"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

giovedì 25 ottobre 2012

Fessure a chiudere

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’inverno è alle porte.

Passo le giornate tra queste mura. Esco, accompagnata dalla mamma, solo per andare e tornare da scuola o per fare piccole commissioni. Sempre e solo con lei.

Sono figlia unica. Mamma non potrà avere più figli. E’ giovane e bella. Io disgraziatamente le somiglio, con un vantaggio però: ho 16 anni e nessun figlio.

Sono in questo paese da 11 anni. La mia integrazione è ancora in corso si sa non è facile per gli immigrati a meno che non arrivino dal Nord Europa e siano biondi con gli occhi azzurri. Loro non vengono guardati con aria sospetta o pregna di compassione soprattutto se donne. Il fatto di uscire poi cosi poco di casa non aiuta certo a farci conoscere. Le regole però non si discutono.

Vorrei che le persone che incontro per strada o a scuola avessero voglia si sapere chi sono, da dove arrivo e quali sono i miei gusti, miei sogni, le mie idee. Vorrei che mi scoprissero.

Papà quando siamo arrivati in questo paese ha cercato solo ed esclusivamente case che avessero gelosie. Si perché da dove arriviamo non esistono tapparelle.
Dice che la luce passa attraverso di esse illuminando quel che basta e quanto basta per osservare aldilà senza essere vista. Rimanendo nascosta e, dice, protetta.

Io a volte vorrei essere vista, sono qui, esisto.

Sono brava a scuola. Studio con passione senza distrazioni. La mamma mi premia a volte portandomi a casa dei nuovi Hijab. Ne ho di varie fogge. A scuola invece questo capo non riscuote molto successo. Solo Chiara, la mia compagna di classe, mi ha chiesto di poterlo provare per vedere come ci si sente. Gliene ho regalato uno; dice che non lo indosserà perché simbolo di schiavitù.
Nasconde, come le gelosie di casa; nessuno, a parte la mia famiglia e Chiara sa dei miei lunghi e ricci capelli.

Chiara vorrebbe che parlassi con papà, addirittura dice che potrebbe farlo lei se solo glielo permettessi. Dice che è uno spreco non permettermi di uscire al pomeriggio. Potrei partecipare a molte delle iniziative culturali della scuola o semplicemente studiare al parco nelle belle giornate di sole, fare delle passeggiate in bicicletta, prendere un po’ di colore sul viso che vede spento. Potrei scoprire quanto bello e arricchente sia condividere la vita con gli altri. Dice che là fuori c’è un mondo da scoprire e che papà lo deve capire. C’è un mondo che vuole scoprire me.

Coprire, scoprire, coprire, scoprire, buio, luce, buio, luce.

Amo cosi immensamente immergermi, Chiara dice nascondermi, nello studio che non penso davvero mai a quanto mi pesi e se mi pesi davvero il fatto che papà non mi permetta se non con moltissime limitazioni contatti esterni. La sua cultura, la nostra, protegge la donna dagli sguardi estranei, da quelli maschili poi più degli altri. Una protezione è un gesto d’amore.

Più sei protetta più sei amata.

Mi amerà mai Antonio? E’ il ragazzo che tutte le mattine arriva sotto casa per caricare i bambini del quartiere sul bus che li accompagnerà all’asilo.
Lui non sa nemmeno che esisto.

Attraverso la fessura della gelosia della mia camera lo osservo.

Adoro i suoi capelli, lisci, con quel ciuffo che ogni volta che si china uscendo dall’abitacolo gli scivola delicatamente fino ad accarezzargli e nascondergli l’occhio. Ciuffo che riporta poi al suo posto con un colpo di capo come se dovesse allontanare un moscerino.
Se fossi quel moscerino sarei già ad un buon punto della felicità.

E’ dolce Antonio. Vorrei aprire questa gelosia e fargli ciao con la mano. Ma la gelosia rimane chiusa ai suoi occhi. Quella di papà invece mi porterebbe ad una sicura punizione e per non creare dissapori che ferirebbero per prima la mamma mi accontento della luce che entra e dell’immagine che ho di Antonio dandogli il benvenuto nella mia camera anche se a sua insaputa.
E’ il primo uomo a parte papà che entra nella mia camera. Cosi immagino.

Il mio nome pronunciato a gran voce da papà mi distoglie da Antonio.
Arrivo papà, un attimo, metto lo Hijab e sono pronta.

Un ultimo sguardo aldilà della gelosia e poi di corsa verso papà che mi aspetta per portarmi a scuola come ogni mattina. Appena scesi il bus di Antonio è già ripartito come sempre.

Alzo lo sguardo verso la gelosia della mia camera ed immagino come sarebbe se fosse spalancata.

E’ una bella sensazione.

Aldilà un soffitto immacolato ed io, aldiquà Chiara e Antonio che mi salutano con la mano e mi urlano : sbrigati che il cinema non ci aspetta!
 

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