"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

venerdì 20 aprile 2012

...lo sguardo...
Era una donna stupenda, l'ho pensato fin dal primo momento in cui l'ho vista. Allora non era nemmeno una donna, era poco più che una bambina, ma quando i suoi occhi, neri e profondi comme gli abissi, mi hanno guardato, ho capito che non avrei potuto mai più fare a meno di lei. Me ne stavo lì, davani alla porta della bottega dove mia madre mi aveva mandato a lavorare. "Il barbiere è un buon lavoro, agli uomini la barba crescerà sempre; non sarai mai disoccupato". Mia madre aveva una saggezza tutta sua. Di quel tipo spicciolo che non puoi contraddire. Niente filosofia, solo cose pratiche che la vita insegna quando devi imparare a cavartela. Lei lo aveva fatto e ora lo insegnava a me. Quel giorno nessuno aveva voglia di un taglio di capelli e quindi me ne stavo appoggiato alla porta, con il sole in faccia, non troppo caldo, della primavera, quando ho visto lei, per la prima volta, passare, davanti a me. Con la coda dell'occhio mi aveva guardato, ne ero certo. Lei era un fiore, di quelli che doveva ancora sbocciare, ma nei suoi occhi c'era già scritta la sua storia. Uno sguardo che ti prende e non ti lascia più. Una cascata di capelli ricci e neri, che spiccava su un corpo esile, minuto. Sapevo chi era; una di quelle ragazze che si conoscono in paese, anche perchè nel mio paese ci si conosceva tutti. Ma le ragazze, che restavano tutto l'inverno chiuse in casa, non erano più le stesse quando uscivano a primavera. Erano cambiate. Lei che era sempre sembrata un cespuglio incolto tutta capelli, quel giorno era diversa. Aveva scarpe con il tacco e una gonna ampia, i capelli raccolti in una coda e il portamento fiero di chi sa farsi guardare. Sapevo che non avrei dovuto pensare a lei. Non era la ragazza per me. Io, figlio di nessuno, lei di un arricchito, pieno di boria e di soldi. Mai mi avrebbe permesso di stare vicino a sua figlia. Ma, "il cuore non conosce ragioni", era lei che volevo. Ne ero certo, era bastato quello sguardo sfuggente, per un istante dentro il mio, per capirlo. Iniziai a cercare i suoi occhi ovunque, e dopo averli trovati, la sua bocca. Ogni volta era come la prima, mi bastava poco per perdermi. Era come cadere in un buco nero, profondo, in cui entravo e di cui non trovavo la fine. Quella sera l'aspettavo nel giardino dietro casa sua. Era arrivata, in punta di piedi, silenziosa. Nessuna parola, solo i nostri occhi, i nostri sospiri. Poi un rumore, un tremito, la paura. Suo padre. Avevo sentito quel dolore caldo sulla faccia, il suo sguardo cattivo, furioso. Lei spaventata. Io umiliato. La sua voce che grida: "Scappa". La volevo portare via, via con me. Via da quell'uomo violento, che ogni giorno cercava di spegnere quello che in lei amavo di più: il suo sguardo. E così ho fatto. Adesso la osservo, seduta in giardino. Prende il sole di una bella giornata; si volta e mi accorgo che i suoi occhi ancora riescono ad attraversarmi, anche se intorno hanno tante piccole linee, che amo. Raccontano di un lungo tempo. E' passata una vita da quel primo giorno, la nostra vita insieme e capisco che non avrebbe potuto essere diversamente. E' bastato uno sguardo e sono stato suo, per sempre.

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