"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

giovedì 2 maggio 2013

Il peso del silenzio

Mancava solo qualche metro e avrebbe raggiunto la panchina dove solitamente si fermava a riposare. Era la sua panchina preferita. Accanto vi era una betulla dalla candida corteccia che aveva curvato i suoi rami e nelle calde giornate gli regalava una fresca ombra.
L’uomo arrancava trascinando la sua fedele compagna. Le ruote lasciavano solchi profondi nel ghiaietto del viale. La valigia gli sembrò quel giorno più pesante del solito, molto più pesante; non riusciva quasi più a trascinarla. Ma se fino a qualche giorno prima lo seguiva rotolando ritmicamente le sue ruote, cosa aveva oggi da essere così pesante?
Raggiunse finalmente la panchina. Senza fiato si sedette, la valigia a terra. Tentò di sollevarla per posarla accanto a se ma non vi riuscì, poi si ricordò. Proprio ieri l’aveva raggiunto la notizia della morte di quel suo lontano cugino che lo lasciava, ora, ultima persona vivente della sua stirpe. Rifletté fra un faticoso respiro e l’altro e considerò che proprio da quel momento la sua valigia era diventata pesantissima e faticava a seguirlo.
Tentò ancora di sollevarla, voleva averla accanto a se per potervi posare il capo e riposare, ma non ci fu nulla da fare. Allora rassegnato si distese sulla panchina. Nella fresca ombra, continuando a tenere stretto tra le dita il manico chiuse gli occhi e la vita lo abbandonò.
I due vigili di pattuglia nel parco gli passarono accanto una prima volta senza fermare le biciclette, erano abituati alla sua presenza, di solito si tratteneva fin quasi all’ora di chiusura poi, trascinando la sua valigia usciva dal parco per dirigersi chissà dove. Ripresero la loro ronda e ormai l’ora di chiudere i cancelli era arrivata ma l’uomo ancora non si muoveva, si diressero verso di lui e gli si fermarono accanto, lo scossero, lo chiamarono  - ehi signore si svegli - ma non vi era più vita in lui, essa l’aveva lasciato disteso su quella panchina.
I due uomini cercarono di liberare il manico dalla stretta feroce che era così forte che sarebbe stato necessario rompergli le dita per liberarlo, cercarono almeno di spostare la valigia ma neppure riuscirono a muoverla, sembrava pesare come il marmo. Si chiesero come facesse quell’uomo ormai anziano a tenerla sempre con se, a trascinarsela dietro ad ogni passo della sua vita, allora l’aprirono e lei li lasciò fare, svelò il suo contenuto che era quasi nulla: poche carte, una foto che ritraeva l’uomo ancora giovane all’ombra di una pergola, qualche oggetto di tutti i giorni, un giornale vecchio. Ne uscì anche una risata, tintinnante come un mattino di primavera, il vociare di gente che augurava felicità a lui e alla sua sorridente donna - “cento di questi giorni” - ed il rumore dei chicchi di riso che cadevano sulle pietre del sagrato, le voci di bambini che lo chiamavano “papà”, l’urlo di una sirena, il pianto a dirotto di un uomo e subito dopo il silenzio.
Il silenzio, il silenzio!
Dunque più che altro la valigia era piena di silenzio, e ora che tutto il silenzio era uscito fu facile spostarla, liberare il manico dalla stretta dell’uomo. Gli agenti gli ripiegarono le braccia sul petto, posero la valigia sotto il suo capo e attesero che venissero a portarlo via.

mercoledì 1 maggio 2013

LA STORIA QUASI VERA DELLA BELLA ADDORMENTATA E IL PRINCIPE AZZURRO

C’era una volta una principessa. Anzi, c’è ancora. Dirò di più, ce ne sono tante, e lo provano tutti quei muri imbrattati con l’immancabile, inverosimile, incancellabile  scritta “Ti amo principessa”….
A perpetrare questo scempio è sempre lui,  da secoli: quell’idiota graffittaro  del Principe Azzurro, che prima di essersi specializzato nell’arte di imbratta-muri andava in giro sul suo Guzzi California  73 cavalli, tutti rigorosamente bianchi,  a salvare Principesse Addormentate.
Addormentate come e da chi, vi chiederete voi. Mah, diciamo subito che queste benedette ragazze non sapevano fare nulla di meglio che ricamare o filare la lana (il femminismo non era ancora stato inventato) e regolarmente si pungevano.... La cosa non sarebbe stata grave se l'ago non fosse stato stregato da una donna malvagia e se puntualmente le sprovvedute principesse non fossero cadute in un sonno profondissimo, simile alla morte. Soltanto il nostro Principe d'azzurro vestito, con uno dei suoi baci più energizzanti di un Pocket Coffee, poteva risvegliarle e riportarle a una vita degna di essere vissuta. 
Il povero Principe non ne poteva più di scorrazzare su e giù per il regno a sbaciucchiare incaute ragazze che si pungevano con un ago stregato  e piombavano a terra  - anzi no, su un letto a baldacchino - morte di sonno. 
Fu così che decise di cambiare mestiere, si iscrisse all'Accademia di Brera e si specializzò in “arti visive e nuovi linguaggi espressivi”. Per fare pratica, dipingeva le mura del Castello Sforzesco, dove risiedeva, e va detto che più di una volta fu arrestato   e dovette pagare fior di fiorini d’oro di cauzione per tornare a piede libero, in attesa di giudizio.  Ma un Principe, si sa,  riesce sempre  a trovare la scappatoia (a ben pensarci, anche un Cavaliere, uno in particolare…) e, nonostante le molte condanne a suo carico,  il nostro Principe Azzurro ottenne l’assoluzione  per insufficienza di prove e continuò indisturbato la sua attività di graffittaro . Ti amo Principessa, andava scrivendo da un capo all’altro del Regno e poi, quando il Regno cessò di essere tale nel 1946, su e giù per la Repubblica Italiana.
Lo so che sembra impossibile, ma il nostro Principe, oltre ad essere azzurro  come “l’azzurro mare d’agosto” della Wertmuller, era anche immortale come Christopher Lambert  nel mitico “Highlander” (Christopher Lambert però è molto più sexy...). Quindi , proprio come un principe delle favole, poteva spaziare da un secolo all’altro senza mostrare segni di stanchezza o di vecchiaia.  E fu così che il 7 maggio del  2012,  proprio mentre stava perlustrando i dintorni dell’ Idroscalo, a Milano, in cerca di muri da imbrattare, vide passare una bellissima ragazza bionda, con gli occhi manco a dirlo azzurri e le misure di una pin-up: 90-60-90. “Ti amo Principessa”  esclamò lui senza pensarci neppure un secondo. Lei lo guardò incredula, chiedendosi da quale film – forse un cartone animato di Walt Disney? -  fosse finito lì quell’assurdo personaggio.  Voltandogli le spalle, si avviò a passo svelto verso la discoteca poco lontana: The Beach.
Quando la vide entrare, lui non ebbe esitazioni: la seguì. All’ingresso fu subito bloccato da due nerboruti bodyguard di colore, che lo respinsero per due motivi ben precisi  in questo ben preciso ordine:  primo, per il  suo abbigliamento assolutamente inadeguato per quel luogo;  secondo, perché  le armi erano per lo più bandite in discoteca. In special modo le armi antiche.  Lui non si lasciò scoraggiare:  consegnò prontamente il suo  mantello azzurro e la spada, quindi spintonò senza esitazione  i due bodyguard e si fece largo verso le sale interne.
In men che non si dica la vide: eccola là, seduta su un divanetto bianco che la faceva sembrare la reginetta della festa. Accanto a lei c’era un tipo tutt’altro che raccomandabile, ma lei sembrava non avere occhi altro che per questo tamarro da quattro soldi. Il Principe era un tipo paziente. “Diamo tempo al tempo” pensò. E di tempo gliene lasciò molto a quei due, anche quello per appartarsi in un angolo buio del giardino a fare immaginate che.
Quando i due rientrarono, la ragazza  ritornò sul suo trono, anzi che dico:  sul suo divanetto. Il tipo invece andò verso il bancone a prendere qualcosa da bere.  Il Principe allora decise di rompere ogni indugio e in poche falcate si avvicinò alla ragazza. Proprio in quel momento, però, lei fece per alzarsi, ma   le girava la testa – forse aveva bevuto qualche mojito di troppo - e si accasciò sul divanetto, dove si addormentò in modo tutt’altro che regale.  Il Principe si sentì immediatamente chiamato in causa nel suo antico ruolo di   “risveglia-principesse” . Si chinò su di lei, le scostò una ciocca di capelli dalla fronte ed eccolo: il miracoloso, mirabolante, taumaturgico bacio sulle labbra.  La ragazza emise un flebile lamento e lui, incoraggiato da questo inoppugnabile segnale di successo, si prodigò in un secondo miracoloso, mirabolante, taumaturgico bacio.  A questo punto la ragazza aprì entrambi gli occhi. Lui le sorrise, ma lei  lo squadrò truce e gli urlò in faccia: “Ma che fai, stronzo, credi di poter approfittare di me solo perché sono qui ad occhi chiusi, mezza addormentata?”  “Ma no, ma cosa hai capito? Non mi riconosci? Sono il Principe Azzurro, quello della Bella Addormentata nel Bosco” balbettò lui “Volevo semplicemente svegliarti con un bacio”.  “Ma fammi il piacere, Principe Azzurro dei miei stivali!”  - lo aggredì lei – “Ma mi prendi per scema? Trova una scusa migliore e attento a te: se non la smetti con queste baggianate, chiamo i bodyguard all’ingresso e ti faccio sbattere fuori a calci. Dai, piantala, e vammi a prendere un caffè! “
Morale della favola: "Non a tutte le principesse serve il Principe Azzurro per svegliarsi. Ad alcune basta un buon caffè.”