"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

domenica 29 aprile 2012

Solchi



Percepì la sua presenza prima ancora di averla vista. Sentì nell’aria il profumo di sandalo, caldo, che emanava la sua pelle. Si guardò attorno, sicuro che lei fosse lì, in mezzo a tutta quella gente riunita a festeggiare il compleanno di un amico. E infatti eccola là, dall’altra parte della stanza, irresistibilmente bella come quando si erano lasciati dieci anni prima. Non furono necessari preamboli. Dalla terrazza, dove si erano appartati, alla casa di lui il passo fu breve.
Un bacio lungo, intenso, profondo. Le mani sfiorano, si soffermano, esplorano. Sopra e sotto i vestiti. Poi, via anche quelli. Lui la spoglia smanioso e comincia a percorrere avido ogni piega del suo corpo, impaziente di possederla, di perdersi nella sua carne, di fondersi l’uno nell’altra. Lei, ancora lei! La desidera da morire e il suo cuore pulsa impazzito come la prima volta che era stata sua.
Lei si abbandona incredula al piacere di quelle carezze, i sensi appesi al tocco di quelle mani che scivolano ingorde sulla sua pelle. Ma a un tratto, avverte il gesto incerto di lui sulla cicatrice che le taglia il ventre, all’altezza del pube. La carezza improvvisamente lunga, tenera, curiosa indugia su quel lembo di pelle. Una lingua di fuoco si insinua in lei, nello squarcio da cui le hanno strappato l’utero, rubandole anche la capacità di desiderare e sentirsi desiderata. Le dita di lui risalgono, tornano a lambirle le labbra ora serrate, gli occhi incupiti, la fronte corrugata, e sembrano affondare dentro rughe fitte, profonde. Solchi. I palmi delle mani di lui, che le si posano sul seno, sui fianchi, sulle cosce, è come se frugassero nel mare increspato della sua pelle. E quella vampata di calore, che la stava avvolgendo nel risvegliarsi della passione, pare confondersi con un indizio di vecchiaia. La femmina bella e sensuale di qualche attimo prima svanisce di colpo. Al suo posto, una donna smarrita, che non riesce a far quadrare i conti fra il passato e il presente.  Simula un piacere che invece è stato ingoiato dall’amara estraneità dalla sua immagine e si allontana bruscamente da lui.
Dopo essersi rivestita rapida, lei si diresse verso la porta. Lo specchio in anticamera rifletteva ancora una volta, come dieci anni prima, il passo dinamico di due solide gambe curate. Ma il suo sguardo  vide un corpo avvizzito, l’età moltiplicata per cento, mentre l’uomo alle sue spalle cercava ancora nell’aria quel profumo di sandalo, caldo, penetrante.


lunedì 23 aprile 2012

L'ospite inatteso


Si mosse con lentezza e circospezione, ma riuscì a entrare. Nessuno lo vide. E' probabile che la sua intenzione fosse quella di utilizzare quell'ambiente come una sistemazione temporanea, da cambiare quanto prima, sebbene fosse sicuro che là lo avrebbero lasciato in pace. Di certo credeva che là nessuno si sarebbe accorto della sua presenza. Su questo il tempo gli avrebbe dato ragione.

Lo spazio che aveva scelto dove sistemarsi era ampio, comodo e fornito di tutto quello che gli sarebbe servito. Non era molto luminoso, ma lui aveva imparato a muoversi e sopravvivere anche al buio.

Noi non sappiamo per quanto tempo vivette in quella casa, ma possiamo immaginare il tuffo al cuore e il panico che lo colse quanto sentì le pareti scosse da quello che sembrava un terremoto. Dapprima una scossa fortissima che sembrò sollevarlo da terra e poi tutta una serie di altri smottamenti, più deboli rispetto al primo ma comunque di notevole intensità, che lo sballottavano a destra e a sinistra.

Tremante, invece di uscire dal suo riparo si fece piccolo e si rintanò in un angolo. Rimase incollato là per una decina di minuti, il tempo che durarono queste prime scosse.

Tornata la quiete, valutò lo stato del suo alloggio temporaneo. Le pareti aveva tenuto e sembravano integre, così come la volta del soffitto. Questa costatazione fece si che quando un paio d'ore più tardi si verificarono nuovi smottamenti il suo stato d'animo fosse più rilassato e lui non sentisse il bisogno di incollarsi nuovamente alle pareti. Segui un forte boato che però non lo preoccupò, essendo abituato a suoni e rumori altrettanto forti, sebbene di natura diversa. Poi tornò la quiete, accompagnata dalla sensazione di essere cullato e da piccoli brividi lungo il corpo. Così s'addormentò.


Quando Elisa aprì lo zaino un terribile odore di pesce invase la stanza. Quasi senza pensarci afferrò il sacchetto dove aveva ritirato le conchiglie raccolte sull'oceano, lo portò in bagno e rovesciò il contenuto nel lavandino. Esamino i gusci uno per uno, e agitando il più grande senti che all'interno qualcosa si muoveva. Capovolse la conchiglia e dall'apertura scivolò fuori il corpo inerme di un piccolo paguro. All'occhio della ragazza resto incollata una lacrima, indecisa su da farsi.

L'assicurazione


Aveva in tasca un biglietto e non sapeva che cazzo fare.

La notte prima aveva nevicato. Su Main-Street soffiava un vento gelido, quello che era solito annunciare che presto sarebbe arrivato l'inverno. Sui marciapiedi pochi impavidi sfidavano il freddo di quella mattinata. Dall'altra parte della strada i vetri riflettevano il grigio del cielo.

Long Joe gli aveva infilato il pezzo di carta nella giacca la sera prima da Sal, il bar dall'altra parte del fiume. Gli aveva detto che quello sarebbe stato il modo più rapido e facile di saldare il prestito.

Certo che era stato un bello stronzo. Quando si era rimesso con Mary Ann gli aveva promesso che si sarebbe tenuto lontano dalle scommesse e dai guai, ma ovunque si girasse sembrava che non ci fosse modo di ritrovarsi faccia a faccia col suo abisso. E il suo abisso si faceva sempre più ampio. Proprio come il suo debito.

Già il suo debito. Lo tenevano per le palle e gliele stavano strizzando per bene, non ce che dire. Sapevano che era malato per il gioco e lo avevano lasciato fare; così lui si era cotto da solo a puntino ed ora era pronto per essere mangiato. Aveva cominciato coi cavalli, poi era stato il momento del football, poi il basket e poi tutto il resto. Non si ricordava nemmeno più tutte le cose su cui aveva scommesso. Forse anche sul campionato di freccette. Ora per loro era il momento di riscuotere, ma erano stati comprensivi. Comprensivi come scorpioni.

Gli avevano fatto capire che avrebbe potuto ripagarli, prendendosi una pausa dalla sua buona condotta e ritornare per qualche ora alla sua vecchia vita; che voleva dire entrare coi fucili spianati in una farmacia all'ingrosso, sistemare per bene i dipendenti e arraffare tutti i soldi e i medicinali.

Aveva promesso a Mary Ann di smettere ma quel biglietto gli diceva il contrario. Su quel biglietto c'era l'assicurazione di Long Joe e dei suoi amici. Sul biglietto ripiegato nella sua tasca, la foto del viso livido ed emaciato della sua donna lo inchiodava all'abisso.

Caricò il fucile a canne mozze, lo nascose nel giubbotto e scese dall'auto. A grandi falcate raggiunse l'edificio e ci entrò. Un volta dentro con il braccio libero chiuse la porta.

sabato 21 aprile 2012

Il cane con il fiore in bocca



Sentivo  che  era  una fuga la mia  anche se in quella  casa non avevo lasciato nessuno.
E allora perché?
Forse fuggivo da qualcosa e non da qualcuno, ma non riuscivo a capire quel qualcosa cosa fosse per me.
La mia vita sinora era solo un susseguirsi di gesti precisi, di visite, di pranzi e di cene, di pomeriggi nella sala tv.
Avevo Laura che mi parlava, si sedeva vicino a me , mi guardava con i suoi occhi azzurri come il cielo di un giorno di primavera, mi schiacciava l’occhiolino,  mi raccontava i suoi ricordi, aveva 20 anni.
A proposito io sono convinto di aver compiuto 30 anni ma a volte mi assale un dubbio sulla veridicità di questa convinzione.
A volte riuscivo a seguire Laura, ad ascoltarla , ma poi perdevo la concentrazione, ogni  tanto annuivo e le accarezzavo la testa e i suoi capelli lisci e morbidi.
Quando gli zii venivano a trovarla le portavano  tanti dolci che lei non poteva mangiare perché era grassa e le facevano male.
Allora lei veniva nella mia camera, di notte, e me li metteva nel  cassetto del comodino. La sentivo arrivare con il passo incerto e il  respiro trattenuto.
Erano sempre cinque i dolci che trovavo al mattino, cinque come le dita di una mano.
A parte Laura nessuno mi parlava, o meglio gli infermieri  mi parlavano per dirmi che dovevo prendere le pastiglie e che dovevo lavarmi.
Una volta mi dissero che avevano bisogno di me perché ero un ragazzone robusto, dovevano legare al letto un ragazzo, Fabio, che continuava a scappare. Io mi rifiutai e così per punirmi legarono anche me.
Mi lasciarono legato una settimana, non potevo toccarmi, grattarmi,  girarmi, mi davano da mangiare e da bere, gridai per ore dicendo che sarei morto.
Tra le cose belle di quel  luogo c’erano Castore e Polluce, erano  belli da ricordare, due fratelli irriverenti e senza scrupoli, saltavano sui tavoli e mangiavano tutti gli avanzi.
Di notte sceglievano il letto più comodo e si acciambellavano per dormire, preferivano quelli che avevano le lenzuola  fresche di bucato.
Ero felice quando sceglievano il mio letto, li accarezzavo a lungo, avevano il pelo folto e lungo, gli occhi gialli che nel buio di quella stanza erano un faro nella mia notte.
Mi appagava sentire il loro piacere. Amavo quei gatti ma sapevo che non mi avrebbero mai cercato.
E allora,  mi chiedevo ancora “da chi sto fuggendo?”
Il treno andava veloce e mi piaceva  la sensazione che mi stesse portando via,  lontano dalla mia solitudine.
I miei pensieri erano lenti , nascevano e si trasformavano in altri pensieri sempre più ricchi di ricordi di immagini e di parole non dette, nascoste dappertutto, introvabili anche per me.
Quando il treno stava per arrivare alla stazione di Terni, presi  la decisione di scendere da quella comodità , di andare incontro al mio nuovo destino.
Presi  il mio zainetto e mi avvicinai alla porta di uscita.
Mi chiesi  preoccupato dove sarei andato con due soldi in tasca, senza nessuno che mi potesse aiutare, solo come un fiore rosso appena nato in un muto e bianco ghiacciaio.
Il treno si era fermato quando sentii un fruscio sulla mia gamba destra, pensai alla valigia di un altro viaggiatore dietro me e non mi voltai.
Poi però un cane abbaiò e subito lo riconobbi, era Gaspare.
Abbaiava ed era come se mi dicesse “allora sono qui,  finalmente ti ho trovato e tu che fai? Non mi dici niente? Non mi  stringi a te??”
“Gaspare come hai fatto a raggiungermi? Mi hai seguito? Gaspare come sono felice di vederti” lo stringevo forte a me e lui mi leccava e guaiva tutto agitato.
Ti sono bastate due carezze al giorno Gaspare per volermi così bene!Ora starai con me e non saremo mai più soli.
Quel fiore rosso solo nel ghiacciaio Gaspare l’aveva trovato  e ora lo teneva con se.


Manuela


Il fratello ingombrante


Il fratello ingombrante

"Ci vai tu stamattina?" "perché?" "Dai vacci tu Luca...io ho sonno, voglio dormire"
"Si ma è l'ultima volta hai capito?!"Sono stufo ok? hai capito cretino?"
"Ma si va bene, dai non rompermi le scatole che ho voglia di dormire".
Luca e Pietro sono due fratelli gemelli, la madre non se ne aspettava due di figli, ma l’ecografia non c’era ancora.
Quando arrivarono in ospedale era pronta per la sala parto, non c'era d'aspettare neppure un minuto.
Una spinta poi un'altra, una gomitata sul pancione, un urlo e un pianto, Luca apparve sulla scena di questo mondo.
Ad un tratto il dottore richiamò l'ostetrica, gli altri infermieri e disse " ce n'e' un altro, signora!”.
Cresciuti, Luca e Pietro si divertivano molto, sapendo di essere  identici  facevano scherzi agli amici, anche alla portinaia, e poi una volta grandi, se capitava l'occasione si scambiavano le ragazze andando all'appuntamento dell'altro.
Giocando sull’aspetto fisico identico: uno le seduceva  e  poi le passava all’altro, che le faceva innamorare. Loro non si rendevano conto dello scambio di persona, oppure prendevano  la dolcezza dell'uno e la fermezza dell'altro.
L'ultima che avevano pensato e che credevano fosse un'idea geniale, era quella di  avere un posto di lavoro condiviso, anche se lo stipendio era scarso , perché era  fratto due.
Non era sempre andata benissimo, ma ci avevano preso gusto, questo senso di vivere con un clone di sé stessi gli donava un po’ il dono dell’ubiquità, di potersi eclissare dalle situazioni che volevano evitare, dalle persone che volevano dimenticare.
Luca quella mattina come al solito si mise le lenti a contatto ed uscì di casa arrabbiato.
Lui era miope e Pietro no.
Pietro si rimise a dormire profondamente.
I dipendenti di quel negozio avevano Pietro e Luca come capo, anzi l'unico capo che pensavano di avere era un uomo malato di qualche strana psicosI, una specie di schizofrenia.
 Luca era mite serio e affidabile, uno a cui potevi raccontare quelli che volevi senza sentirti giudicato.
Pietro era più impulsivo, arrogante, sicuro di sé e libertino , non dava alcuna confidenza ai suoi collaboratori.
I due erano complementari ,  uno sviluppava  con scrupolo le idee, l’altro riusciva a proporre e a imporre; uno curava  la parte formale dei rapporti, l’altro la parte mondana.
Nessuno però si era mai accorto di nulla perché  all'apparenza erano identici, alti uguali, robusti,  capelli castani e occhi castani, denti un po’  storti e pizzetto per smagrire il faccione.
Quella mattina Luca esce dal portone e sente l’aria tiepida che lo accarezza e l’arrabbiatura passa, l'umore sale, allora entra nel box, spolvera bene la sua Honda nera si siede e sente il motore che ancora è ruggente.
Fa una curva e poi un bel rettilineo, ma ad un tratto gli attraversa la strada  un cane che si ferma di colpo forse spaventato per  il  rumore.
Caaaa..zo pensa Luca! Non vuole investirlo ma non vuole neppure cadere o schiantarsi contro la macchina che sta arrivando dall'altra parte..così istintivamente suona il clacson ma non cambia nulla, il cane è come paralizzato.Sterza con forza, lo evita ma sbatte contro il marciapiede; per effetto dell’urto sbalza giù dalla moto e cade. Si rialza pensando che era andata benone,  ma si accorge subito che le lenti sono cadute per terra e lui non è in grado di recuperarle.
 “Senta” rivolgendosi alla prima persona che si era avvicinata a lui e della quale intravedeva appena la sagoma , " Io ora metto la moto qui al sicuro e lei gentilmente mi dà un passaggio al lavoro? Sa sono già in ritardo"
Entra in negozio camminando con un passo lentissimo, cercando di non urtare oggetti piccoli che non avrebbe mai visto; e questa insicurezza lo fa sentire fragile come non gli era mai successo.
I dipendenti del negozio cominciano a parlottare tra loro "ma cos'ha oggi il capo?
Ha qualcosa che non vuole dirci che sta cercando di nascondere…
Luca è agitato “Devo andare in bagno, so che mi devo alzare e andare da quella parte, ma porca zozza proprio oggi nooooo”
Si dirige verso il bagno cercando di camminare con scioltezza, ogni passo è misurato, finalmente entra, ma non distingue il water dal bidè .Situazione tragicomica.
Avverte in fretta di aver fatto un errore, Disperato si riveste esce dal bagno con la fronte ghiacciata, chiama un ragazzo e gli dice "guarda che un cliente in  bagno  ha fatto un disastro.”
Luca capisce che la situazione è insostenibile e con la scusa di avere uno strano e improvviso problema agli occhi si defila dal negozio. Chiama un taxi e raggiunge casa.
Nel negozio ha lasciato un clima di confusione..ma  ce n’è tanta è anche nella sua testa.
Sente che  non  più accettare di vivere la sua vita in simbiosi con il fratello.
Pensa  che  recentemente  si era  innamorato  di una donna,  ma ha avuto  paura a confessarlo, perché lei in realtà  era stata sedotta da Pietro ,  esuberante , che  la  sapeva  gestire meglio e in maniera più sicura, senza amore.
“Non  ho una vita mia, devo  cercarla  o mi ammalerò”.
Si alza e va a vedere Pietro  che forse dorme ancora.
Pietrooo chiama Luca ma non risponde nessuno, perché non c’e’ nessuno in casa.
In  camera di Pietro la finestra è spalancata…”chissà perché l’ha lasciata aperta, fa un freddo polare oggi”.
Sul  letto Luca si accorge di un foglio strappato dall’agenda della cucina e legge:
“Caro Luca penso che la nostra vita sia diventata  caos, ci stiamo allontanando sempre più, non danziamo più con perfetto sincronismo  come è stato per tanto tempo”
A volte ci sembra tutto così eccitante a volte invece ogni cosa rallenta.
Perdiamo le nostre personali occasioni, non trovo il mio umore, è come se fosse sempre misto al tuo e forse ho perso la mia identità, ti lascio solo ma ti regalo l’occasione per ritrovarti o per trovarti, finalmente.
Tuo fratello Pietro”.


Manuela



venerdì 20 aprile 2012



IL VIAGGIO

 "…..Viaggio verso qualche cosa che è già dentro di noi,
       dentro gli sguardi e dentro le parole, siamo passeggeri per non so ancora dove…"

Mi piaceva viaggiare.
Non viaggiare per il mondo,
ma viaggiare con gli occhi.
I miei, attraverso quelli di lei.
I suoi occhi erano la frontiera della mia immaginazione.
Tutte le volte che la amavo la guardavo così intensamente
che sembrava quasi che le parlassi.
Era il mio modo di comunicare mentre facevo l'amore. 

Quando i nostri corpi si sfioravano,le nostre dita si intrecciavano,i respiri si mischiavano ed i nostri sguardi si incontravano cominciava il viaggio.

Dapprima lento,poi sempre più veloce.

Mi immaginavo lanciato  in un tunnel  infuocato che  ad ogni nostro sussulto  cambiava colore passando dal giallo all'arancione, fino al rosso. 
Cercavo di visualizzare i sospiri, i versi,i rantoli,le grida e la gioia frutto del nostro  d'amore .
Vedevo scorrere le diapositive dei nostri incontri,dei nostri momenti più intimi, del tempo che passavamo insieme.

Vedevo scorrere da un finestrino prati fioriti,rumorosi torrenti,raggi di sole e nuvole gonfie d'acqua.

L'affanno del mio respiro, pesante e veloce, mi trasmetteva odori  che il mio olfatto immaginario conosceva bene.
Odore di terra nuova,di pioggia in arrivo….

Poi il mio viaggio rallentava ,forse per decidere  quale direzione prendere .
Una piccola pausa e..
..un tuffo via di nuovo, VELOCE VELOCE VELOCE;
giù attraverso un tubo nel quale riconoscevo la voce di lei che mi   sussurrava che mi amava:
quelle due parole:" TI AMO" ripetute più volte,venivano sospinte verso l'alto da u forte vento  fino a che queste  non trovavano la loro naturale via d'uscita .
A quel punto nulla più era controllabile.
Mi abbandonavo al destino di un caos di sensi  e io mi confondevo in un vortice che univa i nostri corpi.
Mi confondevo ..in felicità,in amore.
 
 Ero  arrivato a destinazione.
 Tutto era calmo intorno a me;solo una  tambureggiante sequenza di piccole,continue scosse  mi teneva in all'erta.  

TU TUM ..TU TUM.. TU TUM…TU TUM… TU TUM..
Quel palloncino dalla forma irregolare che ritmicamente si gonfiava e si sgonfiava mi invitava, tutte le volte,ad avvicinarmi:" Bentornato,tutto bene?"

Non rispondevo mai.
Col fiato grosso lo osservavo,vi giravo attorno e giungevo sempre alla stessa conclusione.
" E' da qui che arriva,nasce tutto da qui.Quel fiume di amore che sento arrivare me lo regali tu" pensavo.

Ora trascorro le mie giornate seduto su una sedia a rotelle.
Non parlo enon mi muovo ,ma osservo, penso.
Il tempo ha firmato la mia età e me ne ha contati di viaggi ma lei,lei è  qui, di fronte a me.

 I  suoi occhi sono ancora la frontiera della mia immaginazione .
La guardo così intensamente che sembra che le parli.
E' ancora un bel viaggio ,anche se solo di emozioni e ricordi.
Però è veloce,come una volta.
TU TUM..TU TUM..TU TUM.. TU TUM..
"Sei sempre tu che mi regali quel fiume d'amore che,ANCORA, sento arrivare."
...lo sguardo...
Era una donna stupenda, l'ho pensato fin dal primo momento in cui l'ho vista. Allora non era nemmeno una donna, era poco più che una bambina, ma quando i suoi occhi, neri e profondi comme gli abissi, mi hanno guardato, ho capito che non avrei potuto mai più fare a meno di lei. Me ne stavo lì, davani alla porta della bottega dove mia madre mi aveva mandato a lavorare. "Il barbiere è un buon lavoro, agli uomini la barba crescerà sempre; non sarai mai disoccupato". Mia madre aveva una saggezza tutta sua. Di quel tipo spicciolo che non puoi contraddire. Niente filosofia, solo cose pratiche che la vita insegna quando devi imparare a cavartela. Lei lo aveva fatto e ora lo insegnava a me. Quel giorno nessuno aveva voglia di un taglio di capelli e quindi me ne stavo appoggiato alla porta, con il sole in faccia, non troppo caldo, della primavera, quando ho visto lei, per la prima volta, passare, davanti a me. Con la coda dell'occhio mi aveva guardato, ne ero certo. Lei era un fiore, di quelli che doveva ancora sbocciare, ma nei suoi occhi c'era già scritta la sua storia. Uno sguardo che ti prende e non ti lascia più. Una cascata di capelli ricci e neri, che spiccava su un corpo esile, minuto. Sapevo chi era; una di quelle ragazze che si conoscono in paese, anche perchè nel mio paese ci si conosceva tutti. Ma le ragazze, che restavano tutto l'inverno chiuse in casa, non erano più le stesse quando uscivano a primavera. Erano cambiate. Lei che era sempre sembrata un cespuglio incolto tutta capelli, quel giorno era diversa. Aveva scarpe con il tacco e una gonna ampia, i capelli raccolti in una coda e il portamento fiero di chi sa farsi guardare. Sapevo che non avrei dovuto pensare a lei. Non era la ragazza per me. Io, figlio di nessuno, lei di un arricchito, pieno di boria e di soldi. Mai mi avrebbe permesso di stare vicino a sua figlia. Ma, "il cuore non conosce ragioni", era lei che volevo. Ne ero certo, era bastato quello sguardo sfuggente, per un istante dentro il mio, per capirlo. Iniziai a cercare i suoi occhi ovunque, e dopo averli trovati, la sua bocca. Ogni volta era come la prima, mi bastava poco per perdermi. Era come cadere in un buco nero, profondo, in cui entravo e di cui non trovavo la fine. Quella sera l'aspettavo nel giardino dietro casa sua. Era arrivata, in punta di piedi, silenziosa. Nessuna parola, solo i nostri occhi, i nostri sospiri. Poi un rumore, un tremito, la paura. Suo padre. Avevo sentito quel dolore caldo sulla faccia, il suo sguardo cattivo, furioso. Lei spaventata. Io umiliato. La sua voce che grida: "Scappa". La volevo portare via, via con me. Via da quell'uomo violento, che ogni giorno cercava di spegnere quello che in lei amavo di più: il suo sguardo. E così ho fatto. Adesso la osservo, seduta in giardino. Prende il sole di una bella giornata; si volta e mi accorgo che i suoi occhi ancora riescono ad attraversarmi, anche se intorno hanno tante piccole linee, che amo. Raccontano di un lungo tempo. E' passata una vita da quel primo giorno, la nostra vita insieme e capisco che non avrebbe potuto essere diversamente. E' bastato uno sguardo e sono stato suo, per sempre.