova relazione sentimentale. Lui e lei non ne potevano più di convivere con il genitorame del Mutanda, i litigi furiosi erano all'ordine del giorno, peraltro cosa del tutto normale questa. E che si fosse portato l'oggetto del suo amore a vivere in cameretta era consuetudine già quando frequentava le medie. Forse il problema era Barbarella, la figlia tredicenne di lei, che dormiva sul divano, o che lei, Bru è il nome, viaggi per la quarantina, cioè abbia almeno dieci anni di troppo, o che sparisse per giorni senza curarsi di avvertire nessuno, tanto meno la figlia. O forse era perché Pipino, gelosissimo, si era ridotto ad uno straccetto dagli occhi gonfi sempre furenti. O forse le cose giravano come giravano perché la saggia madre del Mutanda aveva capito che la Bru, nonostante il figlio gliela avesse presentata come assistente sociale, di mestiere faceva in realtà la puttana.
Un mese fa siamo andati in tre a stanare la Bru a venti chilometri di distanza, a casa di un vecchio amante, dopo che Pipino aveva trascorso le due notti precedenti a fare il medesimo percorso a piedi, trascinandosi dietro la povera Barbarella, sempre muta mentre lui si faceva afono sbraitando contro il cielo. Pipino ha suonato alla porta, ha bussato in lacrime gemendo forte, e noi in macchina abbiamo starnazzato a lungo con il clacson, niente, l'unica cosa ottenuta è stato lo spegnimento di ogni luce della casa. Al ritorno il Mutanda ci ha mostrato con generosità nuovi livelli di degenerazione mascolina a cui non avevamo mai neppure pensato, ci ha aperto la mente su universi totalmente inediti.
Così Pipino ha obbligato i genitori a comperare a rate mobili usati, e a fornirlo di fruscianti contanti per la caparra per queste mura semi ammobiliate, due zerbini, quando ne sarebbe bastato uno, ed un tavolo a tre gambe senza sedie. Poi l'ha convinto a cambiare mestiere, lei ora nei fine settimana lavora dietro il banco di un panificio, lui è il solito diversamente occupato, beve, sproloquia, si fa d'erba e di ogni altra sostanza che abbia l'ardire di avvicinarglisi troppo, quindi in casa di soldi ne entrano davvero pochini e corrono via veloci.

Pipino ci fa strada per il corridoio rischiarato da una lampadina fioca che pare un lumino da morto.
-Potete salutare la Bru, è in salotto a giocare a briscola con un nostro amico carissimo che abita qua sotto.
Ed eccolo il salotto, che pare la cuccia del cane, la poltrona di velluto smangiato è macchiata, il tappeto liso con le frange solo da un lato, forse è stato posto rimedio ad un buco tagliandolo via malamente, si capisce che vorrebbe parlare persiano ma ha chiaro accento cinese, e il tavolo ustionato con continuato sadismo da sigarette dimenticate accese dai precedenti proprietari, quando collassavano per il troppo bere o per le polverine inaspettatamente pure.
La Bru ci beneficia di un sorriso distratto, troppo impegnata a decidere se giocare o meno il due di picche. La solita carne grigia, stinta come logora carta da parati, non sembra una che possa darla via in cambio di soldi. Energica ed insignificante come una foglia morta, un arnese vecchio nato brutto, anzitempo graffiato e offeso, un ammennicolo che dove lo metti rimane, anche se capisco che quando ti volti si muove piano, segretamente, persino di sua iniziativa.
-Ciao Bru.
-Ciao.
-Lui è Alfio.
-Salve Alfio.
-Contento di conoscerti Alfio.
-Salve ragazzi. Ci siamo già visti da qualche parte?
-Non mi pare Alfio.
Accenna ad alzare il culo dalla sedia traballante, le gambe neppure distese, china il capo come per un inchino e bofonchia. Ricciolino, indossa una camicia spiegazzata a quadri rossi, che dalla puzza di sudore rancido si direbbe testé recuperata dal borsone da ginnastica, dopo settimane di convivenza con le peggiori magliette e le scarpe più mefitiche dei dintorni. Gli mancano due denti, e ha mani gigantesche che paiono tenaglie rigonfie, utilissime a frantumare l'esistente ma certo un problema durante il sacro rito della masturbazione.
-Eppure mi sembrate famigliari. A qualche concerto magari...
-Può essere. Che musica ti piace Alfio?
-Adoro Marco Masini, è forte davvero.
-Interessante, eppoi?
-Ascolto un sacco Ferradini.
-E chi è?
-Quello che cantava Teorema. Ti ricordi? Prendi una donna trattala male...
-Ah sì, certo, facevo le medie mi pare, o quarta ginnasio. Mitica. E che altro ha fatto?
-Non lo so, credo non abbia fatto altro.
-Ah, possibile.
-Dai venite di là! Vi verso un vinello rosso speciale che urla tracannami, me lo sono fatto spillare apposta per voi in una cantina qua vicino.
-Allora ciao Alfio. Ciao Bru.
-Ciao, ci si vede.
-Ciao anche a voi.
-Ciao alla prossima.
-Sì vabbè, andiamo solo in cucina, magari se c'è il tempo ci salutiamo dopo.

La cucina, beh, la cucina è un lavandino di pietra, dei tubi giganteschi imbiaccati corrono sul soffitto rubando aria e spazio vitale, dei pensili bianchi di smalto sbrecciato sono posati a terra su delle traversine di legno di dieci centimetri, che devi distenderti bocconi per un po' di zucchero, forse per non rovinare il muro, quello sì appena ridipinto di un giallino mais anemico, ed un tavolo con una sedia di legno e paglia, e delle tende virato seppia dopo anni di nicotina e sbroda di cane, quest'ultima ottenuta copiosa se l'animale eccitato vi si strofina ripetutamente contro.
-Scusate, vado un attimo di là a vedere se gli altri hanno bisogno di qualcosa, ma tranquilli torno subito.
Il vino fa schifo, il coraggio di guardarmi intorno si è esaurito, allora per un po' studio e invidio la selvaggia abbronzatura primaticcia di Paolo Pà.
-E' morto Lucio - dico.
-Lucio chi?- chiede
-Lucio Dalla.
-L'ho sentito dire.
-Mi dispiace.
-Anche a me, un sacco.
-Era brutto che pareva uno scarafaggio cagato storto ma non era il peggiore.
-Il peggiore è Vasco, era meglio se moriva lui.
-Eh già ma i peggiori non muoiono mai.
-Ehi raga arrivo subito, solo un attimo e arrivo da voi, devo dire una cosa alla Bru.
-Perché non gliela hai detta ora che eri di là?
-Parlava lei e mi sono scordato.
-Hai certe occhiaie viola che tieni fisse a terra, da quanto non dormi?
-A proposito Pippy, questo non è vino generoso ma birra fatta versando l'idrolitina nel piscio di vacca, a cui è stato aggiunto del colorante artificiale. Ormai è pure svanita. Fa schifo e te la bevi tu.
-Torno raga e vi risolvo il problema.

-Ci sono degli uccelli che borbottano, che titubano.
-Cosa hai detto?
-Ci sono degli uccelli che fanno strani rumori.
-Io non sento niente.
-Come dei volatili che fanno come dei versi, sbattono l'ali, volano, fanno vvrr brum brum frap, roba così.
-Forse sono i tubi.
-Che tubi?! I tubi mica volano.
-Hai ragione, non volano.

-Eccomi da voi. Mi fa proprio piacere avervi qui. Mostrarvi la casa nuova. Stare un poco assieme.
-Guarda che hai rotto il cazzo. Vai avanti e indietro, t'affacci sulla porta per dieci secondi e poi sparisci per cinque minuti. Non sei affetto da pendolarismo, qualunque cosa sia, lo sappiamo cosa stai facendo, li stai sorvegliando, non è vero? Ma se ti senti così poliziottesco non sarebbe più semplice ci trasferissimo tutti di là?
-La finiresti con la maratona.
-Non saprei... magari, ma li devo sorprendere sul fatto. Ragazzi scusate torno subito.

-Lo hai visto al Pippy? Era sul punto di piangere.
-E' a pezzi, bisogna trascinarlo fuori di qua.
-Non ce la facciamo, lo hai visto anche tu, ha la scimmia per la Bru, non è capace di pensare ad altro.
-Facciamoci un paio di canne mentre aspettiamo.
-Non si può, quel genere di cannoni alla Bru non piacciono, se il Mutanda ci becca fa l'isterico e ci butta fuori.
-Uniamo l'utile al dilettevole, facciamoci due cannoni.
-Resisti ancora un po'.

-Ehi raga...
-Fermo! Prima di blaterare ascolta, tu ci hai chiamato mille volte per uscire miniaturizzandoci i coglioni, ora ci siamo, siamo qui, il vino è una rumenta oscena e non lo possiamo bere, e se fosse stato solo passabile sarebbe stato scarso, capirai mezzo bicchiere a testa, l'avremmo già finito da un pezzo. La sedia sfondata ciancola ed è unta e sporca, e i miei pantaloni sono nuovi e col cazzo che mi siedo. Senza contare che dovrei prendere in braccio lui. Quindi ora ti vesti e usciamo. Se vuoi, se lo ritieni davvero necessario, andiamo tutti quanti, persino Alfio, per quanto data la situazione sarebbe meglio rimandarlo a casa; tanto abita vicino.
-Impossibile, se non viene Alfio non viene neppure la Bru.
-T'ho già detto che mi hai rotto il cazzo? Vestiti ed usciamo!
-Torno subito.

-Eccomi.
-Raga scusatemi...
-La Bru non sta bene. Ha un po' d'influenza.
-Poi devo controllare che non combinino delle cose, Alfio e la Bru.
-Chi è Alfio?
-Quello di là, quello che sta giocando a carte con la Bru. Ve l'ho presentato no?!
-Sì, vabbè, è il padrone di casa? E' qui per il torneo di briscola? E tu che cazzo hai da controllare?
-Che non provino a scambiarsi qualcosa da sotto il tavolo mentre io non guardo.
-Le carte?! E perché dovrebbero scambiarsele quando tu non guardi? Giocano solo loro due giusto? Poi a te che te ne frega? Sono cazzi tuoi cosa ci fanno con quelle minchia di carte?
-Non le carte, capisci, carezze, toccamenti, effusioni...
-Hai paura che quando tu sei in un altra stanza o sbatti un attimo gli occhi lei ne approfitti subito, che gli slampi la patta e glielo meni con una mano mentre con l'altra fuma una di quelle merdose sigaretta alla menta? Ma come siete messi? Che gente siete?
-Ma poi lei non faceva la...?
-La puttana sì e allora?! A te che cazzo te ne importa?! Non lo dovevi dire! Non te lo dovevo dire. Sei il solito stronzo borghese!

-Occhei, scusatemi, ho sbagliato a prendermela con voi. E' un momento difficile. Non è solo per Alfio e la Bru. Non so come dirlo... Non ci sono aragoste domani per colazione.
-Perché di solito le pucci nel caffellatte?
-Ho fame ragazzi, è da ieri sera che non butto giù niente.
-Se lo fai per la dieta sprechi il tuo tempo, rimani comunque di una schifezza disumana; lascia perdere.
-E' che in casa non c'è più una briciola da mettere sotto i denti.
-La Bru ti leva il pane di bocca?
-No, che dici?! Lei mangia al lavoro la pizza che avanza.
-Usciamo che ti offro un panino.
-Impossibile, la Bru ha qualche linea di febbre, non posso lasciarla sola.
-A parte che non è mica sola, poi mi sembra stia benissimo, non sta sboccando sangue dal naso, non c'è rischio che esali l'ultimo respiro fra le braccia di Alfio mentre tu sei fuori con noi.
-Sembri uno che abbia visto un fantasma. Sei tu in pericolo, hai bisogno di respirare aria che non abbiano respirato prima quei due.
-Siamo venuti apposta in questa città di sfigati perché hai richiesto il nostro aiuto. Eccoci D'Artagnan, Athos e Portos sono al tuo servizio, uno per tutti, tutti per uno.
-Non se ne fa niente, un attimo solo, torno subito.

-Gli ho quasi beccati. Mancava solo tanto poco così, ve lo giuro.
-Basta ce ne andiamo. Se vuoi venire con noi ti cambi quei pantaloncini osceni, e se rimani in ciabatte almeno mettiti le calze, hai dei piedi orribili che paiono quelli di una mummia vecchia a cui abbiano lesinato coi sacri unguenti. Se qualcuno li vede ci bandiscono vita natural durante anche dai locali più lerci. Neppure al lebbrosario ci farebbero entrare.
-Non posso, la Bru sta male.
-Volevamo portarti a bere le ultime novità in fatto di cocktail, bada, ben bene agitati, non mescolati, che non siamo dei frocetti. Comunque cazzi tuoi se sei geloso fracico, addio, e saluta per noi i briscolettari infoiati.
- Prima che andiate via vorrei chiedervi un favore, ho fame, potreste prestarmi qualcosa. Tranquilli che ve li restituisco tutti.
-Dì la verità, ci hai fatto venire fino qua solo per chiederci dei soldi. Brutto bastardo.
-Sei un pezzo di merda.
-Ieri in tutto il giorno ho mangiato un pugno di vecchio pane grattugiato pieno di formiche, e per avere un po di sostanza l'ho mischiato con due cucchiai di olio da frittura e del triplo concentrato di pomodoro.
-Che schifo, e davvero te lo sei mangiato?
-Cento euro... anche cinquanta. Magari a testa.
-Se esci prima di portarti a bere ti offriamo una pizza.
-Se ti fa piacere una quattro formaggi con la raffinatezza di una sgrattugiata di pane raffermo sopra.
-E quelli scopano di sicuro. E' un momento così, che la Bru non la posso lasciare da sola.
-Allora tieniti stretta la fame.
-Cinquanta euro in tutto raga, cosa sono per voi?
-Guarda, te lo dico mandandoti nel contempo affanculo, prestiti zero. Se facciamo i conti mi devi qualche migliaia di euro, eppoi ho solo le carte di credito. Sarò buono, mi tengo gli spiccioli per le sigarette e ti do, vediamo, cinque euro. Non è un prestito, puoi tenerteli insieme al vaffanculo.
-Vediamo, io ho solo il bancomat e il libretto d'assegni, e delle monetine da... dieci centesimi. Apri la mano... eccotele, nelle tasche vuote fanno un bel rumore che rallegra il cuore e tutte assieme sono quasi due euro. Non spenderteli tutti in eroina come fai di solito.
-Non accetto la carità da nessuno io.
-Rendimi le mie monetine!
-No, ma siete dei grandissimi fottutissimi bastardi.

Per le scale corriamo ridendo per scrollarci di dosso l'atmosfera mesta e paranoica, saltiamo i gradini a tre a tre, milioni di luci colorate già accarezzano il ventre della notte, Genova ci aspetta a gambe aperte. Sarà magnifico, del resto la speranza è l'ultima morire, però i primi sono sempre i migliori, cioè quelli come noi. Di Pipino chi se ne fotte?! Del resto se le cerca proprio, invece che fare il pezzente potrebbe mettersi a lavorare, o limitarsi nelle spese, e alla Bru non poteva pagarla per una pompa, come tutti, e finirla lì?


martedì 20 marzo 2012

per come la vedo io

La prima volta è successo proprio qui, in questa stanza. Fino a pochi anni fa si potevano vedere ancora le tracce di sangue sul quella parete. Poi hanno riverniciato, una bella passata di bianco e sono sparite. Non ci sono più. Eppure io continuo a vederle, sono lì, proprio dietro a voi.
Io c'ero quella sera.
Eravamo una quindicina di partecipanti al corso di scrittura creativa. Ci si metteva in cerchio,e con una penna in mano mettevamo su foglio pensieri, racconti, avventure,drammi, commedie. A volte uscivano cose belle, altre meno, ma c'erano volte che le parole messe in fila come per magia si trasformavano in piccoli gioiellini, e quando accadeva, ci sentivamo scrittori.
Io, a dire il vero, me la cavavo abbastanza bene. Niente di eccezionale intendiamoci, però ero soddisfatto. Magari non ero una penna raffinata, ma avevo le storie. Quelle, mi giravano in testa, con i loro protagonisti,i comprimari, i colpi di scena, le frasi ad effetto. Storie incredibili. E quante ne ho buttate via di quelle storie, pensando fossero troppo irreali per essere raccontate.
Ma sbagliavo, l'incredibile non esiste, ora lo sappiamo tutti.
Stavamo lì, dove siete seduti voi, con la testa piegata sul foglio quando si è alzato il vento, di colpo, un vento caldo, vischioso. Ci siamo guardati intorno, cercando una finestra, una porta aperta, ma era tutto chiuso. Eppure quest'aria calda divenne un tifone, ci strappò i fogli dalle mani, i libri vorticavano in aria, si scontravano in volo, si aprivano, sventrandosi perdevano pagine che si confondevano con i nostri appunti, giravano intorno a noi, sempre più velocemente. Vidi Melville e Capitani Coraggiosi e Benni esplodere contro la poesie di Neruda e una raccolta di storie di Pazienza inseguire vecchie copie di Linus, e poi Pinocchio e Lansdale e pagine su pagine e appunti e scritti e storie e versi e ...
Poi arrivò quell'odore schifoso, denso. Sembrava ci stessero spalmando del letame sulla faccia. Era nauseante, si infiltrava nel naso, nella bocca e poi giù in gola a bloccare il respiro. In pochi secondi ci ritrovammo carponi con lo stomaco ribaltato. Le luci sparirono.
 Non era buio, era come se ci avessero ficcato nel buco del culo del diavolo.
poi arrivò il botto.
Fu come se Dio accendesse la sua Harley Davidson e partisse sgommando lasciandoci ai nostri peccati.
E per come la vedo io, fu proprio così.
Il dolore fù lancinante, sentì la mia testa aprirsi come un'arancio, a spicchi. Ebbi l'impressione che il cervello trasformatosi in lava incandescente stesse defluendo sul pavimento.
Quando stai per morire dicono che rivedi tutta la tua vita scorrerti davanti come un film. Forse era l'intervallo e io stavo morendo tra il primo e il secondo tempo, perchè non mi apparve nemmeno un fotogramma di quel film, sentivo solo dolore, dolore e altro dolore.
 Mi piacerebbe potervi dire di essere svenuto, ma non fu così. Non svenni, per tutto quel tempo, rantolai sul pavimento, le mani premute sulle orecchie. cercai di urlare, e forse lo feci, ma non ricordo di avere sentito la mia voce, sentivo solo un martello che mi batteva dritto in fronte
dum..dum..dum..dum..dum...
E poi finì. Niente più dolore, nè puzza, nè vento. Stop. La luce tornò. Aprì gli occhi.
Il pavimento era un tappeto di fogli e chiazze di vomito. Stranamente mi ritrovai tra le dita proprio una pagina del mio racconto, lo osservai giusto il tempo di notare un errore di grammatica, poi lo lanciai via.
Mi alzai in piedi, barcollando. Gli altri fecero altrettanto. Un rivolo di sangue ci usciva dal naso, avevamo tutti la faccia congestionata, come se ci avessero presa a colpi di bistecchiera rovente. Ebbi un conato, ma anziché vomitare, sputai in un grumo di sangue il mio molare. Avevo freddo, il mio respiro si condensava in  nuvole di vapore,  la temperatura era scesa di almeno dieci gradi. Mi sentivo come un passeggero di un aereo che si è andato a schiantare sul monte Everest, e che non è sopravvissuto.
Alle mie spalle sentì un leggero ronzio, mi voltai e rimasi a bocca aperta. Quella parte di biblioteca era sparita, non esisteva più, vaporizzata. Al suo posto capeggiava quella specie di astronave..

Adesso lo sapete come sono. Adesso si, ma all'epoca nessuno ne aveva mai vista una. Non era come quella dei film. Non era enorme, nè ovale, non aveva luci. Niente roba da film di fantascienza di serie z.
Era lì, proprio dietro di voi, due metri di diametro per tre metri d'altezza, rossa con striature bianche ai lati.
Io non sono mai stato un tipo coraggioso, le avventure mi piaceva immaginarle, farle vivere ai miei protagonisti, gente con la lingua tagliente e la pistola sempre pronta, capaci di gestire situazioni del genere senza cadere nel panico! Ma io no, io  sarei volentieri scappato a gambe levate, fiondandomi come un razzo fuori da questa stanza per infilare la testa sotto le coperte del mio letto, cercando di scordarmi tutto.
Vi dico, avevo le chiappe così strette che se ci avreste infilato un pezzo di carbone in mezzo ne avreste tirato fuori un diamante, e gli altri aspiranti scrittori non è che stessero meglio, tremavano e battevano i denti come affetti dalla malaria,eppure non scapparono. Nessuno di noi lo fece.
.
Un ragazzo, Luca, raccolse da terra una penna e brandendola come una spada fece un timido passo verso quell'oggetto. Era una cosa ridicola da fare, non aveva senso, eppure lo imitammo tutti, e armati di penna e foglio, ci avvicinammo all'astronave. Da vicino non è che fosse granchè, pareva un modello di vespasiano progettato da un architetto giapponese sbronzo, oppure il tubo di scappamento di un qualche prototipo militare caduto giù dal cielo;
eppure non ebbi neppure per un' attimo il dubbio di cosa fosse quella cosa:.
Dissi al gruppo di scrittori: “ Ragazzi, questa è una cazzo di lattina spaziale, venuta da un' altro mondo”.

Non resistetti, passai un dito su quella vernice rossa. Sfrigolò come un hot dog sulla griglia.
Imprecai saltando all'indietro, soffiando sul dito come un bambino scemo. Stavo ancora imprecando quando, con uno scatto sordo, si aprì lo sportellino della lattina. Era piccola, diciamo una cinquantina di centimetri per cinquanta. Balzammo all'indietro.
Ora, tutti noi abbiamo visto quelle porcate di film dove da un'astronave esce un tipo strano con la pistola, o un raggio laser o una scureggia cosmica che polverizza tutto quello che si ritrova davanti. Eppure rimanemmo lì immobili, a guardare cosa sarebbe successo. E' come quando nei film horror il pazzo che vuole ammazzare la tipa di turno si intrufola nella sua casa, e quella invece di scappare per strada lo va a cercare stanza per stanza con un coltellino da cucina, e tu pensi che sia proprio scema. Eppure noi facemmo così. Eravamo curiosi.
Dallo sportellino uscì un cagnolino, ho almeno così ci sembrò in un primo momento. Assomigliava ad un chihuahua, solo un po' più grosso, con sei zampe e due orecchie lunghe come delle corna di alci. Quella creatura si guardò un po' in torno scodinzolando, poi ci vide e trotterellando ci si fece vicino. Tirò fuori la lingua, iniziò a saltellarci intorno abbaiando. Bè, non era proprio come abbaia un cane, sembrava piuttosto il rumore che fa un canotto quando lo sgonfi, ma insomma ci faceva le feste ed ad un certo punto si avvicinò alle gambe di una ragazza e gli si strusciò contro. E lei gli diede una carezza sul muso.
Quella specie di chihuahua le staccò un braccio con un morso. Fece un salto, la azzannò sopra il gomito e con uno strattone secco glielo staccò. IL fiotto di sangue mi prese in pieno, poi colpì quel muro dietro di voi. Quella ragazza non ebbe neanche il tempo di urlare che quella bestia aveva sputato il braccio e con un balzo gli era sulla testa, e non so come fece, ma se l'infilò in bocca sino all'attaccatura dei capelli. E non era più tanto piccolo ora, era il doppio di un secondo prima, emise una specie di latrato e poi chiuse le zanne, scoperchiandole la calotta cranica. Nel tempo che il corpo ci mise a toccare terra io e tutti gli altri stavamo correndo fuori da quì, urlando come indemoniati.
Mi voltai una sola volta indietro, giusto per vedere quella bestia mollare il corpo della donna e puntarci, veloce come un proiettile. Ora si era trasformato in un bestione urlante, e non era per niente carino. Samuele mi correva di fianco, ebbe giusto il tempo di bestemmiare un paio di volte e quella cosa gli fù addosso. Lui cercò di difendersi colpendolo con la penna, ma quella belva lo bloccò con una zampa a terra e con l'altra gli squarciò petto , affondandoci il muso dentro. E' successo lì in fondo, proprio fuori dalla biblioteca, è lì che è morto quel ragazzo. Correvo e lo sentivo urlare e poi non lo sentì più,solo un risucchio. Quella bestia se lo stava succhiando come una bibita. Dio, non ci dormo ancora la notte, si è succhiato quel tipo come una lattina di coca cola io correvo e correvo e correvo e poi Riccardo cadde giù e mi chiese aiuto ma io ero già in strada e lì mi ritrovai a fianco di altra gente che correva e intorno a noi animali strani, degli incubi fatti carne, masse informi e ragni e altre lattine spaziali piantate al suolo e da lì uscivano bestie e robe schifose e la gente scappava e cadeva e veniva smembrata e poi lattine spaziali dappertutto e io correvo e correvo e uscivano da ogni buco e ti mangiavano e cagavano, niente altro facevano, solo quello, ingozzarsi e cagare e mangiarti e farti a pezzi e poi davanti a casa la macchina dei miei vicini di casa che urlavano mentre un lucertolone con la testa ficcata nel finestrino li sbranava e il sangue era tanto, veramente troppo. Troppo.
Sbarrai la porta di casa e poi scesi in cantina, mi nascosi nell'angolo più buio e tutto rannicchiato mi pisciai addosso dalla paura.

Fuori,in strada, le urla continuarono per un bel pezzo. Mi tappai le orecchie per non sentire, ma fù tutto inutile. Ricordo ogni grido, ogni lamento. Ho riconosciuto le voci del vigile, del postino, della signora dell'edicola che pregava. Qualche sparo, ma pochi, isolati, lontani. Ero chiuso in cantina terrorizzato quando mi guardai le mani: tenevo ancora stretta la penna e un foglio bianco. E lo so che non ci crederete eppure lo feci, iniziai a scrivere. Raccontai cosa stava succedendo. E le parole filavano lisce sul foglio, scorrevano fluide come non mi era mai successo.
Poi, un fischio acutissimo. Come se Dio al ritorno dal suo viaggetto in moto, avesse preso il fischietto e decretato la fine dei giochi.
E fu proprio così. Quelle bestie schifose mollarono quello che stavano facendo, si rimpicciolirono, si rinfilarono in quelle lattine spaziali e come erano arrivate, se ne andarono.

Bè, il resto lo sapete, da quella volta è successo spesso, tante di quelle volte che non vale nemmeno la pena di contarle. Arrivano, mangiano, cagano, un fischio e se ne vanno. E noi non ci possiamo fare un bel niente, un momento sei a mangiarti un gelato in centro a Milano e un'attimo dopo ti trovi ad essere il pranzetto di qualche alieno vorace. Viviamo così da anni, in tutto il mondo, e non so proprio come uscire da questa situazione. Chi sono? perchè lo fanno? qual'è lo scopo di questa mattanza?
Ognuno di noi ha un proprio punto di vista su questa storia. Ne ho sentite di tutti i colori: Alieni, divinità nordiche, spiriti malvagi, zombie,Dio, mondi alternativi, esperimenti militari finiti male, allucinazioni collettive, radiazioni nucleari e altro ancora. Ci sono fior di scienziati che stanno studiandoci sopra, e non voglio insegnare niente a nessuno,ma ho una mia teoria.
Quelli che scendono dalle lattine aliene non sono gli alieni. No, per niente. Sono troppo stupidi, quello che fanno è mangiare e cagare e buttare giù tutto quello che trovano. Ma non sanno neanche aprire una porta. La sanno sfondare, prendere a zampate, ma non sanno girare una chiave.

Quelli non sono gli alieni, sono i loro animaletti domestici. Sono i loro gattini, il criceto, il cane, il pappagallino, sono quelli che gli fanno le feste quando tornano da lavoro e che gli portano le ciabattine. Ecco chi sono loro.
I loro padroni li prendono e li portano qui sul nostro pianeta a fare i loro bisognini, a sgranchirsi le zampe, a saltellare felici. E mentre i loro padroni sono seduti su una panchina galattica a leggere il giornale, loro ci uccidono.
Noi siamo la ciotolina dell'acqua e dei croccantini.
Siamo la loro lettiera.
Ecco come la vedo io.
Ma forse è un'altra storia.

domenica 18 marzo 2012

Incontro alla cieca

Si era preparata a lungo a quell’incontro. Lo desiderava, ma al tempo stesso lo temeva. Temeva l’estraneità che avrebbero potuto provare l’una rispetto all’altro. Temeva che potesse essere tutto diverso da come si era immaginata fino a quel momento. Mentre preparava la valigia, in preda a un’agitazione che le faceva tremare le mani, Manuela cercava di interrompere il continuo accavallarsi di pensieri e di recuperare la calma. Impossibile! Ormai aveva perso il controllo delle emozioni e anche il suo corpo non le obbediva più: il cuore le martellava nel petto, vacillava sulle gambe, si sentiva attanagliare da una morsa di tensione che quasi la paralizzava. Se avesse potuto, avrebbe fatto un passo indietro. Ma che dico un passo: ne avrebbe fatti mille, un milione. Sarebbe immediatamente fuggita da questa situazione senza via d’uscita.

“Oddio, è assurdo!” pensava lui in quello stesso istante. Stava per incontrarla e non sapeva neppure come fosse la sua faccia. Sarebbe stata la donna dolce e affettuosa che gli era sembrata? Aveva tanta voglia di vederla, di toccarla, di stringersi a lei! Ma lei? Lo desiderava, l’avrebbe amato? Aveva un po’ paura. Avrebbe voluto cullarsi ancora un po’ in quell’ attesa di incontrarsi che era eccitante e al tempo stesso rassicurante, ma non si poteva aspettare oltre.

“Ma perché ti ho permesso di insinuarti fra noi?” meditava Manuela. “Io e Riccardo eravamo una coppia felice, senza problemi, ma da quando tu ci sei è tutto cambiato. Tu hai aperto un solco tra me e lui. Io ora non faccio altro che pensare a te, soltanto a te, giorno e notte. Ancora non ci siamo incontrati, eppure il mio desiderio di te è talmente forte da azzerare qualsiasi altra emozione. Mi fai quasi spavento”.

“Non sono stato io a volere tutto questo” rifletteva lui. “Mi ci sono ritrovato senza neppure sapere come. Eppure…. eppure mi sento così felice! Ho una voglia immensa di incontrarti!”

“Signora, venga qua! Presto, stanza 6, letto4.”Manuela non ha più tempo per pensare. Le contrazioni sono sempre più ravvicinate, mezz’ora soltanto ed è già in sala parto. Ora è concentrata unicamente sul suo respiro e su quel bisogno di spingere, spingere e accelerare quest’incontro che ha atteso per nove lunghi mesi. Per un attimo, pensa che le forze la stiano abbandonando. “Non ce la faccio” dice fra sé. “ Morirò senza averlo mai incontrato.”

Invece Manuela e Andrea si incontrano, come previsto, il cinque febbraio, esattamente la data presunta del parto. E’ mezzanotte passata da tre minuti, Andrea è arrivato puntuale all’appuntamento. Qualcuno ha avvolto il bambino in un lenzuolo e l’ha posato fra le braccia di Riccardo, che si avvicina a sua moglie: “Ecco, Manuela, ecco il nostro Andrea”.

Per Manuela è come vedersi dentro e dare finalmente un volto a quella creatura che è cresciuta in lei, insieme a lei, giorno dopo giorno. E’ scoprire che paura e incertezze sono spazzate via in un attimo. “Sposti tutti i miei confini” pensa. Poi si stupisce delle sue stesse parole: “ E questa frase? Dove l’ho sentita ? Ah, forse una canzone. Ma chi se la ricorda, ora!”

(immagine dal web: “Ritratto di donna” di Angelo G. Stenta)


come in un brutto film

L'incontro è fissato per le 21. Orlando guarda fuori dalla finestra e non ha per niente voglia di uscire. Piove .Una pioggia cattiva, sporca. Le gocce scendono giù come colpi di mitraglia, una scarica, poi si fermano, e giù un'altra scarica. La strada è già allagata, tutte le volte la stessa storia, una macchina lenta passa sotto casa, percorrendo quel fiume urbano controcorrente. Un salmone di metallo, gli viene da pensare a Orlando e gli scappa da ridere.

Avesse in casa alcolici si ubriacherebbe, una pistola si sparerebbe ad un piede, un cane si farebbe azzannare, così da potersi fare compatire. Presentarsi fasciato, lo sguardo di chi è scampato per un soffio alla morte, ma nonostante questo è puntuale all'appuntamento con la corte marziale, pronto per farsi fucilare.

“ cosa mi volevi dire?” le chiederebbe con rassegnazione.

Orlando cerca di immaginarsi gli occhi di lei riempirsi di lacrime, mentre con la testa fa cenno di no, mormorare che no, non ho niente da dirti, va tutto bene, è tutto a posto. Ci scappa anche un bacio, un abbraccio, una carezza. Chissà, anche del sesso. Quello da cinema, appoggiati al muro.I

Però, a ragionarci su, quella posizione è di uno scomodo, di un difficile...

Orlando ci ha anche provato, ma a parte che è un tipo gracile, e a tenere sollevata da terra una donna con le braccia si fa fatica, ma il pantalone slacciato scivola giù e allora allarghi le ginocchia per non farli cadere a terra, che poi è pure bagnato e si sporcano tutti e in più devi spingere, muoverti cercando di essere sensuale, ma ti senti i crampi ai polpacci, e arrivi al punto che la vorresti mollare e mandare tutto affanculo ma non puoi, perchè che figura ci faresti?

L'unica tua speranza è che anche lei stia soffrendo, e che pur di finirla con questo strazio finga un orgasmo.

E subito dopo lo fingi pure tu.

Gesù come piove. Nei momenti drammatici nei film piove sempre. I protagonisti inzuppati sino alle ossa si lasciano, si ritrovano, a volte cantano e non usano mai l'ombrello. Chissà come mai tutta questa ritrosia verso l'ombrello da parte dell'industria cinematografica, pensa Orlando, guardando fuori. La strada è un mare mosso, nessuno ci naviga ora. Nessuno ha appuntamenti irrinunciabili. Solo lui.

Tra 10 minuti.

Quanta tensione in questa attesa, neanche lei dovesse svelargli chissà quale segreto. Che disastro di sceneggiatura, è tutto un già visto, una fiction di canale 5. Perchè incontrarsi? Non è che mi deve consegnare un atto notarile. Bastava un email, meglio ancora un sms. Perchè trovarsi? Non c'è nulla da discutere, è tutto già successo milioni di volte, ci si lascia, ci si riprende, a volte no, si soffre, si piange e poi si va avanti. E così che funziona da sempre. Questo volersi vedere di persona, il coraggio di guardarsi negli occhi, è un atto sopravvalutato. Chi se ne importa del coraggio, rivalutiamo la vigliaccheria, pensa Orlando, mandami un sms e finiamola qui.

Che, se vogliamo dirla tutta, non è che si chiude LA GRANDE STORIA, in maiuscolo.

Finisce una storia. Un ciclo. Un equivoco.

Un botto. Ci si mettono anche i fulmini adesso, pensa Orlando, guardando fuori. Il cielo è un incubo, un effetto speciale, nuvole nere dense come polmoni malati scaricano acqua a secchiate. E' da pazzi uscire con questo tempo, non si può fare. Ora la chiamo. Orlando prende il telefonino, pigia tre numeri e quello gli squilla tra le mani.

E' lei. Dice che è meglio non vedersi, col tempo che fa.

Orlando risponde che non è un problema, tanto abitano vicino, cinque minuti e è li da lei.

Lei risponde che no, non importa, tanto lui lo sa cosa voleva dirle.

Orlando dice che non lo sa.

Lo sai. Dice lei.

No, vengo li e ne parliamo, che ci vuole?

Ma lei mette giù.

Orlando rimane lì con il telefono in mano per un paio di minuti, quindi lo appoggia delicatamente al tavolino. Che brutto film, che scena madre strappalacrime, pensa, e quasi gli verrebbe da ridere. Ma a ridere non c'è la fa, quindi si veste, si infila il cappotto, prende l'ombrello e esce fuori, sotto quel cielo infame, alla ricerca di un bar aperto per prendersi un caffè.

mercoledì 14 marzo 2012

Origami

Mille ali in volo –

grappoli di bianche gru

per esaudire il cuore

***

Flavia

(immagine dal web)

Katauta* dedicato al grande maestro di origami Akira Yoshizawa (14 marzo 1911 – 14 marzo 2005), nel giorno di marzo in cui nacque e morì.

Ho scelto come soggetto la figura della gru perché è uno degli origami tradizionali giapponesi più noti, spesso donati in segno di buon auspicio. Narra un’antica leggenda giapponese che la gru possa vivere 1000 anni : chiunque pieghi o riceva in dono mille gru vedrà i desideri del proprio cuore esauditi. Realizzare per sé o regalare i tradizionali “grappoli” di mille gru (oridzuru) è quindi considerata una pratica simile agli ex voto della cultura cattolica. L’ episodio più noto legato a questa tradizione è quello di Sadako Sasaki, una bambina esposta alle radiazioni della bomba atomica di Hiroshima. In fin di vita a causa della leucemia, la bambina iniziò allora a piegare le mille gru, ma morì prima di riuscire a portare a compimento la propria opera. Le venne eretta una statua nel Parco della Pace di Hiroshima, una ragazza in piedi con le mani aperte ed una gru che spicca il volo dalla punta delle sue dita. Ogni anno questo monumento è adornato con migliaia di corone di mille gru. La storia di Sadako è diventata soggetto di molti libri e film ed ha portato la gru da simbolo di immortalità a simbolo di pace. In una versione della storia, Sadako scrive un haiku che tradotto in italiano suona cosí:

Scriverò pace sulle tue ali

intorno al mondo volerai

perché i bambini non muoiano più così

In un’altra versione, un suo compagno di classe piega il numero restante di modelli in modo che lei possa essere sepolta con 1000 gru: è questa la versione riportata nel romanzo Il Gran Sole di Hiroshima, di Karl Bruckner.

Altre interessanti annotazioni al seguente sito: http://www.scuola-judo-tomita.com/varie/stemma/gru/gru.htm#gru

* Il katauta è una forma di metrica giapponese: 3 versi di 5 - 7 - 7 sillabe, a differenza dell'haiku chi si compone di 5-7-5 sillabe.

martedì 6 marzo 2012

Urban Club





Concorso di racconti Urban Fantasy 

(Si tratta di un concorso di narrativa Urban Fantasy, sono state pubblicate le raccolte le opere e sono visualizzabili da chiunque. Troverete me come uno dei giudici di gara e verrà creata un antologia dei racconti migliori; la quale verrà poi proposta alle case editrici. Venite a dare un occhiata! )