"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 31 agosto 2011

Cogli l'attimo

Ero un cucciolo di pastore tedesco, vivace e giocherellone come tutti i cuccioli.
L'uomo era gentile con me ed era entusiasta di ammirarmi. Sapevo che la bellezza del mio corpo colpiva l'attenzione di tutti.
Compresi subito che confronto alle altre razze della mia specie, la mia era dotata di un intelligenza superiore.
Non avevo problemi a comprendere ciò che l'uomo mi chiedeva. Nel rapporto con lui non trovavo nessuna difficoltà.
Anzi, spesso mi divertivo a prenderlo in giro, facendo finta di non capire qualcosa.
Lui si sforzava in tutti i modi, mentre io me la godevo un mondo. Certo non dovevo esagerare, perché se perdeva la pazienza in qualche modo mi avrebbe punito.
Ma ormai conoscevo i suoi limiti e non li oltrepassavo mai.
Fin dai giorni della mia infanzia, notai che un adulto della mia specie viveva nel recinto delle pecore. Lui che era il “RE” incontrastato dell'intelligenza, viveva a contatto diretto con una delle specie più stupide esistenti sulla terra.
Rimase solo una curiosità senza interesse, ero troppo giovane per interessarmi dei problemi altrui.
La mia vita andò avanti nella più normale regolarità. Ero trattato bene e coccolato.
Ma ormai avevo due anni e quel quadrato di esistenza, diventava sempre più stretto e monotono.
Volevo di più, sentivo l'esigenza di andare oltre quel recinto, avvertivo il desiderio di conoscere ciò che c'era al di la.
Ero affezionato ai miei padroni e per loro avrei dato la vita, ma era più forte la voglia di libertà.
Ormai erano alcuni giorni che mi sentivo irrequieto, così decisi che alla prima occasione sarei volato incontro al mondo che non conoscevo.
Ricordo quella giornata perfettamente. Pioveva a dirotto, ma così tanto che si faceva fatica a distinguere chi avevi di fronte.
Il vecchio adulto della mia specie che viveva con le pecore, uscì chissà come dal suo recinto e mi chiamò.
"E' proprio una giornata da schifo" Mi disse avvicinandomi.
Fui sorpreso dal vederlo fuori dal recinto, non l'aveva mai fatto.
Non sapevo che rispondergli, con lui non avevo mai parlato e nel vederlo adesso con i segni del tempo addosso, facevo fatica a realizzare che appartenesse alla mia razza.
Lui capì il mio stato d'animo e non si diede per vinto.
"Se cerchi l'occasione propizia, non te ne capiterà una migliore." Mugolò stancamente.
"Di quale occasione parli, vecchio? " Gli risposi alterato.
Non si scompose nemmeno un attimo, come se la mia risposta si fosse persa nel rumore della pioggia.
"Pensi che la fuori sia meglio di qui!" Continuò accucciandosi sotto quel diluvio, come fosse la cosa più normale da fare.
Sbuffai infastidito. "Che ne sai cosa c'è al di la del muro, tu che hai sempre vissuto chiuso assieme alle capre!"
L'acqua cadeva come se il cielo non avesse mai bagnato la terra fino a quel momento.
"Non sempre figliolo, non sempre. C'è stato un tempo che ero al tuo posto e avevo il tuo stesso smanioso desiderio di conoscere cosa c'era al di la della casa."
Sentivo il corpo invaso dal freddo e mi chiedevo come lui poteva starsene sdraiato, senza emettere un solo lamento.
"Tu eri davvero al mio posto!" Esclamai stupito.
"Si figliolo, prima di te c'ero io a far da guardia a questa casa."
Guardai i suoi occhi, immobili come il suo corpo. Decisi così di accucciarmi di fronte a lui. Se poteva farcela un vecchio pastore, che da anni viveva rinchiuso con le pecore, non vedo perché non avrei potuto farcela io.
"Ma come mai sei finito a far la guardia alle pecore?" Gli domandai sorridendo.
Il vento batteva il tempo allo scrosciare della pioggia, come fosse una scena studiata alla perfezione.
Si grattò il naso lentamente, muovendosi per la prima volta da quando eravamo sotto il diluvio.
"Vedi caro mio, a un certo punto pensai che c'era molto di più di quello che vedevo. Ero convinto che la fuori regnasse l'amore e la gioia come in questo cortile, solo che in scala più grande."
Si fermò un attimo, spostando lo sguardo dal mio, come volesse nascondere qualcosa.
Non potevo esserne sicuro in quella tempesta di tuoni e fulmini e pioggia a catinelle, ma mi sembrò condividesse le sue lacrime, con quelle che copiosamente venivano giù dal cielo.
"Invece cosa hai trovato la fuori!"  Gli dissi interessato.
"Fuori c'era tutto quello che volevo. I miei desideri, i sogni, gli interessi e quant'altro c'era al di la del recinto. Ma era diverso. Diverse erano le parole, così come i sorrisi, le persone e le situazioni. Niente era uguale a qui, nulla era come qui."
"Tu pensi che bisogna sempre stare qui allora!"
"No figliolo! Quando arriverà il momento potrai uscire da quel cancello e spiccare il volo verso la tua libertà. Ma devi farlo al momento giusto."
Ero percosso dai fremiti di freddo e non resistevo più a stare immobile come lui. Mi alzai di scatto, cercando di muovere il mio corpo intorpidito da quel mare d'acqua.
"Ma perché non ti muovi, che vuoi dimostrare stando fermo sotto la pioggia!" Gli dissi esasperato.
Non degnandomi nemmeno di uno sguardo, andò avanti col suo sermone.
"Adesso pensi sia la decisione giusta, perché non conosci ancora le conseguenze del tuo gesto. Ciò che otterrai andando via, sarà solo una luce superficiale, un istante di gloria momentaneo, che verrà spazzato alle prime folate di vento. Cercavo un riparo da quella tempesta che non accennava a diminuire. La salvezza era la mia cuccia, ma avrei dovuto abbandonarlo fuori, ed era un gesto che proprio non riuscivo a fare."
Gironzolavo attorno alla mio riparo, per fargli capire che sarebbe stato meglio rimandare il nostro discorso. Ma lui sembrava non capire.
"...Poi quando il vento avrà trasportato via il tuo entusiasmo, ti sentirai perso e solo. Non sarai più sicuro come adesso e vorrai tornare al mondo di prima. Ma quando tornerai sui tuoi passi, nulla sarà rimasto uguale"
Non riuscivo più a seguirlo e cominciavo a pensare che siccome non c'è l'aveva fatta lui, voleva che fallissi anch'io. Ma sembrava che nulla gli importasse, tranne la storia che mi stava raccontando.
"Perché vedi figliolo, certe cose che perdi, non sempre riesci a ritrovarle. Spesso rimangono soltanto dei profondi rimpianti, che ti fanno compagnia ogni giorno che avrai la fortuna di stare sotto questo cielo."
Si alzò lentamente, come se stesse assaporando il caldo tepore del sole, invece di essere invaso da un nubifragio. Lo guardai stranito, mentre lui mi accarezzò il viso dolcemente.
" Ma questa è la tua vita caro, non la mia. Sei tu che devi decidere cosa vuoi per il tuo futuro. Tu devi capire cosa è giusto fare e quale strada prendere."
Mi lasciai cullare da quel gesto affettuoso, cogliendo nei suoi occhi una punta di malinconia.
"Fai la tua scelta figliolo." Mi disse guardandomi dolcemente.
" Grazie del consiglio." Risposi confuso sul da farsi.
Si girò e senza affrettare per nulla il passo, tornò nel recinto che divideva con le pecore.
C'erano almeno altre sei ore di buio, un occasione del genere non mi sarebbe mai più capitata.
Il mattino seguente la tempesta si era placata, lasciando il posto a un sole caldo e lucente. Il cinguettio dei passeri era armonioso, come se il temporale della notte precedente non ci fosse mai stato, o comunque, appartenesse ormai a un passato senza ricordo. L'uomo si avvicinò alla cuccia e mi accarezzò.
" Sei stato in gamba, non hai fatto il suo errore"  Mi disse, indicando l'adulto della mia razza nel recinto delle pecore.
" Ma guarda che lo so che è stato lui a convincerti, da solo non c'è l'avresti mai fatta!"
" Lo guardai sapendo che aveva ragione."
" Ti ha dato la possibilità di crescere gradatamente. Grande cane tuo padre, se avesse la parola sarebbe come noi umani."

giovedì 25 agosto 2011

Un brutto incubo

Era una brutta giornata, con un sacco di lavoro e mai un momento di riposo. I clienti erano oggi anche più fastidiosi del solito: “commessa!”. Non sembrava che non avessero altro da farmi a chiedermi pareri sui libri da acquistare, come se io avessi letto tutti i volumi della nostra libreria. Stavolta era una ragazza punk, capelli viola, borchie nere, tattuaggi e percing a chiedermi dove erano i romanzi sui vampiri. Quasi mi veniva da ridere, solo guardandola mi resi conto che il tema le si addiceva perfettamente, ma questo ovviamente non mai sarei permesso di dirglielo. Con il dito semplicemente indicai che erano sullo scafale di fronte a lei. Il signor Rossi, propietario e mio principale, aveva appena invitato una signora di uscire dal negozio con il suo chiwawa e a due ragazzini, che se non erano interessati all'acquisto, di non lasciare i libri sparsi alla rinfusa. Io continuai a sistemare i libri finchè lentamente il negozio si era svuotato dai clienti, sembrava che finalmene ci fosse un attimo di tranquillità. Asciugai il mio sudore con un fazzoletto.
Signor Rossi: Sara. Penso che ormai a quest'ora non viene più nessuno. Si occuppi del negozio fino al mio ritorno. Io vado al bar a prendermi qualcosa di bere, vuole che le porti qualcosa?


Sistemai i miei capelli lunghi facendomi una coda con laccetto trovato nella rivista “cioè”. Quasi mi veniva da guardarlo storto, stava sempre al bar a chiacchierare con i suoi amici e avvolte persino giocare a carte, se doveva portarmi qualcosa da bere, me lo avrebbe portato non prima di due ore. Tuttavia non volevo essere scontrosa essendo che nemmeno mese lavoravo da lui e quelle 600 euro mensili mi facevano comodo. Lo ringraziai e gli dissi di portarmi una lattina di coca cola.
Lui uscì lasciandomi sola e finalmente potevo rilassarmi cinque minuti. Presi dalla mia borsetta la bottiglietta d'acqua e nello specchio vicino alla cassa, mi ero sistemata un attimo il rossetto e il mascara sulle ciglia. Ero completamente sudata e avevo bisogno di un ricambio ma in quel momento non era possibile. Presi il mio lettore cd e mi misi le cuffie, ero convinta che nessuno sarebbe venuto per il momento, persino il marciapiede di fronte al negozio era deserto. Ascoltai il mio gruppo preferito di musica dance, mentre lentamente ricominciai a sistemare i nuovi libri arrivati. Ad un tratto mi era parso di aver udito un rumore ma voltandomi, mi sembrava che non c'era nessuno. C'era solo un particolare che mi aveva incuriosito, la porta era aperta, molto strano perchè prima era chiusa!
Mi ero tolta una della cuffiette per ascoltare, non sentivo niente di strano e voltatandomi verso la cassa, vidi che non era fuori posto. La cosa non mi convinceva, così spensi definitivamente il mio lettore portatile e corsi all'entrata. Avevo una strana impressione e mi ero voltata a guardare gli scafali ma non c'era nessuno, tuttavia tutto appariva inquietante. Presi lentamente la maniglia nelle mani per tirare la porta, quando a un tratto dietro di mè, avevo visto una grande ombra che si era mossa in mia direzione. Lanciai un animato sussulto mentre mi voltai!


Postino: Mi scusi signorina, non volevo spaventarla. Avevo chiamato ripetutamente e bussato sul bancone, ma nessuno mi rispondeva. E' una consegna per il signor Alberto Rossi ma credo di poterla lasciare a lei. Ho qua la ricevuta da firmare, mi metta una firma qua in fondo. Apposto. Le auguro un buon proseguimento.


Dannata io! Con la musica non ero riuscito a sentirlo entrare e in effetti il signor Rossi mi aveva già sgridata due volte di non usare il lettore mentre lavoravo. Il ragazzo in questione era molto alto, l'uniforme gialla delle poste italiane, anche con quei tipici scarponi che loro portavano sempre. Aveva inoltre la barba perfettamente rasata e due cocchiali nel viso, sembrava un bravo ragazzo mainvolontariamente mi aveva spaventata a morte. Uscì e riprese il suo motorino per proseguire con le consegne. Tirai un respiro di sollievo, mentre trangugiai un'altra sorsata d'acqua dalla mia bottiglietta di plastica.
Presi quel pacco ma mi resi subito conto che era strano o meglio sembrava un pacco, ma nello stesso tempo lo era. Non era rivestito in quella carta marroncina ma sembrava una carta bianca, ingiallita e sporcata nel tempo, piena di macchie e di polvere. Sul frontale c'era l'indirizzo del nostro negozio scritto in una caligrafia molto sinuosa ed elegante, non era penarello ma sembrava invece scritto con un pennellino e inchiostro. Il francabollo era una specie di veliero, c'era il timbro della posta italiana ma poco distante un'altra assurdità, un altro timbro in cera rossa con la raffigurazione di una corona e un leone. Qualche cretino aveva voglia di fare lo spiritoso!
Era rilegato in delle cordicelle e prendendo le forbici le avevo tagliate, togliendo anche quella carta che lo foderava. All'interno c'era un piccolo bauletto di un legno rossastro, poteva contenere qualunque cosa anche se non era improbabile che fosse un libro, forse un po' più grande del normale. Continuavo a chiedermi chi si fosse messo a creare una simile assurdità. C'era anche una lettera fatta con la stessa carta sudicia e chiusa con il medesimo timbro in cera. In esso una chiave, la chiave dello scrigno?
C'erano dei ragni uscivano da quella carta impolverata e l'intero bancone si era ridotto in uno schifo! Mi ero infuriata già all'idea di doverlo pulire prima che entrasse qualche cliente, se non il signor rossi. Per quanto mi fece schifo, presi quelle carte e le buttai nel cestino insieme a quella lettera vuota. Corsi subito in bagno a lavarmi le mani e presi subito il detergente e dello spirito con cui pulì e disinfettai il bancone. Accostai poi la scatola di legno con la chiave su una sedia, dovevo immediatamente avvertire il signor Rossi! Digitai così il suo numero di cellulare e aspettai finchè non rispose.


Signor Rossi: Pronto, chi parla! Sara? Aspetti che esco dal bar perchè qua non si sente nulla. Dimmi tutto. Ci hanno recapitato un pacco? E che c'è di strano? Fatto di carta ingiallita, timbri a cera e una scatola di legno? Magari sarà una vecchia consegna, forse quel libro su “Loch Ness” che dovevo ricevere 3 anni fà da londra, mi avevano assicurato che la spedizione era partita ma a me non mi è mai arrivato. Sa come sono le poste qua in italia, mandano tutto in ritardo. Non sia redicola, non si deve spaventare per un semplice pacco, me lo metta nell'ufficio e poi lo guardo io con calma. Ascolti la coca cola non c'è l'hanno, le sto prendendo una sprite o una fanta, non credo che agitata come è lei, le convenca che le porti un caffè. Fra poco ritornerò.


Era insopportabile l'idea che si doveva ancora assentare, ogni volta che diceva che stava ritornando, poi ritornava dopo un'altra ora. Comunque mi rassicurava che era una vecchia consegna di londra, forse gli inglesi rileggavano in quella maniera assurda e magari era finito in un magazzino per qualche anno, motivo percui era così sporco. Tuttavia continuavo a pensare che era strano. La chiave era arruginata e sembrava una chiave di quelle che usava una volta, era di ferro e piena di righettature e cortorni decorativi. Aveva l'impugnatura ad anello e che finiva con un tubicino, l'intagliatura della serratura non era dentata, bensì a quadratini. Poteva pure essere inglese ma questa roba esisteva ai tempi di mia nonna, di sicuro non era recente.
Presi la scatola nelle mani e cercai di scuoterla per capire cosa conteneva, ma la gettai immediatamente sul bancone. Dalla serratura era uscita una nuvoletta di polvere. Mi ero sporcata, lanciando una montagna di starnuti e di ingiurie, i miei jeans e la mia maglietta erano impolverati così come il bancone appena pulito. Arrabbiata, presi quella cosa sporca per portarla subito nell'ufficio del Signor Rossi, non la volevo più vedere quella scatola. Agitata aveva aperto la porta e mi inoltrata verso la sua scrivania. Non sembrava comunque la mia giornata fortunata, perchè inciampai sul filo della presa della fotocopiatrice, sfragellandomi a terra.
Avevo un gran dolore alla testa, e speravo che il mio turno si concludeva presto, quando mi sono guardata intorno. La cosa meno strana era che il pacco era scomparso e al suo posto c'era la mia borsetta. Non capivo cosa ci facesse per terra, nell'ufficio quando mi resi conto che il pavimento su cui ero sdraiata era fatto di tavole di legno e non di quelle matonelle gialle del Signor Rossi. Anche la scrivania, la fotocopiatrice, lo scaffale delle ricevute e le bianche pareti fatte di cartoncesso era scomparse. Non sapevo se urlare, o se stare calma o magari piangere. Sembrava un incubo e forse lo era.
Il pavimento come detto era rivestito di tavole di legno, non era un elegante parquet ma sembrava costruito in maniera molto rozza e rudimentale, i chiodi con cui era stato fissato erano enormi. Le pareti erano uguali al pavimento, tavole orizzontali fissate a delle travi sdondate, così come la parete di fronte a mè, anche il tetto era di legno e tutto sgricchiolava in maniera rumorosa. La stanza mi metteva terrore perchè oscillava e si sentiva un rumore d'acqua e un forte odore di sale, non capivo tuttavia da dove provvenisse quel suono e quel odore. Nella stanza c'era anche un tavolo di legno con forme decorative intagliate, non sembrava vecchio ma era pieno di polvere. C'era poi accostato al muro una fiocina e una rete da pescatori buttata sul pavimento. Le due sedie dentro quella stanza invece erano foderate con la paglia. Sul tetto invece c'era una enorme ragnatela e una una lanterna a petrolio appesa a un uncino, che faceva una fiocca luce.