"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

giovedì 21 febbraio 2013

Lavoro di merda

Mitch osservò la bolla di sangue spuntare dalla narice destra di Steve, che riverso per terra, puntava gli occhi vitrei verso un luogo indefinito nello spazio. La bolla si gonfiò sino quasi a nascondergli il labbro superiore per poi fermarsi sulla punta del naso, come un oscena pallina da clown. Dalla bocca spalancata Steve rantolò qualche cosa, la lingua scivolò fuori, rientrò, poi di nuovo comparve fuori come una lumaca dal guscio, per rimanere immobile all'angolo della bocca. La bolla smise di crescere.
“Avanti alzati, smidollato!” Urlò Dave, dondolandosi sulle gambe come un pugile sovrappeso, prendendo a pugni l'aria di fronte a se. Aveva un sorriso ebete piantato in volto, come ogni volta che doveva spaccare le ossa a qualcuno. Era felice come un bambino, si divertiva un mondo.
“Mi sa che quello non si alza più” disse Mitch.
Dave dondolò ancora un po' sulle gambe, poi si fermò di colpo. Aggrotto' la fronte.
“Non dirmi che quella mezza sega è svenuto.” domandò.
Mitch si appoggiò con le spalle ad una vecchia quercia. Tirò fuori il pacchetto di sigarette e se ne accese una. Era un bel casino.
“E' morto, stronzo” Disse.
“Cosa?”
“Lo hai fatto secco”
Dave si avvicinò al corpo di Steve, si piegò sulle ginocchia per osservarlo meglio. Si passo il palmo della mano sulla fronte sudata.
“Dici che si è spezzato il collo?”
“Probabile “ rispose Mitch. Steve, accasciato a terra, osservava con occhi vitrei il cielo. Non pareva molto interessato allle nuvole bianche.
“Sarà caduto male” Disse Dave.
“Bello, gli hai mollato un gancio così forte che pensavo gli volessi spedire la testa in orbita”
“Quella femminuccia. E' andato giù come una pera cotta.”
“Era già morto prima di toccare terra. Ho sentito il collo spezzarsi da questa distanza”
“Questo stronzo.”
“Probabile che lo hanno sentito anche a Boston, dal rumore che ha fatto.”
Dave osservò la bolla di sangue, e si fece scappare una risatina. Quindi si alzò sbuffando e diede un calcio alle costole del morto.
“Fottutissimo bastardo, guarda come sei finito a volere fare il furbo. Stronzo!” poi, rivolgendosi a Mitch, disse:
“Ora chi lo dice al capo?”
Mitch gettò la cicca della sigaretta lontano. “Be, potrei dirglielo io” disse.
“Davvero?”
“Col cazzo. Tu hai fatto il danno, tu risolvi il casino. Dovevamo solo dargli una bella passata e guarda il risultato.”
“Sarà caduto male.” Boffonchiò Dave.
“Col collo spezzato cadi male sicuramente, pezzo di coglione.” Mitch estrasse il telefonino e lo lanciò a Dave, che lo prese al volo.
“Avanti, chiamalo” disse.
Dave compose il numero, aspettò una decina di secondi quindi iniziò a parlare in modo concitato. Saltellava e agitava le mani, scuotendo la testa
Mitch si allontanò un paio di metri. La foschia stava salendo. Una folata di vento lo fece rabbrividire. Si tirò su il colletto del cappotto, osservando il sole scendere lentamente dietro le colline, pensando a quanto ci avrebbe messo a tornare in città. Avrebbe fatto tardi anche quella sera, e certo sua moglie non avrebbe fatto i salti di gioia. Che schifo di lavoro.
Dave gli bussò alle spalle.
“Cosa?” domandò Mitch.
“Vuole te”
Mitch prese il telefono, senza dire una parola. Annuì un paio di volte, quindi dopo aver salutato, chiuse la comunicazione.
“Ho combinato un casino, vero?” chiese Dave.
“Già”
“Che dice il capo?”
“dice che devo ucciderti”
Dave sbiancò in volto, spalancando gli occhi. Mitch scoppiò a ridere. Dave rimase immobile, quindi si mise a ridere nervosamente, per poi abbandonarsi a un riso sfrenato.
“Cristo santo, mi si sono strizzate le palle, per un momento ho creduto veramente che...”
Mitch si spostò leggermente di lato, dalla cintura dietro la schiena sfilò una Smith e Wesson calibro trentotto Special e gli sparò dritto in faccia. Dave balzò all'indietro a braccia larghe senza un lamento cadendo a terra con un tonfo. Mitch gli si avvicinò ed esplose altri due colpi, dritti al cuore, quindi ripose la pistola, con calma. Si sfilò un altra sigaretta, l'accese e si mise a fumare.
Che lavoro di merda, pensò, soffiando fuori il fumo verso il cielo.

mercoledì 20 febbraio 2013


Impalpabili, lievi, sorridenti: bolle, bolle di sapone.
Si schiudono speranzose da un soffio di gioia e prendono il volo. Volteggiano, danzano, si librano nell’aria incuranti del mondo sottostante, triste e incolore. Si accendono di mille sfumature come l’arcobaleno, brillano di felicità.  “Riusciremo a salire fino alle stelle”  - pensano - … le stelle, lassù, nella casa dei sogni,
 Il vento le trascina in un folle valzer, le ubriaca di chimere e costruisce per loro castelli in aria. Il vento  le sfiora, le accarezza, le corteggia.  Le fa sentire  libere,  leggere, pazze di felicità.
Ma il vento è capriccioso: da un momento all’altro il suo soffio gentile si trasforma in un rantolo rabbioso e le fragili bolle di sapone vengono travolte da una furia ostile. Si dibattono nell’aria, gonfie di paura, tremanti nel loro trasparente vestito di cristallo. Una raffica ancora più forte e puff…. non resta che qualche goccia, qualche lacrima.
Bolle. Bolle di sapone. Sogni di cartapesta. 

Sintetizzando in un haiku (breve componimento poetico nato in Giappone e composto da complessive 17 sillabe), si potrebbe scrivere

fragili bolle
svaniscono nel vento -
sfumano i sogni







                                                                                             

BOLLE

  
                                                                   


Quando riaprì gli occhi la stanza era completamente al buio.

Non ricordava di avere spento la luce; il televisore, però,ancora acceso, ne rimandava 
una  bluastra e un pò sinistra.

Anche quella notte il televenditore cercava di convincere improbabili compratori notturni a chiamare  un numero che scorreva in sovrimpressione.

Dalle persiane filtravano, obliquamente, lame di luce che proiettavano sul pavimento l'ombra di un tavolo e di una sedia.

Nel sonno gli si erano scoperti i piedi e  per sistemarsi  la coperta gli cadde  il cellulare con un tonfo sordo che lo indispettì e imprecando si alzò.

 Tra mugugni e passi incerti si avvicinò al tavolo sul quale lo aspettava una bottiglia.

La prese e vi si attaccò fino a che non finì l'ultimo goccio di quel liquido che, da settimane, lo stava intorpidendo .

Da quando Claudia l'aveva lasciato Giampaolo passava le sue serate sempre allo stesso modo:
sdraiato sul divano, facendosi un pò di compagnia con  qualche programma televisivo e numerosi sorsi di quel sonnifero alcolico che inevitabilmente lo accompagnavano fino a che non si addormentava .

In quel sonno artificiale Giampaolo, tutte le notti,faceva un sogno.

Sognava Claudia che gli correva incontro e con un lungo abbraccio lo baciava.
In quel sogno Claudia indossava sempre un vestito a righe
blu ,viola e rosa.
Aveva folti capelli rossi e occhi azzurri.
Il viso sempre ben truccato e le dita  smaltate.
Un corpo esile ed un volto da ragazzina.

 Gli ricordava quando da bambino immergeva una cannuccia di plastica in acqua e sapone e soffiando faceva volare coloratissime bolle che si facevano inseguire per alcuni secondi, tanto duravano.

Ecco,per Giampaolo, Claudia era come una bolla di sapone.
Coloratissima e sfuggente.

" Bollicina" la salutava nel sogno.
Era il nomignolo che le aveva dato nella realtà proprio per quel motivo.
" Sei come una bolla di sapone. Non ti fai mai prendere,mi sfuggi sempre.
Quando penso di averti conquistata  tu te ne vai."

Questo ,spesso, le diceva.
 Un giorno  Claudia se ne andò e non tornò  più.

Giampaolo guardò la bottiglia.
Barcollando la avvicinò al viso come per osservarne meglio il contenuto e vi scorse il volto sorridente di Claudia.
" Bollicina " disse rivolgendosi alla bottiglia e stringendola con forza la baciò.
" Non mi riconosci ?"chiese Giampaolo dopo avere sentito la fredda indifferenza del vetro.
Lasciò cadere la bottiglia .
A tentoni, nel buio, riuscì ad aprire un cassetto nel mobile della cucina dal quale tirò fuori un oggetto metallico che  Giampaolo non capì cosa fosse; però,forse ,era quello che stava cercando quindi,con passi lenti, si diresse verso il bagno.

Non accese la luce,non serviva,per quel che aveva in mente di fare.
Si reggeva in piedi a fatica ma riuscì a coricarsi dentro la vasca .
A dispetto del suo stato,però,con lucidità si sistemò, come se si preparasse per un lungo sonno.
Fece un lungo respiro e dopo pochi secondi un liquido caldo e denso stava avvolgendo le sue mani.
Intanto Giampaolo sorrideva e dalla sua mente uscivano mille pensieri colorati, 
mille bolle di sapone col volto di  Claudia.

Chiuse gli occhi ,reclinò il capo da un lato,le bolle svanirono….
e con loro, Giampaolo.



venerdì 15 febbraio 2013

Comica Finale di Kurt Vonnegut

[Mia sorella Alice] passò il suo ultimo giorno in ospedale. I dottori e le infermiere dissero che poteva fumare e bere quanto le pareva, e mangiare tutto quello che voleva.
Io e mio fratello andammo a trovarla. Faceva fatica a respirare. [...] Tossì. Rise. Disse un paio di barzellette che non ricordo più. Poi ci mandò via. "Non voltatevi indietro" disse.
Così non ci voltammo.
Morì più o meno [...] un'ora dopo il calar del sole.
E la sua sarebbe stata una morte trascurabile, statisticamente, se non fosse per un particolare che è questo: suo marito, James Carmalt Adams, energico direttore di un giornale di settore per gli addetti agli acquisti, che compilava in un cubicolo di Wall Street, era morto due mattine prima sul "Brokers Special", lo "straordinario degli agenti di borsa", l'unico treno nella storia delle ferrovie americane che si sia buttato giù da un ponte girevole aperto.
Pensateci su.
Tutto questo è realmente accaduto.
Bernard ed io non parlammo con Alice di quello che era successo a suo marito, che avrebbe dovuto occuparsi dei bambini dopo la sua morte, ma lei venne a saperlo comunque. Una paziente della clinica le diede una copia del "Daily News" di New York. Il titolo della prima pagina era sul tuffo del treno. Sì, e dentro c'era un elenco dei morti e dei dispersi.
Poiché Alice non aveva mai ricevuto un'istruzione religiosa, e poiché aveva condotto una vita irreprensibile, non pensò mai che la sua disavventura fosse qualcosa di diverso da uno dei tanti incidenti che capitano in un posto molto trafficato.
Buon per lei.
[...]
Io e mio fratello avevamo già preso il suo posto. Dopo la sua morte i tre figli più grandi, che avevano un' età tra gli otto e i quattordici anni, tennero una riunione alla quale non furono ammessi gli adulti. Quando uscirono ci chiesero di rispettare due sole condizioni: che i tre fratelli non fossero separati, e che potessero tenere i due cani. Il più piccolo, che non prese parte alla riunione, era un bebè di un anno o giù di lì.
Da allora in poi i tre figli più grandi furono allevati da me e da mia moglie, Jane Cox Vonnegut, insieme ai nostri tre, a Cape Cod. II bebè, che visse con noi per qualche tempo, fu adottato da un primo cugino del padre, che adesso fa il giudice a Birmingham, Alabama.
Così sia.
I tre più grandi tennero i loro cani.
Ora ricordo quello che uno dei [tre] [...], che si chiama Kurt come mio padre e come me, mi chiese mentre viaggiavamo in automobile dal New Jersey a Cape Cod con i due cani sui sedili posteriori. Aveva circa otto anni.
Si viaggiava da sud a nord, perciò il posto dove stavamo andando per lui era "lassù". Eravamo noi due soli. I suoi fratelli ci avevano preceduto.
"Sono simpatici i ragazzi lassù?" chiese.
"Sì, certo" risposi.
Ora fa il pilota per una compagnia aerea.
Ora sono tutti molto diversi dai bambini che erano.
Uno di essi alleva capre sulla cima di un monte giamaicano.
Ha fatto in modo che si avverasse uno dei sogni di nostra sorella: vivere lontano dalla follia della città, con gli animali per amici. Non ha il telefono né l'elettricità.
Dipende totalmente dalla pioggia. È un uomo rovinato se non piove.
I due cani sono morti di vecchiaia. Mi rotolavo con loro sui tappeti per ore di seguito, finché non li avevo stracciati.
Sì, e i figli di nostra sorella sono oggi molto schietti a proposito di una storia un po' inquietante che una volta li preoccupava non poco: il fatto che non riescono a trovare la madre o il padre nei loro ricordi, in nessuno dei loro ricordi.
L'allevatore di capre, che si chiama James Carmalt Adams jr., me ne ha parlato in questi termini, battendosi la fronte con la punta delle dita: "Non è il museo che dovrebbe essere".
I musei nella testa dei bambini, secondo me, si vuotano automaticamente nel momento in cui l'orrore raggiunge il punto massimo


 Kurt Vonnegut , da Comica finale, Elèuthera, 1990, traduzione di Vincenzo Mantovani

venerdì 8 febbraio 2013

rami spezzati (versione alternativa)

Avendo le mani occupate dalla legna, Salvatore aprì la porta del rifugio con una testata. Andò a gettare i ceppi legna nel camino acceso, quindi si spogliò dagli indumenti zuppi d'acqua, rimanendo in maglietta e mutande. Rimase davanti al fuoco un paio di minuti grattandosi rumorosamente i coglioni, quindi si avvicinò al tavolo al centro della stanza, lasciandosi cadere sulla sedia.
Suo figlio Pasquale, seduto di fronte a lui gli porse un bicchiere colmo di Amaro Averna.
Salvatore si calò l'amaro in un colpo, quindi posò il bicchiere sul tavolo.
Pasquale gli versò un altro bicchiere. Salvatore lo bevve subito. Il figlio gliene versò un'altra razione. Salvatore lo bevve. Il figlio riempì nuovamente il bicchiere.
Hai finito di versarmi questo minchia d'amaro?” sbottò il padre.
Pensavo ne volessi ancora”
Che cazzo, ogni volta che lo bevo tu me lo riversi!”
Scusa”
Neanche mi piace questa porcheria.”
Scusa, io mi credevo...”
Amaro Averna del cazzo.”
Mi dispiace”
Lascia perdere” disse Salvatore. “Che tempo danno domani?” chiese al figlio.
Pioggia a catinelle”
Salvatore bestemmiò, tirando un pugno sul tavolo così forte che il tavolo si impennò, colpendo il figlio sotto il mento. Pasquale cadde dalla sedia con un tonfo orribile. La bottiglia e i bicchieri volarono dietro le spalle di Salvatore infrangendosi contro il muro.
E stai un po' attento!” disse il padre, quindi si alzò e andò a osservare il tempo fuori dalla finestra. Vento e pioggia, una tempesta con i fiocchi. Vide un ramo spezzarsi e volare lontano. Una gallina piombò sul vetro, schiantandosi. Il becco si era impiantato nello stipite come una freccetta. L'animale agitò un po' le ali , quindi smise di muoversi. Un uovo gli scivolò fuori dal culo.
Sti cazzi.” Meditò Salvatore, quindi aprì la finestra e recuperò la gallina e l'uovo. Stava già immaginando il pollo allo spiedo quando il figlio interruppe i suoi pensieri con una frase.
Che hai detto?” Chiese.
Pasquale aveva recuperato un altra bottiglia di amaro Averna e, seduto al tavolo se ne stava versano un bicchiere raso.
Ho detto che finito questo lavoro, io non torno a casa. Vado via.” disse, quindi bevve tutto d'un fiato l'amaro. Salvatore aveva una gran voglia di grattarsi i testicoli, ma aveva le mani occupate dalla gallina e dall'uovo, e rimase impalato dinanzi al figlio.
Cosa dirà tua madre?” disse alla fine.
Papà, la mamma è morta da due anni.”
Non essere pignolo adesso!” disse Salvatore, rosso in viso. L'uovo gli esplose in mano. Andò alla dispensa, prese un coltello e con un colpo secco staccò la testa alla gallina, quindi iniziò a spennarla furiosamente. Le penne volavano in tutta la stanza.
E dove andrai a stare?” disse, dando le spalle al figlio.
Per un po' andrò a casa di Beppe, poi vedrò.”
Beppe, quello che non gli piacciono le femmine?”
Si, Beppe.”
Ma...” disse Salvatore quindi si voltò a guardare il figlio. Ora capiva i dischi di Barbara Streisand, la passione per la danza classica, quelle ore passate a guardare Benedetta Parodi, le ciglia finte lasciate in giro nel bagno, e quei due muratori bergamaschi trovati in camera del figlio nudi a saltellare sul letto con le cazzuole e secchielli e casco antinfortunistica, mentre Pasquale ballava sulle punte.“Altro che preventivo per una ristrutturazione”meditò. Stette un po' li a rimuginare, grattandosi tranquillamente i coglioni.
Ma ,allora sei finocchio!” Disse.
Il figlio annuì, abbassando lo sguardo.
E potevi dirlo prima, che cazzo! Io chissà che mi credevo, pensavo fossi solo rincoglionito. Versami un bicchiere di amaro Averna, và, che poi ci mangiamo il pollo.”

QUA TROVI LA VERSIONE ALTERNATIVA DI QUESTO RACCONTO
 http://fondazionerosewater.blogspot.it/2013/02/rami-spezzati.html

rami spezzati

L'uomo aprì la porta del rifugio ed entrò veloce, riparandosi dalla pioggia. Si sfilò la pesante giacca attaccandola a un chiodo, poi si tolse il cappello e gli stivali, appoggiandoli vicino al camino acceso. Protese le mani verso le fiamme, osservando i ceppi di legno consumarsi. Dopo un paio di minuti si spostò vicino al tavolo, lasciandosi cadere sulla sedia.
Il figlio, seduto di fronte a lui, gli porse un bicchiere colmo di whisky.
L'uomo bevve lentamente, godendo della sensazione di calore che si diffondeva nelle ossa. Il figlio, identico al padre se non per qualche capello bianco in meno, gli versò un'altra razione di whisky , quindi si riempì anche il suo bicchiere, quasi sino all'orlo.
Le previsioni?” chiese il padre.
Domani ancora pioggia. E freddo”
Quanto?”
Come oggi.”
Il padre bestemmiò tra i denti, pensando al lavoro da fare, e che non si sarebbe fatto. Alle sue spalle la finestra cigolò sotto la furia del vento. I rami degli alberi si spezzavano e cadevano, ingoiati dalla notte.
Il figlio interruppe i suoi pensieri con una frase. Il padre ne percepì il suono senza capirne il senso. Osservò suo figlio portarsi il bicchiere alle labbra e bere a rapidi sorsi il liquore, per poi posare delicatamente il bicchiere sul tavolo, stringendolo con le mani, come a non farlo fuggire.
Cosa hai detto?” gli chiese.
Ho detto che finito il lavoro qui, io non torno a casa. Vado via.”
Ma tua madre...”
Mi trasferisco in città. E' meglio per tutti.”
Il padre si alzò dalla sedia e andò ad osservare il tempo fuori dalla finestra. Le foglie mulinavano nel vento come falene impazzite, con la pioggia che inutilmente cercava di inchiodarle a terra. Un ramo colpì il vetro con un tonfo secco. il padre sobbalzò indietro coprendosi il volto. Il vetro non si ruppe, si incrinò, disegnando la tela irregolare di un ragno, con al centro il ramo spezzato incastrato. Rimase lì, ondeggiando, per una manciata di secondi, quindi rotolò via, nel buio.
Aveva fame. Andò alla dispensa e tirò fuori un pezzo di carne di manzo affumicato, prese un coltello e la incise in profondità, scendendo sino a quando la lama non toccò il tagliere. Una fetta cadde di lato. L'uomo fisso quella carne adagiata sul piano della cucina, seguendo con gli occhi i percorsi delle venature di grasso. Pose un grosso tegame sul fuoco e ci adagiò la carne.
Hai fame?” chiese al figlio, senza voltarsi.
Si”
il padre tagliò un altra fetta e la pose dentro il tegame, mentre il figlio apparecchiava la tavola con due piatti e le posate. Il padre portò la padella in tavola e servì la carne, si sedette e iniziò a tagliarla con calma.
Dove andrai a stare?” disse, con gli occhi puntati sul coltello e sulla forchetta.
Per un po' andrò a vivere a casa di Steven, poi vedrò di sistemarmi”
Il padre tagliò un pezzo di carne, lo portò alla bocca e iniziò a masticare lentamente. Era buona. Lui e suo figlio avevano macellato insieme il manzo, pochi giorni prima. Un lavoro duro, eseguito dopo una giornata a spaccarsi la schiena con l'accetta a tirare giù alberi. Eppure il suo ragazzo non si era lamentato. Non lo faceva mai.
Steven non è un tuo amico, vero?”domandò.
Il figlio guardò il padre negli occhi: “No, papà, non è solo un mio amico.” rispose.
Il padre annuì, quindi ripresero a mangiare. In tavola mancava il vino, il padre si alzò e andò a recuperare la bottiglia in dispensa. Tornò indietro, appoggiò una mano sulle spalle del figlio dandogli una leggera pacca, si sedette e versò da bere a tutti e due.

LEGGI LA VERSIONE ALTERNATIVA 
 http://fondazionerosewater.blogspot.it/2013/02/rami-spezzati-versione-alternativa.html