"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 31 ottobre 2012

Tagli profondi di Luigi Zamproni

Erano giorni che la osservava, attendeva paziente un segno, l’aveva chiusa in quella stanza dove il freddo e il buio toglievano il respiro, era quasi certo che il tempo di prendersi il suo godimento, dopo tanto attendere, era ormai arrivato. L’aveva spiata, giorno dopo giorno cercando di penetrare il suo mistero. Finalmente la toccò, quello che sentì sotto la pressione delle sue dita lo convinse che il momento era giunto. 
La prima coltellata produsse un taglio netto, la carne si divise in due lembi di un rosso vivo che destarono ancor più il suo desiderio, irresistibilmente portò il secondo fendente così profondo che la lama arrivò fino all’osso.
La sensazione del metallo sulla dura superficie gli provocò un fremito lungo la schiena, fece forza cercando di staccare la carne dalla costola ma quella maledetta opponeva resistenza, non ne voleva sapere, allora estrasse il coltello e lo infilò da dietro fendendo i muscoli della schiena, più duri, tanto che dovette spingere il ferro verso il basso cercando di ottenere un risultato decente.
Nulla da fare.
Le ossa scoperte e tenute insieme da pochi muscoli filamentosi non volevano separarsi e gli rendevano difficoltoso portare a termine quello che si era prefissato. Lo spettacolo sotto i suoi occhi cominciava a provocargli un ribrezzo che saliva dal profondo, si trovava così inetto che la rabbia gli stringeva la bocca dello stomaco in una morsa feroce e questo non era assolutamente quello che desiderava. Desiderava finire al più presto ripulirsi dal rosso del sangue e finalmente trovare riposo.
Si decise, prese dal cassetto la mannaia dalla lama scintillante e con un colpo secco e preciso terminò quell’opera d’arte.
Si! Un’opera d’arte!
Ottocento grammi di carne succulenta che ora avrebbe potuto finalmente mettere sulla griglia, cinque minuti per parte, non di più, altrimenti tutto quel lavoro sarebbe stato inutile.

Luigi Zamproni

giovedì 25 ottobre 2012

Fessure a chiudere

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’inverno è alle porte.

Passo le giornate tra queste mura. Esco, accompagnata dalla mamma, solo per andare e tornare da scuola o per fare piccole commissioni. Sempre e solo con lei.

Sono figlia unica. Mamma non potrà avere più figli. E’ giovane e bella. Io disgraziatamente le somiglio, con un vantaggio però: ho 16 anni e nessun figlio.

Sono in questo paese da 11 anni. La mia integrazione è ancora in corso si sa non è facile per gli immigrati a meno che non arrivino dal Nord Europa e siano biondi con gli occhi azzurri. Loro non vengono guardati con aria sospetta o pregna di compassione soprattutto se donne. Il fatto di uscire poi cosi poco di casa non aiuta certo a farci conoscere. Le regole però non si discutono.

Vorrei che le persone che incontro per strada o a scuola avessero voglia si sapere chi sono, da dove arrivo e quali sono i miei gusti, miei sogni, le mie idee. Vorrei che mi scoprissero.

Papà quando siamo arrivati in questo paese ha cercato solo ed esclusivamente case che avessero gelosie. Si perché da dove arriviamo non esistono tapparelle.
Dice che la luce passa attraverso di esse illuminando quel che basta e quanto basta per osservare aldilà senza essere vista. Rimanendo nascosta e, dice, protetta.

Io a volte vorrei essere vista, sono qui, esisto.

Sono brava a scuola. Studio con passione senza distrazioni. La mamma mi premia a volte portandomi a casa dei nuovi Hijab. Ne ho di varie fogge. A scuola invece questo capo non riscuote molto successo. Solo Chiara, la mia compagna di classe, mi ha chiesto di poterlo provare per vedere come ci si sente. Gliene ho regalato uno; dice che non lo indosserà perché simbolo di schiavitù.
Nasconde, come le gelosie di casa; nessuno, a parte la mia famiglia e Chiara sa dei miei lunghi e ricci capelli.

Chiara vorrebbe che parlassi con papà, addirittura dice che potrebbe farlo lei se solo glielo permettessi. Dice che è uno spreco non permettermi di uscire al pomeriggio. Potrei partecipare a molte delle iniziative culturali della scuola o semplicemente studiare al parco nelle belle giornate di sole, fare delle passeggiate in bicicletta, prendere un po’ di colore sul viso che vede spento. Potrei scoprire quanto bello e arricchente sia condividere la vita con gli altri. Dice che là fuori c’è un mondo da scoprire e che papà lo deve capire. C’è un mondo che vuole scoprire me.

Coprire, scoprire, coprire, scoprire, buio, luce, buio, luce.

Amo cosi immensamente immergermi, Chiara dice nascondermi, nello studio che non penso davvero mai a quanto mi pesi e se mi pesi davvero il fatto che papà non mi permetta se non con moltissime limitazioni contatti esterni. La sua cultura, la nostra, protegge la donna dagli sguardi estranei, da quelli maschili poi più degli altri. Una protezione è un gesto d’amore.

Più sei protetta più sei amata.

Mi amerà mai Antonio? E’ il ragazzo che tutte le mattine arriva sotto casa per caricare i bambini del quartiere sul bus che li accompagnerà all’asilo.
Lui non sa nemmeno che esisto.

Attraverso la fessura della gelosia della mia camera lo osservo.

Adoro i suoi capelli, lisci, con quel ciuffo che ogni volta che si china uscendo dall’abitacolo gli scivola delicatamente fino ad accarezzargli e nascondergli l’occhio. Ciuffo che riporta poi al suo posto con un colpo di capo come se dovesse allontanare un moscerino.
Se fossi quel moscerino sarei già ad un buon punto della felicità.

E’ dolce Antonio. Vorrei aprire questa gelosia e fargli ciao con la mano. Ma la gelosia rimane chiusa ai suoi occhi. Quella di papà invece mi porterebbe ad una sicura punizione e per non creare dissapori che ferirebbero per prima la mamma mi accontento della luce che entra e dell’immagine che ho di Antonio dandogli il benvenuto nella mia camera anche se a sua insaputa.
E’ il primo uomo a parte papà che entra nella mia camera. Cosi immagino.

Il mio nome pronunciato a gran voce da papà mi distoglie da Antonio.
Arrivo papà, un attimo, metto lo Hijab e sono pronta.

Un ultimo sguardo aldilà della gelosia e poi di corsa verso papà che mi aspetta per portarmi a scuola come ogni mattina. Appena scesi il bus di Antonio è già ripartito come sempre.

Alzo lo sguardo verso la gelosia della mia camera ed immagino come sarebbe se fosse spalancata.

E’ una bella sensazione.

Aldilà un soffitto immacolato ed io, aldiquà Chiara e Antonio che mi salutano con la mano e mi urlano : sbrigati che il cinema non ci aspetta!
 

mercoledì 24 ottobre 2012

UNA STORIA VERA

Rientrato a casa anticipatamente da una battuta di caccia all'elefante, il generale Ugo Von hupert trovò sua moglie Elisa de Courtier in Von Hupert, in camera da letto in atteggiamento inequivocabile con uno splendido esemplare d'asino.
L'asino si chiamava Erbert Fustemberg.
Ad aggravare ulteriormente la situazione, bisogna aggiungere che l'asino era anche il miglior amico del Generale.
Elisa de Courtuer chiese, come se nulla fosse, come mai il marito fosse rientrato prima dalla battuta di caccia.
“Non ho trovato elefanti.” rispose l'uomo sotto shock.

Va detto che molto spesso le battute di caccia all'elefante del generale non erano fruttuose, dato che la coppia viveva a Milano, quartiere Grattosoglio, dove elefanti ne girano ben pochi, da quando sono stati abbattuti gli alberi di banane per fare posto ad un centro commerciale.

L'asino Erbert Fustemberg cercò di alzarsi dal letto ma il generale imbracciando il fucile gli intimò di non muoversi. L'animale emise un flebile raglio e alzò le zampette posteriori al cielo. La donna invece pareva divertita dalla situazione.
“E adesso cosa vuoi fare,Ugo, ucciderci?” chiese guardando l'uomo dritto negli occhi, alzando il mento in segno di sfida. Ella odiava il marito, da quando tre mesi prima lo aveva scoperto mentre completamente nudo si faceva infilare per via anale un gelato della Motta dal suo maggiordomo Erik.
Il gelato era un maxibon classico ricoperto al cacao.
“Come hai potuto farlo? Con Erbert poi, il mio miglior amico!” urlò il Generale.
L'asino, famoso negli ambienti equini oltre che per essere un tomber de femme, anche per la sua vigliaccheria, balbettò delle scuse, cercando di addossare la colpa alla donna. Elisa de Courtier rise forte, quindi si alzò in piedi sul letto. Era completamente nuda, ad eccezione di un paio di stivali di pitone con degli speroni aguzzi. Era una donna molto bella, con dei seni grossi come meloni mantovani, cosa particolrmente strana, dato che nessuno dei suoi parenti viveva in quella provincia.
“Avanti, sparami Ugo, dritta al cuore, così potrai divertirti con il tuo maggiordomo e tuoi gelati motta!” esclamò lei.
“ Allora sai!” balbettò Ugo, sconvolto. La donna annuì. L'asino fece finta di niente, ma anche lui sapeva del tragico vizio del Generale. Aveva avuto quella informazione dal maggiordomo Erik, l'unica persona al mondo che l'asino amasse veramente.
Bisogna dire però che il maggiordomo Erik non nutriva nessun sentimento per l'asino Herbert, per lui era solo una questione di sesso. Egli riservava il suo amore per la brunetta dei ricchi e poveri, d a quando da bambino aveva ascoltato alla radio Sarà perchè ti amo.

Va specificato che la brunetta dei ricchi e poveri, nulla sapeva di tutta questa faccenda.

Neanche gli altri componenti del gruppo.

Nel frattempo l'asino si era stufato
di tutta quella situazione e con un balzo si lanciò dalla finestra, precipitando per tre piani verso la morte certa. Fortuna volle che un gruppo di penne nere stava festeggiando in strada il 140esimo anniversario della costituzione del corpo degli alpini, e l'asino finì dritto dentro un pentolone di polenta taragna. Fu prontamente salvato.
Ne nacque una bella e profonda amicizia tra l'asino e gli alpini, che dura tutt'ora.

Tre piani sopra, il generale Ugo Von Hupert abbassò l'arma, che aveva puntato verso la moglie e scoppiò a piangere. Era un uomo ferito nell'orgoglio e nell'onore. Voleva morire, o in alternativa diventare calvo precocemente.
Non sospettava di essere già calvo da anni.
La moglie Elisa de Courtier in Von Hupert, tutte le notti mentre egli dormiva, con un carboncino nero gli disegnava sulla testa una folta capigliatura nera. Perchè, nonostante il marito si fosse infilato per via anale centinaia di gelati Motta, lei continuava ad amarlo disperatamente.

Elisa de Courtier in Von Hupert scese dal letto e andò ad abbracciare il marito, che la strinse forte.
“Cara, perdonami” mormorò Ugo “ti prometto che cambierò, porrò fine ai miei vizi. Ti prego, ricominciamo!”
Lei lo accarezzò teneramente, quindi lo baciò sulla punta del naso.
“Si, Ugo.lasciamoci dietro il passato, ricominciamo. Non pensiamo più ai gelati, agli asini, al maggiordomo, ai tre fratelli Sakarov, detti gli sfrenati del sesso...”.
“Quali fratelli Sakarov?” chiese il Generale.
Elisa de Courtier in Von Hupert baciò il geneale, tappandogli la bocca.

AMICHE PER SEMPRE

Domani Arianna e io festeggeremo il nostro primo anniversario di amiche del cuore.
Devo assolutamente comprarle un regalo bellissimo, originale e unico come unica è la nostra amicizia.
Ci siamo conosciute il primo giorno di scuola, io mi sentivo un po' spaesata, non conoscevo nessuno poi il mio sguardo si è posato su di lei, i suoi occhi brillavano come quelli di Sailor Moon, ci siamo avvicinate e da quel momento siamo diventate inseparabili.
Amiche del cuore, da subito, noi, solo noi, sempre insieme.
Le altre ragazze della classe ci prendono in giro ma solo perchè sono invidiose; ce n'è una poi che proprio non sopporto, una tale Giusy, una nana schifosa e maligna, ogni volta che ci vede passare ci lancia delle frecciatine , ci chiama le gemelline... gne gne gne ma quanto la odio!
Io e Ari facciamo tutto insieme, unite contro il resto del mondo. Nessuna di noi si sognerebbe mai di uscire con qualcun altro.
Questi ultimi mesi sono stati i più felici della mia vita e voglio che continui così PER SEMPRE.
Ho detto alla mamma della ricorrenza, mi aspettavo che fosse felice per me e si offrisse di darmi i soldi e invece...lei sostiene che il regalo all'amica del cuore lo devo fare con I MIEI SOLDI, ma siamo impazziti? Quelli mi servono per altre cose. Uffà ma perchè è così? Perchè deve sempre rompere...perchè mi sta sempre addosso? Non potrebbe dirmi di si ogni tanto?
Macchè, sono proprio sfortunata! Meno male che c'è Ari nella mia vita sennò come farei?
Sono dovuta scendere a un compromesso: un po' di soldi dei miei e un po' di quelli di mamma: appena lei è andata in bagno le ho "prelevato a mo' di bancomat" un pezzo da 5 e delle monetine così sono sicura che non se ne accorgerà.
Sono uscita di corsa e mi sono precipitata per negozi per paura di non fare in tempo. Ho girato e rigirato ma niente mi convinceva, tutto banale, tutto scontato.
A un certo punto però una cosa mi ha attirata verso la vetrina di un tabaccaio: una fatina di ceramica tale e quale a lei: stessi occhi, stessi capelli di Arianna.
Sono entrata e l'ho comprata. Costava un po' ma era perfetta, c'era scritto TI VOGLIO BENE e c'era pure una cornicetta per mettere una foto.
Sono uscita felice, col cuore che batteva a mille. Mancava solo una mia foto da mettere nella cornice poi avrei potuto fare il pacchetto e scrivere il biglietto più bello del mondo.
Sono corsa alla macchinetta delle foto per documenti. Era occupata, sentivo parlottare, ogni tanto partiva il flash e poi giù risatine.
C'era qualcosa di familiare nelle due paia di gambe che spuntavano da sotto la tenda. Sento pronunciare il mio nome, è la voce di Arianna e lì dentro con qualcuno!
Non ci posso credere. "Fanculo le vostre foto" grido aprendo la tenda di botto. L'ho trovata lì, abbracciata a Giusy, maledette tutte e due.
L'ho guardata con le lacrime agli occhi. Ari non ha detto una parola, avrebbe almeno potuto provarci, inventare una scusa, dire non è come sembra, sorridermi. Invece nulla.
Il mio mondo è crollato. Ho scaraventato per terra il regalo che avevo cercato con tanto affanno e ci sono saltata sopra a piedi uniti biascicando parole come: traditrice, schifosa, ti odio, non voglio vederti mai più. Ho sentito un rumore e un soffio di vento: era la macchinetta che sputava fuori la foto di Ari e Giusy. Era una foto sola, grande, di quelle scherzose; ritraeva loro due, abbracciate e sotto, in rosso, una scritta diceva AMICHE PER SEMPRE.

Gelosia: variazioni sul tema


“Gelosa io? Figuriamoci!” Quante volte l’ho ripetuto!
Ma un  giorno, mentre sto parlando al cellulare con Giorgio, il mio fidanzato,  sento in sottofondo il suono di un altro telefono. Immediatamente lui mi dice “aspetta un secondo”. Risponde (a chi?) con una voce strana e sento che si scusa : “Mi spiace,  ho una persona in attesa sull’ altro cellulare, ti richiamo fra un attimo”. Poche parole, ma il suo tono  è caldo, carezzevole. Poi riprende a parlare con me e mi dice frettoloso: “Perdonami, amore, devo salutarti.  E’ una faccenda di lavoro, a dopo. Ci vediamo alle otto da te”.
Lavoro? Mah, sarà. Voglio crederci, non posso pensare che sia una donna, che ci sia sotto qualcosa. Mi fa star male anche il solo immaginarlo. Eppure…. Eppure qualcosa dentro di me mi dice che quella non era una telefonata di lavoro. Improvvisamente mi ritrovo a macchinare delle cose folli: “Come posso sapere chi è? Stasera, quando saremo insieme, devo indagare. Anzi no, appena posso, gli prendo di nascosto il cellulare e controllo le sue ultime chiamate. Ma no, ma no! Cosa dico? Cosa penso di fare? Non posso cadere così in basso! Ho un orgoglio, io, una  dignità!
Non farò nulla, se sta innamorandosi di un’altra donna, se magari sta già con lei, mi comporterò civilmente, senza drammi: mi leverò di torno, senza recriminare, senza scene patetiche.”
Sono le sette di sera. Mi sto preparando per uscire con Giorgio e sono quasi riuscita a scacciare il fantasma della gelosia dalla mente. Menomale!  Ma ecco, il cellulare squilla e sul display compare il suo nome. “Tesoro, perdonami, mi dispiace moltissimo. Quella persona che mi ha chiamato oggi quando ero al telefono con te è una copywriter, c’è  un problema per la pagina della rivista che deve andare in stampa domani, devo assolutamente fermarmi qui in ufficio a sistemare il testo”.
Di nuovo il sospetto si fa largo.  Penso: “E me lo dici adesso? Non lo sapevi già da ore, non potevi chiamarmi un po’ prima?”.
L’irrazionalità prende il sopravvento. Non c’è più dignità,  non c’è più orgoglio che tenga: prendo la mia Panda e inforco la strada verso il suo ufficio. Di solito la sua auto è  posteggiata nel parcheggio sotterraneo, devo accertarmi che sia realmente lì anche ora. Ah! Che sollievo, la sua Audi c’è ed io mi tranquillizzo: “Ok, deve proprio lavorare, non era una bugia”. Ma nel momento stesso in cui  sto per ripartire, lo vedo arrivare avvinghiato a una brunetta che sarà alta la metà di lui. Non ci posso credere! Non è neppure bella, una donna come tante. Salgono in macchina insieme, li vedo baciarsi. Il mio stomaco si attorciglia su se stesso, ho il respiro affannoso, mi gira la testa. Me ne sto nascosta dietro una colonna del posteggio  per non farmi vedere: mi vergognerei troppo se lui mi scoprisse qui a spiarlo. Ma poi ci penso: “Ah sì?... sono io a dovermi vergognare?E tu, brutto stronzo? Sei un verme. Oltre a tradirmi, mi racconti un sacco di palle, mi stai prendendo per il culo.”   Eppure continuo a starmene lì ferma, impalata. Vorrei avere il coraggio di affrontarlo,  di sputtanarlo davanti agli occhi di lei, della brunetta che sta per scoparsi.  Ma porca puttana, non ci riesco.  
Aspetto che loro se ne vadano e con gli occhi annebbiati dalle lacrime mi rimetto in macchina e guido come un automa verso casa. Penso ai mille modi in cui potrei vendicarmi: presentarmi alla sua porta e rovinargli la serata, per esempio. Ma poi? Che soddisfazione sarebbe? Umilierei me stessa, non lui.
“E chi se ne frega” - decido tutt’a un tratto - Chi se ne frega dell’umiliazione. Più umiliata di così!” E allora riprendo la mia Panda, volo sotto casa sua e guardo su,  al terzo piano. Naturalmente la sua finestra è illuminata. Allora mi attacco come una pazza al citofono e pigio, pigio quel tasto fino a farmi male.  “Chi è? Cosa succede?” risponde lui con voce seccata. “Stronzo, sei uno stronzo, uno stronzo, uno stronzo!!! E affanculo il sovoir faire, la dignità e tutte quelle cose lì. 

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“Gelosia ah ah, gelosia ah ah, è l’amore che non ti sorride più. La credevo un sentimento ed è una malattia…..”  Ecco sì, una malattia, come cantava Nada.  La gelosia è UNA MALATTIA!
Per esempio, il  cellulare  di lui bippa per segnalare l’arrivo di un sms.  Lui prende il telefono, legge  e si affretta a rispondere un po’ di soppiatto, o almeno così a te sembra. E tu hai già deciso: ecco, ha un’altra. Non è detto che lui davvero abbia un’altra donna e ti tradisca, ma nel momento stesso in cui si insinua il dubbio e tu non lo respingi immediatamente, sei fottuta. Anche se lui non ti ha tradita per niente,  anche se l’sms era un semplice avviso della Tim, tu tanto dirai e tanto farai che te lo tirerai addosso, il tradimento. Ti trasformerai in un Tom Ponzi in gonnella,  lo seguirai, lo spierai, gli prenderai il cellulare appena lui lo dimenticherà per casa e leggerai i suoi sms, verificherai ogni sua chiamata. 
Non scoprirai nulla? Non importa. Significa che lui è abilissimo a nascondere le tracce dei suoi tradimenti.  Sembra quasi che tu speri che lui ti tradisca, perché a questo punto devi dimostrare (sa dio a chi e perché) che non ti sei sbagliata. E poi lo tempesti di frecciatine che lui accoglie con aria perplessa… “Eh sì, chissà quante telefonate hai ricevuto oggi!” “Mah… sì – risponde lui – oggi in ufficio i clienti non ci davano pace.” La malattia – la gelosia – si aggrava di giorno in giorno. Tu gli piombi sotto l’ufficio inaspettatamente proprio mentre lui sta cercando di sganciarsi dal suo collega, di cui non ne può più, e inviti questo a cena. Tuo marito ti fa gli occhiacci, non ha proprio voglia di sorbirsi quel rompicoglioni  per altre tre ore almeno, ma tu imperterrita insisti perché il collega venga a casa vostra. Speri di carpirgli qualche segreto su quell’altra. L’altra donna, ovviamente.
Poi ti metti in mente di fare quella sexy, sempre per competere con l’altra. E allora alè: abbigliamento intimo da zoccola, preservativi extrastimolanti, anelli vibranti, tutte le cento posizioni del kamasutra.  Tuo marito comincia a pensare che il suo modo di fare sesso  non ti piaccia più. Che tu sia stanca di lui, annoiata.  Forse - sospetta -  tu hai un altro... sei così strana in questo periodo! 
La storia per il momento finisce qui.  Attendiamo gli sviluppi della malattia.