"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

sabato 21 aprile 2012

Il cane con il fiore in bocca



Sentivo  che  era  una fuga la mia  anche se in quella  casa non avevo lasciato nessuno.
E allora perché?
Forse fuggivo da qualcosa e non da qualcuno, ma non riuscivo a capire quel qualcosa cosa fosse per me.
La mia vita sinora era solo un susseguirsi di gesti precisi, di visite, di pranzi e di cene, di pomeriggi nella sala tv.
Avevo Laura che mi parlava, si sedeva vicino a me , mi guardava con i suoi occhi azzurri come il cielo di un giorno di primavera, mi schiacciava l’occhiolino,  mi raccontava i suoi ricordi, aveva 20 anni.
A proposito io sono convinto di aver compiuto 30 anni ma a volte mi assale un dubbio sulla veridicità di questa convinzione.
A volte riuscivo a seguire Laura, ad ascoltarla , ma poi perdevo la concentrazione, ogni  tanto annuivo e le accarezzavo la testa e i suoi capelli lisci e morbidi.
Quando gli zii venivano a trovarla le portavano  tanti dolci che lei non poteva mangiare perché era grassa e le facevano male.
Allora lei veniva nella mia camera, di notte, e me li metteva nel  cassetto del comodino. La sentivo arrivare con il passo incerto e il  respiro trattenuto.
Erano sempre cinque i dolci che trovavo al mattino, cinque come le dita di una mano.
A parte Laura nessuno mi parlava, o meglio gli infermieri  mi parlavano per dirmi che dovevo prendere le pastiglie e che dovevo lavarmi.
Una volta mi dissero che avevano bisogno di me perché ero un ragazzone robusto, dovevano legare al letto un ragazzo, Fabio, che continuava a scappare. Io mi rifiutai e così per punirmi legarono anche me.
Mi lasciarono legato una settimana, non potevo toccarmi, grattarmi,  girarmi, mi davano da mangiare e da bere, gridai per ore dicendo che sarei morto.
Tra le cose belle di quel  luogo c’erano Castore e Polluce, erano  belli da ricordare, due fratelli irriverenti e senza scrupoli, saltavano sui tavoli e mangiavano tutti gli avanzi.
Di notte sceglievano il letto più comodo e si acciambellavano per dormire, preferivano quelli che avevano le lenzuola  fresche di bucato.
Ero felice quando sceglievano il mio letto, li accarezzavo a lungo, avevano il pelo folto e lungo, gli occhi gialli che nel buio di quella stanza erano un faro nella mia notte.
Mi appagava sentire il loro piacere. Amavo quei gatti ma sapevo che non mi avrebbero mai cercato.
E allora,  mi chiedevo ancora “da chi sto fuggendo?”
Il treno andava veloce e mi piaceva  la sensazione che mi stesse portando via,  lontano dalla mia solitudine.
I miei pensieri erano lenti , nascevano e si trasformavano in altri pensieri sempre più ricchi di ricordi di immagini e di parole non dette, nascoste dappertutto, introvabili anche per me.
Quando il treno stava per arrivare alla stazione di Terni, presi  la decisione di scendere da quella comodità , di andare incontro al mio nuovo destino.
Presi  il mio zainetto e mi avvicinai alla porta di uscita.
Mi chiesi  preoccupato dove sarei andato con due soldi in tasca, senza nessuno che mi potesse aiutare, solo come un fiore rosso appena nato in un muto e bianco ghiacciaio.
Il treno si era fermato quando sentii un fruscio sulla mia gamba destra, pensai alla valigia di un altro viaggiatore dietro me e non mi voltai.
Poi però un cane abbaiò e subito lo riconobbi, era Gaspare.
Abbaiava ed era come se mi dicesse “allora sono qui,  finalmente ti ho trovato e tu che fai? Non mi dici niente? Non mi  stringi a te??”
“Gaspare come hai fatto a raggiungermi? Mi hai seguito? Gaspare come sono felice di vederti” lo stringevo forte a me e lui mi leccava e guaiva tutto agitato.
Ti sono bastate due carezze al giorno Gaspare per volermi così bene!Ora starai con me e non saremo mai più soli.
Quel fiore rosso solo nel ghiacciaio Gaspare l’aveva trovato  e ora lo teneva con se.


Manuela


2 commenti:

  1. "Ti sono bastate due carezze al giorno per volermi bene".... si accontentano di poco i nostri amici a quattro zampe!! :-)
    Brava, Manu!
    Flavia

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  2. Non so chi tu sia o se mai leggerai, ma ti dico solo una parola: Grazie

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