"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

martedì 20 marzo 2012

per come la vedo io

La prima volta è successo proprio qui, in questa stanza. Fino a pochi anni fa si potevano vedere ancora le tracce di sangue sul quella parete. Poi hanno riverniciato, una bella passata di bianco e sono sparite. Non ci sono più. Eppure io continuo a vederle, sono lì, proprio dietro a voi.
Io c'ero quella sera.
Eravamo una quindicina di partecipanti al corso di scrittura creativa. Ci si metteva in cerchio,e con una penna in mano mettevamo su foglio pensieri, racconti, avventure,drammi, commedie. A volte uscivano cose belle, altre meno, ma c'erano volte che le parole messe in fila come per magia si trasformavano in piccoli gioiellini, e quando accadeva, ci sentivamo scrittori.
Io, a dire il vero, me la cavavo abbastanza bene. Niente di eccezionale intendiamoci, però ero soddisfatto. Magari non ero una penna raffinata, ma avevo le storie. Quelle, mi giravano in testa, con i loro protagonisti,i comprimari, i colpi di scena, le frasi ad effetto. Storie incredibili. E quante ne ho buttate via di quelle storie, pensando fossero troppo irreali per essere raccontate.
Ma sbagliavo, l'incredibile non esiste, ora lo sappiamo tutti.
Stavamo lì, dove siete seduti voi, con la testa piegata sul foglio quando si è alzato il vento, di colpo, un vento caldo, vischioso. Ci siamo guardati intorno, cercando una finestra, una porta aperta, ma era tutto chiuso. Eppure quest'aria calda divenne un tifone, ci strappò i fogli dalle mani, i libri vorticavano in aria, si scontravano in volo, si aprivano, sventrandosi perdevano pagine che si confondevano con i nostri appunti, giravano intorno a noi, sempre più velocemente. Vidi Melville e Capitani Coraggiosi e Benni esplodere contro la poesie di Neruda e una raccolta di storie di Pazienza inseguire vecchie copie di Linus, e poi Pinocchio e Lansdale e pagine su pagine e appunti e scritti e storie e versi e ...
Poi arrivò quell'odore schifoso, denso. Sembrava ci stessero spalmando del letame sulla faccia. Era nauseante, si infiltrava nel naso, nella bocca e poi giù in gola a bloccare il respiro. In pochi secondi ci ritrovammo carponi con lo stomaco ribaltato. Le luci sparirono.
 Non era buio, era come se ci avessero ficcato nel buco del culo del diavolo.
poi arrivò il botto.
Fu come se Dio accendesse la sua Harley Davidson e partisse sgommando lasciandoci ai nostri peccati.
E per come la vedo io, fu proprio così.
Il dolore fù lancinante, sentì la mia testa aprirsi come un'arancio, a spicchi. Ebbi l'impressione che il cervello trasformatosi in lava incandescente stesse defluendo sul pavimento.
Quando stai per morire dicono che rivedi tutta la tua vita scorrerti davanti come un film. Forse era l'intervallo e io stavo morendo tra il primo e il secondo tempo, perchè non mi apparve nemmeno un fotogramma di quel film, sentivo solo dolore, dolore e altro dolore.
 Mi piacerebbe potervi dire di essere svenuto, ma non fu così. Non svenni, per tutto quel tempo, rantolai sul pavimento, le mani premute sulle orecchie. cercai di urlare, e forse lo feci, ma non ricordo di avere sentito la mia voce, sentivo solo un martello che mi batteva dritto in fronte
dum..dum..dum..dum..dum...
E poi finì. Niente più dolore, nè puzza, nè vento. Stop. La luce tornò. Aprì gli occhi.
Il pavimento era un tappeto di fogli e chiazze di vomito. Stranamente mi ritrovai tra le dita proprio una pagina del mio racconto, lo osservai giusto il tempo di notare un errore di grammatica, poi lo lanciai via.
Mi alzai in piedi, barcollando. Gli altri fecero altrettanto. Un rivolo di sangue ci usciva dal naso, avevamo tutti la faccia congestionata, come se ci avessero presa a colpi di bistecchiera rovente. Ebbi un conato, ma anziché vomitare, sputai in un grumo di sangue il mio molare. Avevo freddo, il mio respiro si condensava in  nuvole di vapore,  la temperatura era scesa di almeno dieci gradi. Mi sentivo come un passeggero di un aereo che si è andato a schiantare sul monte Everest, e che non è sopravvissuto.
Alle mie spalle sentì un leggero ronzio, mi voltai e rimasi a bocca aperta. Quella parte di biblioteca era sparita, non esisteva più, vaporizzata. Al suo posto capeggiava quella specie di astronave..

Adesso lo sapete come sono. Adesso si, ma all'epoca nessuno ne aveva mai vista una. Non era come quella dei film. Non era enorme, nè ovale, non aveva luci. Niente roba da film di fantascienza di serie z.
Era lì, proprio dietro di voi, due metri di diametro per tre metri d'altezza, rossa con striature bianche ai lati.
Io non sono mai stato un tipo coraggioso, le avventure mi piaceva immaginarle, farle vivere ai miei protagonisti, gente con la lingua tagliente e la pistola sempre pronta, capaci di gestire situazioni del genere senza cadere nel panico! Ma io no, io  sarei volentieri scappato a gambe levate, fiondandomi come un razzo fuori da questa stanza per infilare la testa sotto le coperte del mio letto, cercando di scordarmi tutto.
Vi dico, avevo le chiappe così strette che se ci avreste infilato un pezzo di carbone in mezzo ne avreste tirato fuori un diamante, e gli altri aspiranti scrittori non è che stessero meglio, tremavano e battevano i denti come affetti dalla malaria,eppure non scapparono. Nessuno di noi lo fece.
.
Un ragazzo, Luca, raccolse da terra una penna e brandendola come una spada fece un timido passo verso quell'oggetto. Era una cosa ridicola da fare, non aveva senso, eppure lo imitammo tutti, e armati di penna e foglio, ci avvicinammo all'astronave. Da vicino non è che fosse granchè, pareva un modello di vespasiano progettato da un architetto giapponese sbronzo, oppure il tubo di scappamento di un qualche prototipo militare caduto giù dal cielo;
eppure non ebbi neppure per un' attimo il dubbio di cosa fosse quella cosa:.
Dissi al gruppo di scrittori: “ Ragazzi, questa è una cazzo di lattina spaziale, venuta da un' altro mondo”.

Non resistetti, passai un dito su quella vernice rossa. Sfrigolò come un hot dog sulla griglia.
Imprecai saltando all'indietro, soffiando sul dito come un bambino scemo. Stavo ancora imprecando quando, con uno scatto sordo, si aprì lo sportellino della lattina. Era piccola, diciamo una cinquantina di centimetri per cinquanta. Balzammo all'indietro.
Ora, tutti noi abbiamo visto quelle porcate di film dove da un'astronave esce un tipo strano con la pistola, o un raggio laser o una scureggia cosmica che polverizza tutto quello che si ritrova davanti. Eppure rimanemmo lì immobili, a guardare cosa sarebbe successo. E' come quando nei film horror il pazzo che vuole ammazzare la tipa di turno si intrufola nella sua casa, e quella invece di scappare per strada lo va a cercare stanza per stanza con un coltellino da cucina, e tu pensi che sia proprio scema. Eppure noi facemmo così. Eravamo curiosi.
Dallo sportellino uscì un cagnolino, ho almeno così ci sembrò in un primo momento. Assomigliava ad un chihuahua, solo un po' più grosso, con sei zampe e due orecchie lunghe come delle corna di alci. Quella creatura si guardò un po' in torno scodinzolando, poi ci vide e trotterellando ci si fece vicino. Tirò fuori la lingua, iniziò a saltellarci intorno abbaiando. Bè, non era proprio come abbaia un cane, sembrava piuttosto il rumore che fa un canotto quando lo sgonfi, ma insomma ci faceva le feste ed ad un certo punto si avvicinò alle gambe di una ragazza e gli si strusciò contro. E lei gli diede una carezza sul muso.
Quella specie di chihuahua le staccò un braccio con un morso. Fece un salto, la azzannò sopra il gomito e con uno strattone secco glielo staccò. IL fiotto di sangue mi prese in pieno, poi colpì quel muro dietro di voi. Quella ragazza non ebbe neanche il tempo di urlare che quella bestia aveva sputato il braccio e con un balzo gli era sulla testa, e non so come fece, ma se l'infilò in bocca sino all'attaccatura dei capelli. E non era più tanto piccolo ora, era il doppio di un secondo prima, emise una specie di latrato e poi chiuse le zanne, scoperchiandole la calotta cranica. Nel tempo che il corpo ci mise a toccare terra io e tutti gli altri stavamo correndo fuori da quì, urlando come indemoniati.
Mi voltai una sola volta indietro, giusto per vedere quella bestia mollare il corpo della donna e puntarci, veloce come un proiettile. Ora si era trasformato in un bestione urlante, e non era per niente carino. Samuele mi correva di fianco, ebbe giusto il tempo di bestemmiare un paio di volte e quella cosa gli fù addosso. Lui cercò di difendersi colpendolo con la penna, ma quella belva lo bloccò con una zampa a terra e con l'altra gli squarciò petto , affondandoci il muso dentro. E' successo lì in fondo, proprio fuori dalla biblioteca, è lì che è morto quel ragazzo. Correvo e lo sentivo urlare e poi non lo sentì più,solo un risucchio. Quella bestia se lo stava succhiando come una bibita. Dio, non ci dormo ancora la notte, si è succhiato quel tipo come una lattina di coca cola io correvo e correvo e correvo e poi Riccardo cadde giù e mi chiese aiuto ma io ero già in strada e lì mi ritrovai a fianco di altra gente che correva e intorno a noi animali strani, degli incubi fatti carne, masse informi e ragni e altre lattine spaziali piantate al suolo e da lì uscivano bestie e robe schifose e la gente scappava e cadeva e veniva smembrata e poi lattine spaziali dappertutto e io correvo e correvo e uscivano da ogni buco e ti mangiavano e cagavano, niente altro facevano, solo quello, ingozzarsi e cagare e mangiarti e farti a pezzi e poi davanti a casa la macchina dei miei vicini di casa che urlavano mentre un lucertolone con la testa ficcata nel finestrino li sbranava e il sangue era tanto, veramente troppo. Troppo.
Sbarrai la porta di casa e poi scesi in cantina, mi nascosi nell'angolo più buio e tutto rannicchiato mi pisciai addosso dalla paura.

Fuori,in strada, le urla continuarono per un bel pezzo. Mi tappai le orecchie per non sentire, ma fù tutto inutile. Ricordo ogni grido, ogni lamento. Ho riconosciuto le voci del vigile, del postino, della signora dell'edicola che pregava. Qualche sparo, ma pochi, isolati, lontani. Ero chiuso in cantina terrorizzato quando mi guardai le mani: tenevo ancora stretta la penna e un foglio bianco. E lo so che non ci crederete eppure lo feci, iniziai a scrivere. Raccontai cosa stava succedendo. E le parole filavano lisce sul foglio, scorrevano fluide come non mi era mai successo.
Poi, un fischio acutissimo. Come se Dio al ritorno dal suo viaggetto in moto, avesse preso il fischietto e decretato la fine dei giochi.
E fu proprio così. Quelle bestie schifose mollarono quello che stavano facendo, si rimpicciolirono, si rinfilarono in quelle lattine spaziali e come erano arrivate, se ne andarono.

Bè, il resto lo sapete, da quella volta è successo spesso, tante di quelle volte che non vale nemmeno la pena di contarle. Arrivano, mangiano, cagano, un fischio e se ne vanno. E noi non ci possiamo fare un bel niente, un momento sei a mangiarti un gelato in centro a Milano e un'attimo dopo ti trovi ad essere il pranzetto di qualche alieno vorace. Viviamo così da anni, in tutto il mondo, e non so proprio come uscire da questa situazione. Chi sono? perchè lo fanno? qual'è lo scopo di questa mattanza?
Ognuno di noi ha un proprio punto di vista su questa storia. Ne ho sentite di tutti i colori: Alieni, divinità nordiche, spiriti malvagi, zombie,Dio, mondi alternativi, esperimenti militari finiti male, allucinazioni collettive, radiazioni nucleari e altro ancora. Ci sono fior di scienziati che stanno studiandoci sopra, e non voglio insegnare niente a nessuno,ma ho una mia teoria.
Quelli che scendono dalle lattine aliene non sono gli alieni. No, per niente. Sono troppo stupidi, quello che fanno è mangiare e cagare e buttare giù tutto quello che trovano. Ma non sanno neanche aprire una porta. La sanno sfondare, prendere a zampate, ma non sanno girare una chiave.

Quelli non sono gli alieni, sono i loro animaletti domestici. Sono i loro gattini, il criceto, il cane, il pappagallino, sono quelli che gli fanno le feste quando tornano da lavoro e che gli portano le ciabattine. Ecco chi sono loro.
I loro padroni li prendono e li portano qui sul nostro pianeta a fare i loro bisognini, a sgranchirsi le zampe, a saltellare felici. E mentre i loro padroni sono seduti su una panchina galattica a leggere il giornale, loro ci uccidono.
Noi siamo la ciotolina dell'acqua e dei croccantini.
Siamo la loro lettiera.
Ecco come la vedo io.
Ma forse è un'altra storia.

1 commento:

  1. per come la vedo io, capitavano cose da pazzi a quel corso di scrittura.... perfino che qualcuno scrivesse storie dell'altro mondo, come un tale di cui non ricordo il nome, ma solo il numero:115...
    flavia

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