"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

venerdì 29 aprile 2011

Papà

Eccoci qui.
Sono passati anni dall'ultima volta che ci siamo visti. Lo sai quanti?
Te lo dico io. Quindici. In questi anni ho consumato vite intere, le ho fumate, bevute, bruciate, dissipate. Le ho masticate sino a succhiarne tutto il gusto e poi le ho sputate via, lontano da me.
Di tutto questo tempo passato non mi è rimasto nulla, neanche una foto da farti vedere. Non ho niente con me, solo questo vecchio zaino. Tutto non ci può stare, e allora bisognerebbe scegliere che cosa infilarci dentro, organizzare gli spazi, decidere le priorità. Ci vuole precisione.
Io non sono più così, e allora viaggio leggero. Il mio zaino non ha memoria.
Eppure di strada ne ho fatta tanta che ne ho sfondate di scarpe, e per ogni via che ho percorso una nuova ruga mi ha solcato il viso, a metterle in fila ti porterebbero dritto sulla luna, andata e ritorno. E cose ne ho viste che a raccontartele mi servirebbe un'altra vita da riempire di parole e luoghi e visi e teatro e canzoni e libri e cinema!
Ci si riempie un'altra vita solo a parlare di quello.
Le cose che ho fatto, che non ti renderebbero orgoglioso di me, sono magazzini pieni.
Ma sentimi, sembro uno di quei vecchi rintronati che parla al nipotino dei giorni andati, e invece sei tu il vecchio qui, lo eri già tanto tempo fa, quando ci siamo lasciati. Toccherebbe a te mettere in moto i ricordi, narrarmi storie.
Eppure storie, tu, non me ne hai raccontate mai.
Parlavi si, e quanto: spiegavi, comandavi e facevi eseguire con quella voce ruvida da scorticare la pelle, che non mi capacitavo come potesse appartenerti, esile come eri, quella voce da orco delle favole che ti usciva dalle labbra. C'erano notti che mi svegliavo convinto di averti sentito urlare, mi alzavo e venivo a spiarti nella tua camera, e tu invece dormivi rannicchiato nell'angolo del letto come un cuscino sgualcito. Russavi, e anche quel russare era nero come la pece.
Hai mai sognato? E se si, cosa?
Mi sono fatto questa domanda tante di quelle volte, e mi sono sempre risposto di no. Eri così pragmatico, così concentrato nel reale che persino sognare ti sarebbe parso una perdita di tempo. Ti immaginavo a dormire e intanto prendere decisioni, pianificare, decidere. Per me, per il mio futuro.
Io invece sognavo.
Ti ricordi quella volta che mi beccasti con un fumetto in mano? A ripensarci sento ancora le fitte nella schiena e il mio singhiozzare per convincerti che non lo avrei più fatto, non avrei più perso tempo con quelle stupidate, che si avevi ragione, quei disegni con quelle storie sciocche mi mangiavano il tempo, rubavano spazio allo studio, all'apprendimento.
Studiare studiare studiare. Quante ore mi hai fatto passare a studiare su uno spartito ad inseguire le note che a ricordarlo sento ancora gonfiarsi le dita, così gonfie da perdere la sensibilità. Ma questo non mi importava, perchè suonare era la mia vita e la fatica mi piaceva. Cercare la perfezione non mi ha stancato mai. Nonostante te. Lo sai? avresti potuto farmi odiare la musica con il tuo sproloquiare di dedizione al lavoro, le tue punizioni, e tutto quel parlare di rigore. Rigore. Rigore.
Che pena mi fai. Così coerente.
Se non avessi amato così profondamente ogni nota, se non ne avessi colto la bellezza e mi fossi affidato a te, a quest'ora disprezzerei ogni strumento, tutta la musica di questo mondo. Mi sarei imposto la sordità. Invece non ci sei riuscito. Sei stato un pessimo maestro, hai fallito, e io sono salvo.

mercoledì 27 aprile 2011

allevamento di struzzi


Mio padre l'altro giorno ha deciso di mettersi in proprio e aprire un allevamento di struzzi. E’ andato ad una fiera del bestiame e ne ha visti 7 belli grossi e li ha comprati a rate mensili di 480 euro.
Primo problema, arriva a casa e non entrano in ascensore.
Va be, dice, si sale per le scale, non sarà questo a fermare un imprenditore.
Alla terza rampa si apre una porta e la signora Mariuccia dice:
Uè, ma cosa sono quelle bestie li??”
Canarini”
Mai visti di così grossi”
Canarini africani”
Non può lasciarli andare in giro così, li deve tenere in gabbia”
Va bene signora Mariuccia, ma adesso le conviene rientrare se nò la butto giù dalle scale con tutta la sedia a rotelle”
No che non ho ancora finito di pagarla! Però stasera le conviene venire alla riunione di condominio che discutiamo di questa faccenda. Barbun!”
E ha chiuso la porta.
Altro problema, arrivato nel nostro appartamento mia madre si è arrabbiata di brutto:
Dovevi prendere il terreno prima! Dovevi prendere il terreno prima!”
E va bene, ma se non hai la mentalità manageriale! Devi essere propositiva!"
E gù a discutere. Si fa sera, mio padre deve andare alla riunione condominiale. Non sa cosa fare. Per fortuna in casa trova una lattina di vernice gialla, prende uno struzzo e gli da una bella passata. un lavoro di fino, piuma per piuma.
Sembra proprio un canarino. Lo porto con me, magari fa tenerezza..”
io scuoto la testa sconsolato, so già come andrà a finire. Infatti, appena entra nella sala riunioni, i condomini lo aggrediscono. La signora Mariuccia, una donna che per fortuna del marito è vedova, esclama tutta gitata:
 Non è un canarino, non vola! Non è un canarino!"
Il signor Cavizzi, ex cacciatore di frodo tira fuori un fucile e fa:
Abbattiamolo!”
Lo struzzo appena sentito questa parola per la paura ha cercato di mettere la testa sotto terra.
Prova tu a cercare di infilare la testa nel pavimento di una casa popolare in cemento armato.
A dato una testata pazzesca alla piastrella. Pac!
Secco.
Mio padre ci è rimasto male.
Non si sono inteneriti quelli del condominio. Ha dovuto dare via gli altri struzzi.

Spiace perché erano animali simpatici, anche di compagnia, si rideva, si scherzava. Si stava un po’ stretti in casa a dire il vero, e poi tendevano a monopolizzare il telecomando, ma per il resto niente da dire.Comunque mio papà li ha dovuti rivendere a metà prezzo a un macellaio abusivo che ne ha fatto bistecche.
Ora mio papà non ha nessun lavoro, però forse a settembre entra nella criminalità organizzata, con i libri e tutto quanto in regola.

lunedì 25 aprile 2011

SOGNAVO DI CORRERE LONTANO di Ron McLarty


Un uomo su di una bicicletta alla ricerca di sè stesso e di un sogno.

«Sognavo di correre lontano deve assolutamente trovare un posto nella vostra libreria, e sullo scaffale dei classici della narrativa americana. Ora tocca a voi saltare in sella e attraversare l'America con Smithy. E pedalare con lui mentre varca confini, perde peso, si innamora scopre la vita. Riderete e piangerete... e di sicuro amerete questo romanzo che adesso, fortunatamente, potete trovare in libreria. Fidatevi di me!» -- Stephen King


Smithy Ide ha quarantatré anni, pesa cento-ventisei chili e, con ancora indosso l'abito scuro del funerale dei genitori, inforca la bicicletta della sua adolescenza e comincia a pedalare: la meta è Los Angeles, giusto all'altro capo degli Stati Uniti, alla ricerca dell'amatissima e sfortunata sorella Bethany, di cui da tempo ha perduto le tracce. Armato soltanto della sua buona volontà, Smithy inizia un viaggio avventuroso e denso di sorprese.

Partito dal Rhode Island, in un accidentato percorso sarà, via via, investito da un pick up, si beccherà una pallottola da un poliziotto, verrà rapinato, minacciato, insultato, ma troverà anche chi saprà apprezzarlo, coccolarlo e amarlo.

La sua incrollabile fiducia nel prossimo, la sua integrità e il suo candore resteranno immutati, malgrado le batoste del destino.

Prestando aiuto a un malato di AIDS, salvando un bambino disperso in una bufera di neve, agendo sempre spinto dal suo cuore, entrerà nelle vite di innumerevoli sconosciuti e questi interagiranno con la sua, determinandone svolte e fuori programma. Fino ad arrivare a una destinazione imprevedibile.

Un romanzo di formazione, una storia forte, un protagonista della più autentica tradizione letteraria americana.

giovedì 21 aprile 2011

L' amante

Conoscevo Gigi da una vita.Diventammo amici ai tempi della scuola materna. Da allora condividevamo tutto,gioie e dolori, è proprio il caso di dirlo. Avevamo l'abitudine di farci, ogni tanto,un aperitivo dopo l'ufficio. Gigi era un uomo tutto d'un pezzo.Coerente nell'esprimere le sue idee e fermamente convinto dei valori della famiglia e del matrimonio, della sua indissolubilità.
Fu proprio in occasione di uno di quegli aperitivi che mi fece una confessione.
Una sera ci trovammo nel solito locale.Un pub stile inglese con sgabelli e tavolini molto alti. Dietro il bancone un grande specchio guardando il quale si poteva vedere tutto il locale.
Ci sedemmo in una zona un pò appartata ed ordinammo subito i nostri aperitivi. Gigi,che era un tipo loquace, non parlava e aveva lo sguardo fisso sul tavolino, fatto di legno, quasi ne volesse contare le venature. Intanto il barista ci portò gli aperitivi,due bibite colorate guarnite con giallissime fette di limone.
Più che due aperitivi sembravano due manifesti di un qualche carnevale che si sarebbe festeggiato chissà dove.
Come il barista se ne andò Gigi alzò lo sguardo verso di me.Puntò i suoi occhi grigi dritti nei miei e mi disse:
" Ho un 'amante" (mi disse).Rimasi di stucco e stentavo a crederlo. Mi disse che la vedeva tutti i giorni o quasi. " Deve esserne proprio innamorato" pensai. Pensai anche che stesse scherzando,per il modo sorridente con il quale mi fece questa
confidenza. Da quel giorno tutte le volte che ci incontravamo mi parlava di lei. Di come lui non potesse rinunciare ad incontrarla e di quanto le costava. Pensai che la sua amante fosse tale solo per denaro ma, pur non approvando quella relazione, cacciai dalla mia mente quell'ipotesi. Una sera, stavo aspettando il mio amico fuori dal suo ufficio per il solito incontro prima di cena, quando lo vidi uscire.Puntuale come sempre alle 18,05.Prima che si accorgesse della mia presenza notai sul suo volto un'espressione tesa,come di chi teme di essere scoperto perché sa
che sta combinando qualcosa di grave." Non si ricorda dell'appuntamento" pensai.La cosa mi
sembrava molto strana.Non mi feci vedere e lo seguii.Sicuramente stava raggiungendo la sua amante. Entrò in un bar poco distante.Entrai anch'io, senza farmi notare naturalmente. Lo osservai di sottecchi ed ecco la vidi: era lei.Le si avvicinò e cominciò ad accarezzarla e a
coccolarla. Lei subito gli rispose con suoni elettronici,luci colorate e musichette allegre. Raramente emetteva anche parole metalliche..tin, tin, tin, tin, ripetutamente per decine di volte. Gigi era come in estasi.Esultava gridando con un'espressione di godimento,sembrava uno strano
orgasmo durante un amplesso tra carne e metallo. Gigi qualche volta ficcava una mano in tasca per trarne una banconota che si faceva cambiare in
tante monetine con le quali convinceva lei a cominciare un altro amplesso.La accarezzava e la
coccolava. Le imprecava contro anche, la picchiava se non emetteva quel tintinnio che gli dava godimento. Avevo gli occhi fissi su di lui come se fossi ipnotizzato.Quasi si accorse di me ed uscii
velocemente da quel locale. Attesi fuori.Stava uscendo e per non farmi vedere mi nascosi dietro un furgone.Notai la
sua espressione serena, soddisfatta e sorridente: direi quasi .....felice.
Mi feci coraggio e cercai di raggiungerlo chiamandolo:" Gigi, Gigi....aspettami". Si voltò sorridente. " Ti ho visto là dentro, pensavi che non mi fossi accorto di te ?" disse. "Avrei voluto presentartela" continuò. " Chi ?" domandai. " Ma lei, la mia amante" esclamò Gigi. Rimasi senza parole. In un attimo capii tutto. Quando mi confidò di lei voleva esorcizzare il suo
vizio. Quella dannata macchinetta era la sua amante.Non un'amante in carne ed ossa ma di metallo
con tanto di voce, ma elettronica e metallica . Ne era davvero innamorato, ma di quell'amore drogato , che ti fa male e dal quale non ti liberipiù. Lo accompagnai a casa senza che ci scambiassimo una parola.Solo un saluto sul portoncino
della sua abitazione:" Addio". " Addio ?" mi chiesi.Era uno strano modo di salutarci ma non ci feci caso.Quella scoperta mi
aveva stremato fisicamente ed emotivamente. Il giorno dopo mi telefonò la moglie di Gigi, piangendo disperata, singhiozzando.
Gigi,il mio amico Gigi si era tolto la vita la sera stessa in cui mi diede quello strano addio. Rabbrividii alla notizia e cominciai a piangere.Piansi, piansi, piansi tanto. Aveva lasciato una lettera alla moglie: " Perdonami se ti ho tradito, per lei ho perso tutto e perdo te.Non resisto alla vergogna". La sua amante di metallo gli aveva preso veramente tutto:i soldi, la famiglia e gli amici. Lei, però, è sempre in quel locale ad attendere il suo prossimo amante.

Enrico v



Nel 1989 il giovane attore Kenneth Branagh approda alla regia cinematografica con questo film. Il film ha dei momenti di grande cinema. Ho scelto due sequenze su tutte: Il discorso di San Crispino,( per chi sa l'inglese guardatelo in lingua originale) e lo splendido piano sequenza finale. Una piccola curosità, il ragazzo che il Re porta sulle spalle è l'attore Cristian Bale, il futuro Batman.

COLLA

“L'Aquila, 2 apr. - Gli agenti della squadra Volante della Questura dell'Aquila hanno fermato nel pomeriggio una donna romena di 23 anni con l'accusa di furto. La giovane e' accusata di aver rubato nel corso di vari incursioni qualcosa come 10 mila euro di sola colla "Attack" nel negozio "Brico Io" nelle vicinanze della stazione ferroviaria. Quando gli agenti hanno fermato la romena di 23 anni, nascosti sotto la gonna, aveva tubetti di colla per un importo di 600 euro”

Sono l’ispettore Floragani di Chieti e fra tutte le notizie lette in queste prime ore della giornata questa è la sola ad avermi distratto dalla noia perenne che affligge la mia lettura mattutina dei quotidiani. Indagheremo ma chiedo al mio intuito perché una giovane donna romena debba rubare tutti quei tubetti di colla Attack?!

Non trovate sia bizzarra come cosa? Io moltissimo. Sono abituata alle peggiori manifestazioni che l’animo umano possa creare, credetemi, anche alle più improbabili, ma questa ragazza…bah.

Tra poco inizia l’interrogatorio e vedremo di capire un po’ meglio con chi abbiamo a che fare.

Prego Eva , si accomodi. Vuole dell’acqua? Mi chiede del succo di mela. Cominciamo bene!

Non lo abbiamo il succo di mela in questura. Al massimo della coca cola. Un largo sorriso si fa spazio ed illumina il volto della ragazza. Pare molto più giovane dei suoi anni.

Porta un gonnellone a fiori ed una maglietta a righe gialle e nere. Sarebbe un ottimo bersaglio per uno sciame d’api. Delle scarpette di tela colorata come la tshirt.

E’ arrivata qui da bambina, con la madre. Il padre è da qualche parte da sempre mai dalla sua però. Abita in una casa popolare. Solite storie di ordinaria precarietà di vita.

Eppure nel suo sguardo c’è una tale serenità da non lasciare indifferenti, gentile sorridente e come dire….primaverile! Sprizza pulizia d’animo, profumo di pulito.

Le chiedo perché mai tutti quei tubetti di Attack? Mi fa un sorriso e mi dice che da quando ha conosciuto Marco, nel parco dell’università dove lei lavora come addetta alle pulizie, è il minimo che possa fare per ricambiare. Lui con me è stato come un fratello. A volte facevamo colazione insieme nel bar davanti al parco.

Mi parlava dei suoi sogni, della costruzione di un villaggio in Bolivia che fosse un esempio di architettura sostenibile per il mondo intero. Marco deve in qualche modo andare avanti nell’opera iniziata . Lui è un artista. Si sta per laureare, poi partirà e dice, se le cose andranno bene, che potrò raggiungerlo ed aiutarlo con quello che so fare. Sai, ho visto la sua tesi nascere, crescere, e andare in pezzi.

Quel giorno era il 6 aprile eravamo nella sua camera, nella casa dello studente, stavamo per terminare il plastico del suo villaggio. Era meraviglioso, colorato, pieno di verde…..ad un tratto la terra ha tremato, tutto si è mosso, e poi ..poi non ricordo più nulla.

Ci sono solo io e quello che rimane del suo plastico che ho protetto e che adesso devo ricostruire.

Altrimenti perché mi sarei salvata?

Il lavoro l’ho perso come molti altri, vivo cosi di piccole generosità.

Ma io ho un compito! E lo porterò a termine, Marco dice che l’attack è la migliore per quel genere di ricostruzione, ne serve molta. Io vado avanti, non mi fermo ed incollo, pezzo dopo pezzo. Me la darete la colla in prigione vero?

mercoledì 20 aprile 2011

Il vizio di mio zio Umberto

Il parroco Don Gianni: un metro e 65.
Il vigile, signor Costantino: un metro e 72
La signora Cesira e il marito Gastone. Un metro e 57 lui, un metro e 55 lei.

Mio zio Umberto ha il vizio di andare in giro per il paese e misurare la gente. Lo fa da quando era piccolo, non si sa perchè. Se glielo chiedi, lui risponde con un “mah!”
Fosse scemo, uno capirebbe, invece si è laureato alla bocconi con 110 e lode. Adesso lavora nel comune del mio paese come geometra. Se vede qualcuno in città che non conosce gli si avvicina, tira fuori il metro e lo misura.
Se qualcuno gli domanda:“Ma cosa fa'!”luii fa la faccia seriosa e agitando una mano gli risponde “Lei non si preoccupi, che io sono geometra e se faccio così un motivo c'è”
Ma il motivo non c'è. Sarà una tara di famiglia, forse. Il padre di mio zio Umberto, mio nonno ( 1 metro e 88) per un certo periodo della sua vita aveva preso il vizio di catalogare le persone in base al loro numero di scarpe. Era venuto fuori che, su un campione di 1870 cittadini, il n. 42 di scarpa era quello che andava per la maggiore. Per gli uomini. Per le donne uguale. Nel mio paese, negli anni 50, le donne come minimo avevano il 42
Sembra una cosa incredibile, invece è tutto vero e Roberto Giacobbo ci ha fatto su anche una puntata di Voyager.
Comunque questo vizio, mio nonno, dopo un paio di anni se l'era tolto e la faccenda era morta lì.
In paese oramai mio zio Umberto lo conoscono tutti e lo lasciano fare. Quando lo incontrano per strada lo salutano:
Umberto, quanto sono alto io?”
E lui, pronto: “ Carletto l'idraulico, altezza 1 metro e 73!”
Non sbaglia mai. Preciso, è preciso.
Ultimamente sono sorti dei problemi, questo vizio gli ha preso la mano. Si è messo in testa di misurare personaggi famosi. Parte, sta via due tre giorni e quando torna ci aggiorna sulla sua lista:

Al Bano: 1 metro e 62
Il biondino dei ricchi e poveri: 1 metro e 75
Il mago Silvan: 1 metro e 68

Noi, in famiglia, abbiamo sempre pensato: meglio questo vizio, piuttosto che andare in giro per i bar a bere superalcolici e giocarsi tutti i soldi alle macchinette.
Come fa mio padre per esempio. Ma questo è un altro discorso.
Comunque un mese fa, mio zio Umberto è stato arrestato perché ha tentato di dissotterrare la salma di Padre Pio dal cimitero di San Giovanni Rotondo. E’ arrivato lì di mattina presto e con una pala si è messo a scavare. Dopo un paio d’ore sono arrivati due frati cappuccini e gli hanno chiesto che cosa stesse facendo:
Voglio vedere quanto è alto Padre Pio” a detto l' Umberto.
Te lo diciamo noi! È alto 1,64” hanno risposto i frati.
Non è per cattiveria ma non mi fido. Certi lavori è meglio farli di persona. Ho portato la rotella metrica , lasciatemi fare che in un attimo lo misuro”
I due frati cappuccini ( 1.88 uno, 1 metro e 51 l'altro) hanno cercato di convincerlo, ma niente da fare, mio zio si era impuntato e non voleva mollare né la pala, nè la rotella metrica. Sono dovuti intervenire i Carabinieri che lo hanno preso e portato via a forza.
Adesso è rinchiuso nel carcere di Foggia. Il direttore del carcere (1 metro e 78 ) ha fatto amicizia con mio zio perchè ha anche lui un vizio: pesa le persone. Il direttore del carcere ha questa fissa, va in giro con una bilancia elettrica sotto braccio, ferma la gente per strada e le pesa.
Prima però le fa spogliare, sennò il peso è sfalsato e non vale.
A Foggia questa pratica pare sia legale.
Per farla breve, lui e mio zio Umberto hanno fatto amicizia. Si sono messi tutti e due a prendere i carcerati uno per uno, misurarli e pesarli. In quel carcere ci sono 722 detenuti, più un centinaio tra guardie carcerarie, addetti alla mensa, addetti alle pulizie e roba varia. Hanno fatto i conti che per fare un lavoro fatto bene, ci vorranno almeno tre mesi, lavorando anche di domenica.
Tramite il suo avvocato, il Dott. Pasquale ( 1 metro e 79 per 94 chili) mio zio ci ha fatto pervenire questo messaggio:
Fatemi il favore di non rompermi i coglioni per i prossimi tre mesi che ho da fare”
Abbiamo deciso di rispettare la sua scelta. Lui è sereno e fa un lavoro che gli da tanta soddisfazione. In più si sta specializzando con le misure, vuole essere sempre più accurato.Ha già fatto sapere che appena esce dal carcere va a Montecitorio a misurare le orecchie a Berlusconi.

Super Attak Universale

Avevano una storia, quei due. O forse no, ma quasi. All’improvviso, lui partì. Destinazione nota, causa… ignota.
Passarono i giorni, le settimane e lui non tornò ma si limitò a centellinare fumose spiegazioni che non spiegavano un bel niente. Finalmente a lei fu chiara la verità: quello era un viaggio di sola andata, e la ragione era da declinare al femminile.
Un cupo dolore dilagò in ogni fibra del suo corpo, della sua mente. Le sue notti diventarono un incubo, il risveglio al mattino un incubo ancora peggiore. Poi, un giorno, l’incubo si trasformò addirittura nella paura di essere letteralmente impazzita: mentre si alzava dal letto, udì all’altezza del cuore uno strano tremito, seguito da un rumore leggero ma inquietante: crick! Sembrava che dentro di lei si fosse sbeccato un bicchiere o si fosse crepato uno specchio… “Sono diventata matta”, disse fra sé. E senza far parola a nessuno di tutto ciò, andò a lavorare e tornò a casa il più tardi possibile, per non pensare e non essere sola.
Dopo cena, mentre si sforzava inutilmente di guardare un programma in tv, i suoi pensieri divagavano: tornavano a lui, alla sua partenza inaspettata, alle sue menzogne. E a un tratto udì nuovamente dentro di sé quello strano crepitio e quel crick così oscuro, così angosciante.
Crick… Crick… Crick…. Per tutta la notte fu perseguitata dalla sensazione che il suo cuore stesse letteralmente andando in pezzi, mentre il suo torace faceva da cassa armonica a quel susseguirsi di scricchiolii. Eppure respirava regolarmente, non stava male, non faceva fatica ad alzarsi dal letto, a muoversi, a camminare per casa.
La mattina dopo non ci pensò due volte: andò di corsa dal suo medico. Costui era un tipo stravagante, ma con lei aveva sempre azzeccato le cure e non aveva mai avuto incertezze sulle diagnosi. Anche questa volta espresse a colpo sicuro il suo parere: “Questo, cara signora, è un evidente caso di “fractura cordis”… in altre parole, cuore spezzato….”
Lei restò di stucco. Certo, aveva il cuore a pezzi, ma in senso metaforico. Quei rumori sinistri nel suo petto, invece, non erano affatto metaforici e tentò di obiettare qualcosa... Ma il medico, con assoluta naturalezza, come se prescrivesse un’aspirina o uno sciroppo per la tosse, proseguì: “Mi ascolti bene, qui l’unico rimedio è una dose massiccia di Super Attak Universale.”
“Cooosa?? Attak?... Ma sta scherzando ??”, replicò lei.
“Assolutamente no – rispose il dottore – e le consiglio di fare come le dico, immediatamente, prima che il suo cuore vada in briciole”.
Lei, un po’ per la paura, un po’ per l’agitazione, allungò la mano verso il flaconcino di Super Attak Universale che lui le stava porgendo e, senza pensarci oltre, lo vuotò. Sembra impossibile, ma non rimase con la bocca chiusa per sempre, o con la gola intoppata dalla colla, senza più riuscire a respirare…… Il Super Attak Universale era talmente super che andò dritto dritto dove doveva andare…. al cuore. Ed era così universale che riuscì a “rimetterlo insieme”, come se fosse un semplice vetro rotto. Saldò tutte le crepe, lo avvolse come una seconda pelle e gli restituì un battito calmo, regolare, perfetto!
Ma soprattutto, niente più crick… niente più fremiti, scricchiolii, fratture. Il Super Attak Universale aveva funzionato a meraviglia. Unico effetto collaterale: il cuore di lei era diventato di pietra. Non andò mai più in pezzi ma non ebbe mai più neppure un piccolo fremito d’amore.

lunedì 18 aprile 2011

ARTICOLO DI PANEBIANCO

Le Ragioni degli Altri

"Ha ragione Michele Salvati quando osserva, sul Corriere di ieri, che berlusconiani e antiberlusconiani sono come nazioni nemiche e ferocemente ostili. Ma, forse, la malattia è assai più diffusa di quanto lui non pensi. Non riguarda solo i rapporti fra i politici. Temo coinvolga, da una parte e dall'altra, una grande quantità di italiani. Per questo, a differenza di Salvati, non penso che possa essere efficace quella riscrittura delle regole che Walter Veltroni e Giuseppe Pisanu (Corriere, 15 aprile) vorrebbero affidare a un improbabile governo di emergenza. Il problema italiano sta al di là (o al di qua) delle regole. Consiste in un livello di inimicizia fra le fazioni superiore a quello che si riscontra normalmente nelle democrazie. Qualcosa che non si cura con nuove regole.

Credo si illudano quelli che pensano che quando uscirà di scena Berlusconi il livello di inimicizia che corrode la nostra vita pubblica crollerà. Non crollerà, resterà intatto l'antagonismo di fondo che coinvolge una parte cospicua degli italiani. Che cosa pensano gli elettori di sinistra di quelli di destra? Ascoltatene le conversazioni: pensano, per lo più, che gli elettori di destra siano degli stupidi (rincretiniti dalle reti Mediaset) oppure dei corrotti. Gli elettori di destra, a loro volta, ritengono che quelli di sinistra appartengano essenzialmente a due categorie, entrambe spregevoli: o sono in evidente malafede o sono dei sempliciotti aizzati da demagoghi senza scrupoli. Nessuna delle due parti è disposta ad ammettere che «gli altri», forse, hanno, oltre che interessi, anche valori diversi dai propri. Ciascuna contrappone i propri valori ai «disvalori» altrui. Il disprezzo è reciproco.

Anche se non ci sono ricerche che lo comprovino sospetto fortemente che gli italiani di destra e quelli di sinistra tendano a frequentarsi assai poco fra loro. Un indizio sta nel fatto che i matrimoni misti (fra esponenti della destra e della sinistra) «fanno notizia». Ciascuno sta rinserrato nella sua parrocchia, parla quasi esclusivamente con quelli della sua parte politica. Il livello di inimicizia, e di disistima reciproca, spinge alla non frequentazione e la non frequentazione, a sua volta, rafforza pregiudizi e ostilità.

Eppure, persino nel caso italiano, così frastagliato e frammentato, sarebbe possibile riconoscere, per chi fosse disposto a osservare le cose con un minimo di obiettività, le stesse divisioni valoriali che sono presenti in tante altre democrazie. Se destra e sinistra significano qualcosa, infatti, esse indicano posizioni diverse su due problemi: le libertà economiche e i diritti civili. Quanto al tema economico, la destra predilige normalmente la libertà rispetto alla eguaglianza e la sinistra l'eguaglianza rispetto alla libertà: la destra è, in materia economica, più «liberale» e la sinistra più «socialista». In tema di diritti civili, invece, le parti si invertono: la sinistra è più «libertaria» (si tratti di matrimoni fra omosessuali o di concessioni di diritti agli immigrati) e la destra è più «tradizionalista». Questa divisione fra una destra liberale e tradizionalista e una sinistra socialista e libertaria la si ritrova ovunque nel mondo occidentale. Variamente declinata a seconda delle specificità storiche di ciascun Paese.

Nel caso italiano non c'è dubbio che il grosso degli elettori di Berlusconi si sia riconosciuto in lui proprio perché lo ha percepito come il campione di quella configurazione valoriale convenzionalmente definita «destra». Così come gran parte degli elettori della sinistra vota in quel modo perché si riconosce in una diversa, e opposta, configurazione valoriale. Ma se le cose stanno così, perché allora la (naturale, normale) ostilità per i leader dello schieramento avverso non si accompagna mai al riconoscimento che gli elettori dell'altra parte non sono sciocchi o, peggio, esseri spregevoli ma persone con valori diversi dai propri? Le ragioni affondano nel nostro passato e spetta agli storici ricostruirle. Il feroce conflitto fra berlusconiani e antiberlusconiani è solo un episodio di una lunghissima storia di «non riconoscimento» reciproco, di negazione all'altro di ciò che si riconosce a se stessi (essere cioè portatori di valori opinabili ma legittimi) e, probabilmente, non sarà l'ultimo.

Se traduciamo tutto ciò sul piano delle «regole», arriviamo alla triste conclusione che non esistano regole che possano guarire la malattia. Il bipolarismo funziona male a causa di un eccesso di inimicizia. Ma se abbandoniamo il bipolarismo e torniamo ai vecchi metodi della proporzionale e dei governi «centristi», non miglioreremo le cose: la democrazia sarà ancora una volta inefficiente per l'immobilismo, per l'assenza di alternanza, e per il fatto di relegare le estreme nel ghetto antisistema. Una democrazia nella quale nessuno è disposto a riconoscere le ragioni dell'altro è condannata comunque all'instabilità e all'inefficienza. Su questo bisognerebbe lavorare prima di pensare alle regole."

Ciao a tutti,
pubblico questo articolo di Angelo Panebianco dal Corriere di ieri perché credo abbia centrato uno dei nodi del problema... magari può dar vita a qualche riflessione nel merito.
Ilduca

sabato 16 aprile 2011

...che dite...ce l'ho fatta...ancora non ci credo...prova prova...ahahah...

venerdì 15 aprile 2011

Descrivi un tuo compagno di banco

Il mio compagno di banco si chiama Giovanni Cacioppo.
E’proprio uno zuccone.
Nessuno sa con certezza da quanti anni ripete la terza elementare. Il bidello della scuola dice di averlo visto lì sin dalla seconda guerra mondiale. Mio padre dice che mio nonno gli raccontò che suo zio aveva un cugino che a seguito di Garibaldi fu ferito a San Martino dagli Austriaci e in punto di morte gli confidò che un giorno di molti anni prima Giovanni Cacioppo gli aveva rubato le merendine del cestino.
Giovanni Cacioppo arriva a scuola guidando un camion a rimorchio tutto rosso e lo parcheggia sulle biciclette dei bambini. A volte suona il clacson che è collegato a delle casse acustiche rubate alle giostre apposta per fare spaventare le vecchiette. Infatti quando le vecchiette lo vedono dicono:
“Stò scurnacchiato dun’infamone tene è corna comme nu diavolo!”
oppure:
“ Te potesse acchiappate nu fulmine nta la capoccia malata che teni!”
A volte per lo spavento muoiono, e non avendo parenti che possono pagare le spese del funerale vengono sotterrate in tutta fretta nei giardinetti comunali.
Giovanni Cacioppo quando entra in classe non saluta nessuno, tira fuori il suo portafortuna (un piede di porco di 70 cm) e ci si pulisce le unghie. Poi piomba in quello che ormai è definito “ il leggendario sonno di Giovanni Cacioppo”. Nessuno ha mai provato a svegliarlo.
Tranne una volta.
La leggenda narra che una professoressa, che si era data all’alcolismo spinto dopo avere avuto una relazione sentimentale con Giovanni Cacioppo, una volta scolatasi tre litri di tavernello, prese il righello e urlando “ Tu! Stai composto!” glielo ruppe in testa.
A quel punto lui si svegliò, acchiappò la professoressa e la scagliò dalla finestra con tutta la sedia, la cattedra, un armadio, un mappamondo di 12 kg, il bidello, il preside e un’assistente sociale che passava di lì per caso. Non contento diede un pugno alla lavagna che fece sei giri completi prima di fermarsi.
La lavagna non si ruppe ma il bambino che la stava pulendo lo stanno ancora cercando.
Giovanni Cacioppo ha un hobby, che è quello di spalare letame dentro l’auto del sindaco, spesso col proprietario dentro. Lo fa da tanti anni , con diversi sindaci, e gli dà molta soddisfazione, tanto che ne vorrebbe fare la sua professione, e mettersi a posto con i libri.
All’ufficio di collocamento gli hanno detto che al momento non c’è richiesta, e di provare più avanti.
Giovanni Cacioppo quando mi si siede vicino digrigna i denti e mi fa molti dispetti, tipo mangiarsi le pagine del mio libro di storia, oppure collegarmi la sedia alla 220 per farmi saltare in aria.
Ho detto ai miei genitori che secondo me queste non sono cose da farsi, e non credo siano legali.
Loro dicono di si e di farmi i cazzi miei.

E finalmente svengo

Mi sveglio l'attimo prima che una scudisciata mi strappi via la pelle dal culo. Un urlo soffocato mi esce dalle labbra. Ho qualcosa in bocca, forse uno straccio, sento l'odore forte del cloroformio. Sono nel mio letto, ma non posso muovermi, ho i polsi e le caviglie legati. Forse sto sognando, un incubo.
Un sibilo, schiafffffffff! Un'altra scudisciata mi arriva sulle natiche. Il dolore attraversa culo testicoli viscere collo cervello in un nano secondo.
“ Ti piace così?” Mormora una voce dietro di me. La riconosco subito. Normale, è quella di mia moglie, la mia dolce metà.
Non mi piace per un cazzo, cerco di rispondere, ma lo straccio me lo impedisce. Scuoto la testa, cerco di liberarmi, ma è tutto inutile, mi ha legato per bene.
schiafffffffff!
Fa un male che non vi immaginate neanche. Piango come un vitello.
“ E questo ti piace?” chiede mia moglie, come se mi stesse offrendo una fetta di torta.
Brutta stronza, non mi piaceva alla prima, figurati alla terza, provo a urlare, ma emetto solo un debole rantolo.
Lei entra nella mia visuale, si avvicina, mi guarda e sorride. Non è un sorriso che mi fa stare tranquillo, ricorda quello di Hannibal Lecter, di Jack Nicholson in Shining. Quel sorriso è presagio di sventura.
La cosa brutta è che so perchè sono in questa situazione:
Lei ha scoperto tutto. Neanche il tempo di pensarlo e arriva la conferma.
“ E queste ti piacciono?” Mi domanda con voce melliflua, sfilandomi davanti agli occhi delle foto. Compromettenti. Di me che faccio sesso con una donna, in varie posizioni, alcune molto elaborate. In un paio di foto spuntano oggetti in lattice di varie misure. L'uso è vario e fantasioso. In alcune compare un piccolo frustino. Molto piccolo, cazzo, mica una frusta da domatrice di leoni come quella che impugna mia moglie!
Mia moglie sorride, poi sparisce dalla mia visuale.
Ecco, adesso ne arriva un'altra, penso, stringendo i denti e le natiche, preparandomi ad un altra frustata. Che non arriva. Al suo posto sulle spalle sento colarmi un liquido denso, puzzolente.
La sento spalmarmelo su tutto il corpo, tra le gambe, sulle braccia. La puzza è da vomito. E brucia. Leggermente, però brucia. Non vorrei fosse acido, cazzo!
“ non ti preoccupare, è colla” dice lei, neanche mi avesse letto nella mente. “di quella industriale, per la carta da parati”
Prende le foto, e me le attacca addosso. Una per una. Mi fodera il corpo, come fossi una mummia. Mi divincolo inutilmente, lei lavora con calma e precisione, senza fretta.
“Questa è colla di prima scelta, roba da professionisti.” cinguetta mia moglie, mente lavora con calma. Spalma la colla e attacca.
“ Vedrai che meraviglia, quando si asciuga!”, quasi batte le mani dalla contentezza, rimirando il suo lavoro tutta soddisfatta “ Per levartele da dosso ti dovranno sbucciare come un'arancio. Sarà molto doloroso, ci puoi scommettere, povero caro.”
Ride come se avesse sentito la barzelletta del secolo. Le lacrime mi scendono sulle guance come un fiume in piena. Lei scuote la testa comprensiva, mi accarezza i capelli, quindi ci appiccica sopra due foto, facendole aderire perfettamente alla scatola cranica.
“ Adesso ti lascio qui un po'.” dice “ Domani mattina chiamerò i pompieri e ti verranno a salvare. Saranno accompagnati da un mio amico giornalista, che casualmente si trovava sotto casa. Insieme ad un fotografo, guarda la combinazione!”
Si alza dal letto. Ora la colla brucia da matti, e pizzica. E puzza.
Schiafffffffff!
Un ultima scudisciata sulle natiche e quasi non la sento neanche, messo di merda come sono. Ma quando mi infila il manico della frusta su per il culo, tocco vette di dolore inesplorate. La vista mi si annebbia, faccio in tempo a sentire mia moglie salutarmi educatamente e chiudersi la porta alle spalle..
...e finalmente svengo.

mercoledì 6 aprile 2011

libri, amici miei

"Se si leggono libri come si stanno ad ascoltare gli amici, ciò che si legge allieterà e consolerà come soltanto gli amici sanno fare. " Hermann Hesse