"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 25 gennaio 2012

nessuna come te

tu sei la persona che avevo amato
con la quale ho riso scherzato, diviso un panino.
tu sei bionda e io castana, tu sei calma, io agitata.
tu sei dolce e io di meno.
tu eri  lo studio e la merenda,
i parchi e i ragazzi non tutti per bene,
sei stata la prima sigaretta.
il primo viaggio all'estero.
tu eri punk con le spille dappertutto e i capelli neri,
io ero sempre la stessa o almeno mi sembrava.
ho amato tua madre e tuo padre, forse più di quanto amassero me.
ho trovato nella tua casa la calma e il sorriso che cercavo.
tutto quello che facevi mi sembrava strano, ma ti ho sempre tenuta stretta come una principessa dentro di me.
poi ci siamo perse, siamo diventate donne abbiamo avuto i nostri figli, la vita ci ha travolto d'amore e preoccupazioni, di gioie e dispiaceri.
tu eri però sempre la mia amica e lo sei ancora oggi.
quella sulla 74, quella che faceva la cacca con me, leggendo il topolino.
non eri un ricordo, eri una voce al telefono, una mail.
adesso sei tornata nei miei giorni, è tornata la tua risata improvvisa, la dolcezza della tua comprensione,
la timidezza mista alla potenza della confidenza sincera, pura.
quando ti guardo nelle foto e guardo Futura la tua bambina,
 vedo la bellezza regalata dalla vita, il succedersi continuo dell'amore, che noi sottovalutiamo e pensiamo di non avere mai abbastanza.
l'amore che non ci abbandona che ci sta incollato e che non è solo una faccia.
anche se tu hai una bella faccia con quei denti bianchi, quel sorriso che è lo stesso di quando ridevi delle mie cavolate alla scuola elementare.
e i tuoi capelli biondi liscissimi, e la pazienza che in te non cambia mai, neppure con tutta la vita che ci è passata in mezzo.
tu sei testimone della mia vita passata e quando mi dici che ero seria e avevo lo sguardo spesso corrucciato mi vengono i brividi perchè sembra ieri e sono passati 20 anni.
parlami ancora di me e di te e di noi , perchè mi riempe di gioia pensare a quanto mi stai regalando a quanto la tua vita è importante per me.



giovedì 19 gennaio 2012

Sedoka*




Niveo candore

celato fra le pieghe

d’un kimono scarlatto.


Sogno sospeso

fra cristalli di neve

su un tappeto di perle.

***

Flavia

Immagine dal web


Sedoka è un tipo di metrica giapponese composta da due strofe, ciascuna delle quali è formata da 3 versi ritmati in sillabe nel modo seguente: 5-7-7, 5-7-7. Chi volesse saperne di più sulla Poesia Orientale può consultare questo sito:











giovedì 12 gennaio 2012


Aveva in tasca un biglietto! Riconobbe quella busta al tatto, sorrise e tornò in classe.
Riceveva quei biglietti ormai da qualche mese ed erano diventati un appuntamento prezioso col sogno ad occhi aperti e col mistero. Se li trovava senza preavviso ma con frequenza cadenzata nelle tasche del cappotto che rimaneva appeso nell’aula professori.
La prima volta che lo ricevette era sera, fuori scuola, al termine di quell’estenuante consiglio di classe. Le cadde insieme al pacchetto dei fazzoletti di carta mentre frugava affannosamente per trovare le chiavi della macchina e andare via in fretta.
Si chinò per raccogliere e rimase spiazzata per una frazione di secondo: cos’era quella busta color seppia? Una multa non poteva essere, quelle hanno un antipatico color verde menta, bastardi…. come se ti dovessero addolcire la pillola con la cromoterapia. Non era stata invitata a nessun matrimonio.. aveva tutti amici separati, figuriamoci, nessuno di loro si sarebbe imbarcato nuovamente in un’altra esperienza di vita coniugale; le spese condominali arrivavano in una busta bianca con finestra 190x260, quindi non potevano essere neanche quelle. Prese la busta, la guardò rigirandola un paio di volte, niente timbro postale, niente francobollo, c’era solo il suo nome scritto a penna nera con una bella calligrafia: Annamaria Gandini.
La aprii. Sul foglio piegato in due stavano queste parole:

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umilta’ vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ‘ntender non la puo’ chi no la prova;

e par che de la sua labbia si mova
uno spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.

Rimase un po’ lì col foglio in mano, sorpresa ... chi le aveva scritto aveva addirittura scomodato Dante e la sua Beatrice per dichiararsi. Era frastornata, salì in macchina e mentre guidava verso casa fece una carrellata degli uomini che incontrava a scuola e che avrebbero potuto compiere quel gesto così antico e così teneramente coraggioso.
C’era Santagostino, il professore di lettere, il primo che le venne in mente vista la scelta delle parole ma era troppo avanti con gli anni per abbandonarsi a certe romanticherie. C’era Finotti, il prof. di Filosofia, intellettuale, uomo colto, raffinato ma lui era troppo innamorato della moglie che quando ne parlava tutti si sgomitavano come dire “ è ancora perso come il primo giorno”...managgia a lei, che invidia!!! Poi c’era Sondini, il prof. di Ginnastica, che sì...l’aveva invitata ad uscire qualche volta ma faceva il cascamorto un po’ con tutte. Più che alle donne era interessato all’effetto che faceva sulle donne, troppo narciso, troppo vanesio per scegliere Dante. No, non poteva essere lui. Ah, ecco, c’era Marchesi, il prof. di Musica, profondo conoscitore del blues e del jazz, lui aveva uno animo nobile e con le parole ci sapeva fare ma...era gay, lo sapevano tutti e quindi, niente, scartato pure lui.
Arrivò a casa, rilesse un’altra volta il biglietto, mangiò qualcosa, sfogliò distrattamente una rivista e poi si addormentò.
Altre buste arrivarono nei mesi successivi, una volta Prevert, un’altra Shakespeare, poi Alda Merini, Pessoa, Neruda, Catullo. Lei, da quella prima volta, guardava tutti con aria diversa, li scrutava, li studiava, si soffermava sugli sguardi per carpire un’espressione che potesse metterla sulla buona strada nella scoperta del suo ammiratore segreto. Qualcuno avrà anche frainteso e pensato “la Gandini, è andata fuori di testa ” e invece no, la Gandini stava solo cercando l’uomo del mistero.
Quel giorno, ritornando in classe, mentre i ragazzi svolgevano la verifica di matematica che aveva assegnato, si era persa nei sui pensieri. Quel modo gentile e discreto di rivelare l' amore ad una donna l’avevano stregata. Quei biglietti con le loro poesie d’amore avevano cambiato la prospettiva dei suoi giorni. Non da stravolgerle l’esistenza, intendiamoci; era sufficientemente disillusa dalla vita e dalle sue esperienze per non lasciarsi trasportare troppo da quella nuova condizione ma si sentiva coccolata, amata in modo diverso e inusuale e si chiedeva quale fosse il significato di questo regalo della vita . Mentre elaborava questi pensieri, passava involontariamente il dito sulle pagine del libro che aveva sulla cattedra. Sentì bruciare, si guardò e si accorse che si era superficialmente tagliata un polpastrello con la carta. Non aveva fazzoletti per tamponare il sangue e nemmeno un cerotto per chiudere la ferita. Allora si alzò ed uscì diretta verso la guardiola del bidello.
Salvatore non c’era, quasi sicuramente era a consegnare qualche circolare in una classe. Stava per andarsene quando, con la coda dell’occhio intravvide qualcosa color seppia, nascosto sotto al giornale. Incredula, lo spostò. Accanto alla busta c’era un foglio, riconobbe subito la calligrafia, aveva il cuore in gola, girò il foglio dalla sua parte e lesse:

Il più bello dei mari è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti
e quello che vorrei dirti di più bello, non te l’ho ancora detto.

Non si rese conto di quanto tempo fosse passato da quando aveva finito di leggere quelle parole, secondi, forse ore, giorni. Come in trance tornò in classe, indugiò sulla maniglia, Nazin Himet...il suo poeta preferito...che estasi...entrò e chiuse la porta.

mercoledì 11 gennaio 2012

Regole di buona scrittura

1.   I verbi avrebbero di essere corretti.
2.   Le preposizioni non sono solo una cosa da concludereuna frase con.
3.   E non iniziate mai una frase con una congiunzione.
4.   Evitate le metafore,sono come i cavoli a merenda.
5.   Inoltre ,troppe precisazioni,a volte,possono anche,eventualmente,appesantire il discorso.
6.   Le indicazioni tra parentesi (per quanto rilevanti) sono (quasi sempre) inutili.
7.   Siate pressappoco precisi.
8.   Attenti alle ripetizioni,le ripetizioni vanno sempre evitate.
9.   Non lasciate mai le frasi in sospeso perchè non...
10. Evitate sempre l'uso di termini stranieri, soprattutto sul Web.
11. Siate sintetici : cercate di evitare di cadere nell'errore di abbondare nello utilizzo di vocaboli tronfi ed
      espressioni ridondanti,ovvero in tautologismi generalmente destinati a rivelarsi inutili.
12. Evitate le abbr. incomprens.
13. Mai frasi senza verbi.
14. I confronti vanno evitati come i cliché.
15. Evitate le virgole,che,non,sono necessarie.
16. Non usate paroloni a sproposito,fare ciò è come commettere un genocidio.
17. Imparate qual'è il posto giusto dove mettere l'apostrofo.
18. "Non usate citazioni" come diceva il mio professore.
19. C'è veramente bisogno delle domande retoriche?
20. Come vi avranno già detto centinaia di migliaia di volte,non esagerate.
21. Solitamente non bisogna mai generalizzare.
22. Non usate elenchi numerati.
23. Evitate il turpiloquio,soprattutto se non serve ad un cazzo.

martedì 10 gennaio 2012

Una sera..




Una sera
Aveva in tasca un biglietto,se ne era accorto infilandosi la giacca per uscire.
Paolo non ne poteva più di quel divano e della televisione sempre accesa.
Aveva la testa e il cuore impastati come una pallina di pongo che aveva palpeggiato e schiacciato tutto il giorno.
Quel biglietto era del circo Togni, era ancora valido scadeva proprio quella sera.
"Ma chi me l'ha dato?" si chiedeva Paolo chiudendo la porta velocemente, con una fretta distratta, di chi vuole fuggire via ma non sa dove andare.
Ah già è vero me l'ha dato Umberto perchè l'ho vinto con la lotteria di Natale.
Noo, il circo è triste con tutti quegli animali sfruttati e anche i clown mi mettono tristezza ..no lo butto questo biglietto.
Scese le scale si ritrovò in strada senza neppure rendersene conto.
Aveva nevicato, Paolo scivolava sulla neve, ma l'aria era fresca e la luna illuminava le persone e le cose come se ci fossero tanti lampioni accesi.
Si sentiva solo, ma meno triste di pochi minuti fa.
Un gattino le attreversò la strada e con un balzo e un miao si infilò sotto una macchina.
A proposito di macchine.. ne passavano davvero poche e tutte andavano lentissime, anche i pensieri e i dolori si slegavano gli uni dagli altri, era più semplice comprenderli.
Accettarli ancora no..
Comunque Paolo pensava che stava meglio e che avrebbe fatto una lunga passeggiata.
Passa un autobus, Paolo vede che la fermata è vicina e istintivamente inizia a correre a correre e salta sù.
C’e’ poca gente, in fondo all’autobus vicino all’autista  un gruppo di ragazzi ride e sghignazza, le ragazze fanno le spavalde, come al solito sanno di averli tutti in pugno.
Seguirli dopo un po’ diventa noioso e così Paolo guarda davanti a se, si proprio davanti, quello che di solito non si fa mai.
Vede che c’e’ una ragazza con la testa china che dondola mollemente, come un sacco vuoto,chiude gli occhi e li riapre.
Sembra che abbia voglia di dormire, ma non ce la fa, vuole essere attenta a scendere, per vedere quando è il suo momento.”
Ad un tratto l’autobus si ferma, la ragazza si gira, fa uno scatto poi  due passi per scendere, ma poi vacilla e si aggrappa per non cadere..Paolo si alza preoccupato le prende la mano e le dice di farsi aiutare e le chiede se vuole scendere o restare sull’autobus.
“Signorina mi dica qualcosa la prego..”
“Mi scusi non mi sento molto bene, ho avuto una giornata durissima, la ringrazio, ora mi risiedo e poi scendo alla prossima”
“Ma come farà a tornare a casa se si sente cosi’ debole? Io non voglio cioè io non vorrei essere invadente, non vorrei che lei pensasse che io ma…..la posso accompagnare? Cioè intendo sottocasa.”
“Ma si va bene, sono veramente debole” dice la ragazza e si prepara per scendere.
Paolo le chiede “mi potrebbe dire il suo nome? Sa che lei mi sembra una che si chiama Chiara, non so dirle il perché..forse le sembro stupido o forse stasera da quando sono uscito vedo tutto illuminato, chiaro, sarà questa neve improvvisa..inaspettata o la voglia di dimenticare lo stress di una giornata pessima.
“Anche lei come me!Comunque mi chiamo Laura mi spiace ma mi chiamo così, mia madre ha potuto darmi il nome che amava, ha realizzato un sogno. Il mio muore sempre e cade sempre sempre più in fondo e ho paura che non mancherà molto e non lo rivedrò più.”
“Scusi se mi libero con lei di questo peso che oggi e anche ieri e da tempo ormai ho sul cuore” ..Paolo non sa se chiedere o tacere e ascoltare, non è curioso, ma vuole capire quello che sembra ora un mistero, le donne sono sempre un mistero o entità rivelatrici di vite lontane di dolori e gioie sconosciuti, a lui, almeno.
“Ho perso ancora il mio bambino, proprio oggi, ed  il settimo tentativo che faccio,
Io non riesco ad avere figli naturalmente, insomma si, facendo l’amore, come succede a tanti.
Sto facendo tutti i tentativi che questo mondo mi ha suggerito di fare, ma perdo ogni volta.
Sono stanca molto stanca fisicamente, ma non vorrei che fosse così perché io lo voglio questo bambino, per me e per Simone, il nostro amore ha bisogno di dare amore, è  una cascata d’acqua che vuole entrare nel fiume e poi nel mare, perché vuole riempire ed espandersi senza limiti.
Simone finge come me, dice che  un figlio non è determinante nella nostra vita, e che in fondo possiamo amare tutti i bambini del mondo.
Ogni volta che ci affezioniamo ad un bimbo il suo nome si imprime nella nostra carne, entra nel sangue anche se in lui non vi è alcuna traccia del nostro Dna.
E’ facile  dire che dobbiamo accettare il proprio destino, che ogni stato della propria vita ha un senso.
Ma qual’ è questo senso? Io non mi sento una donna vera, sono come  una regina senza il suo regno.
Paolo vede scorrere le lacrime di Laura copiose sulle sue guance tese, ma non le dice niente.
Nulla che possa farla smettere di stare così male.
Sente che è viva e lucida e che nessun ragionamento neppure quello che con immenso sforzo lui possa esprimere a Laura, potrebbe mai, neppure per un minuto, rasserenarla.
Laura si ferma davanti ad un portone, dà a Paolo un lieve bacio sulla guancia.
Poi dice “Sei un uomo gentile, che sa ascoltare”.
La tua compagna ti amerà per sempre o almeno ci sono delle buone probabilità”.
Poi sorride “Grazie di tutto e buona fortuna”.
Paolo sente che sta per commuoversi, non aveva mai parlato in quel modo con una donna, o meglio nessuna donna sconosciuta o meglio nessuna persona si era rivelata a lui così profondamente.
Riesce solo a dirle “Grazie a te” e poi saluta con la mano.
Torna a casa in pochissimo tempo o gli sembra così poco il tempo, per tutto quello che era successo da quando era uscito di casa.
Entra nel suo appartamento, fa due passi lentamente al buio, accende la luce della sala.
Si guarda intorno, vede sulla mensola quel dvd tutto impolverato, torna indietro e chiude la porta.






                 






lunedì 9 gennaio 2012

La cliente








Aveva un biglietto in tasca o pochi altri. Quella di destra , quella che infastidisci di continuo se non sei mancino; quella che nove volte su dieci ti si scuce ed accoglie, come un nido d’uccelli, le briciole di resto di quei piccoli piaceri quotidiani di cui non sai fare a meno.
La sua però era integra. Non infastidita. Il suo cappotto aveva due anni, rosso scarlatto. Lo aveva comperato a Monaco di rientro da un lungo stancante fine settimana di lavoro. Per acquistarlo ci mise poco, un’occhiata alla vetrina e poi entrò nel negozio indicandolo con sicurezza: “vorrei provare quello”. Le commesse con aria stupita come se non avessero mai visto un essere umano entrare in negozio in poche manciate di millesimi di secondi si giocarono con uno sguardo chi fra loro avrebbe servito la cliente.
“Vorrei quello in vetrina, sperando che ci sia la mia taglia” disse gentilmente.
“Beh si le taglie le abbiamo tutte; è un modello nuovo” disse la commessa prescelta accennando una lieve ed improvvisa balbuzie. “Non lo prova immagino, vero?”
“Certo che lo provo, se la taglia non dovesse andare bene cosa potrei farmene?”
La commessa arrossi di colpo per la domanda inopportuna appena pronunciata e si avvicinò quasi impaurita per farle provare il capo. Per poco non svenne nell’osservare con quanta maestria e disinvoltura il cappotto venne indossato, ammirato davanti allo specchio ed infine acquistato sfoderando una carta di credito come mai nessuno aveva fatto da che lavorava come “commessa di lusso” da Miu Miu.
“E’ il cappotto che ho sempre sognato fin da quando ero bambina , un sogno trovarlo” disse con un sorriso soddisfatto. Poi prese alla sua maniera la borsa con il cappotto e l’appoggio delicatamente alla spalla. Immediatamente dopo sempre con il piede destro frugo’ nella tasca del suo vecchio cappotto e ne estrasse un biglietto, lo porse alla commessa dicendole: “se non ha impegni sarei felice venisse a trovarmi, sarò a Monaco in tournè ancora per due giorni. Grazie per la cortesia e buona giornata”.
La commessa con un sorriso di plastica dopo aver letto il biglietto rispose senza nemmeno accorgersene : “oh, lei è una ballerina? Non so che dire m…m… mi scus..” ma non fece in tempo a terminare la frase che la cliente con il suo cappotto rosso scarlatto appena acquistato chiuse la porta.

domenica 8 gennaio 2012

L’amica geniale

Da pochi giorni in libreria è arrivatoL’amica geniale, nuovo romanzo di Elena Ferrante che inaugura così una saga tutta al femminile, che si svilupperà nei prossimi mesi: al centro delle vicende ci saranno due donne, la loro infanzia e adolescenza, e la loro amicizia che attraversa indenne una vita intera.
Elena e Lila sono inseparabili da sempre, bambine prima e adolescenti poi, cresciute assieme e diventate donne potendo contare reciprocamente una sull’altra. Le loro vite si intrecciano e mutano assieme ai cambiamenti della loro città, Napoli, qui descritta senza retorica con tutti gli annessi e connessi del caso, compresa la difficoltà di crescere in rioni popolari e malfamati di periferia negli anni ‘50.
Elena ha la possibilità di studiare, mentre Lila deve lavorare nella bottega del padre a riparare scarpe, ma colma la sua sete di sapere leggendo L’Eneide e studiando il latino di nascosto a tutti, quasi per pudore. Due donne diverse che si confrontano per crescere diventando specchio l’una dell’altra.
Un giorno però, una telefonata annuncia che Lila è scomparsa, ed è qui che inizia la storia dell’Amica Geniale, che però, non finirà all’ultima pagina di questo volume…




Una voce potente che spezza il silenzio della Storia
Un romanzo importante e potente che strappa il respiro e rivela la natura miracolosa dello spirito umano, capace di sopravvivere e continuare a lottare anche quando tutto è perso

RECENSIONE DI
Avevano spento anche la luna

UN LIBRO DI
Ruta Sepetys

PUBBLICATO DA
GARZANTI, Narratori moderni
Lina ha appena compiuto quindici anni quando scopre che basta una notte, una sola, per cambiare il corso di tutta una vita. Quando arrivano quegli uomini e la costringono ad abbandonare tutto. E a ricordarle chi è, chi era, le rimangono soltanto una camicia da notte, qualche disegno e la sua innocenza. È il 14 giugno del 1941 quando la polizia sovietica irrompe con violenza in casa sua, in Lituania. Lina, figlia del rettore dell’università, è sulla lista nera, insieme a molti altri scrittori, professori, dottori e alle loro famiglie. Sono colpevoli di un solo reato, quello di esistere. Verrà deportata. Insieme alla madre e al fratellino viene ammassata con centinaia di persone su un treno e inizia un viaggio senza ritorno tra le steppe russe. Settimane di fame e di sete. Fino all’arrivo in Siberia, in un campo di lavoro dove tutto è grigio, dove regna il buio, dove il freddo uccide, sussurrando. E dove non resta niente, se non la polvere della terra che i deportati sono costretti a scavare, giorno dopo giorno.

Ma c’è qualcosa che non possono togliere a Lina. La sua dignità. La sua forza. La luce nei suoi occhi. E il suo coraggio. Quando non è costretta a lavorare, Lina disegna. Documenta tutto. Deve riuscire a far giungere i disegni al campo di prigionia del padre. È l’unico modo, se c’è, per salvarsi. Per gridare che sono ancora vivi. Lina si batte per la propria vita, decisa a non consegnare la sua paura alle guardie, giurando che, se riuscirà a sopravvivere, onererà per mezzo dell’arte e della scrittura la sua famiglia e le migliaia di famiglie sepolte in Siberia.

Ispirato a una storia vera, Avevano spento anche la luna spezza il silenzio su uno dei più terribili genocidi della storia, le deportazioni dai paesi baltici nei gulag staliniani. Venduto in ventotto paesi, appena uscito in America è balzato in testa alle classifiche del «New York Times». Definito all’unanimità da librai, lettori, giornalisti e insegnanti un romanzo importante e potente, racconta una storia unica e sconvolgente, che strappa il respiro e rivela la natura miracolosa dello spirito umano, capace di sopravvivere e continuare a lottare anche quando tutto è perso

domenica 1 gennaio 2012

Mezzanotte e uno

 E così è iniziato il conto alla rovescia bene il conto alla rovescia dieci nove otto sette sei cinque quattro tre quella roba lì insomma che mancano pochi secondi manciate di secondi e poi questo anno infernale e bellissimo se ne andrà a fare in culo come tutti gli anni precedenti che se ci pensi bene alla fin fine mandi sempre questi messaggini del cazzo di auguri ma sotto sotto ce l’hai su con l’anno che se ne va sai già che ti mancherà ce l’hai su un po’ con lui perché in fondo in fondo in fondissimo gli hai voluto bene pure a lui che ti ha portato un carico di sfiga ma anche non c’è dubbio giornate di sole già giornate di sole e quelle magari non te le ricordi ma da qualche parte si mettono magari sotto le ciglia e dietro le pupille insomma quest’anno che se ne va lo cantava anche chi non mi ricordo chi la cantava l’anno che se ne va ma no era dalla lucio dalla e cantava l’anno che verrà e alla fine della canzone diceva che l’anno dopo era come l’anno prima che se vai a rileggere le operette morali di leopardi lo trovi già quel discorso lì è il dialogo tra il venditore di almanacchi e il passante e se non è il passante è una cosa del genere beh allora dove eravamo rimasti eravamo al conto alla rovescia già che in quei pochi secondi lì e soprattutto nel minuto dopo il minuto subito dopo che hai gridato buon anno ti guardi intorno non c’è un cazzo da fare ti guardi intorno e mentre ti guardi intorno ti guardi dentro altro che se ti guardi dentro non puoi farne a meno porca di quella troia magari sei andato in brasile in capo al mondo a fare il trenino pur di non guardarti dentro e invece poi eccolo lì quel minuto di merda quel conto alla rovescia dell’anima in cui scorrono scorrono scorrono scorrono scorrono le immagini i volti chi c’è chi non c’è con chi sei con chi non sei chi vorresti accanto e non c’è chi c’è e non lo vorresti accanto chi vorresti accanto e non c’è poi ti volti e vedi le coppie che si baciano ah ah che gioia che allegria buon anno anche a te siamo già nei primi dieci secondi dell’anno nuovo e mi sono già girati i coglioni signore mi scusi signor inverno mi scusi mi potrebbe ridare l’anno passato come non si può guardi che ne farò buon uso glielo posso garantire lo terrò qui in un angolo in un angolino in una cuccia da cocker se non le dispiace cosa vuol dire che non si può ma si guardi intorno anche lei signor inverno guardi che il mondo cammina anzi corre anzi vola anzi precipita qui son tutti già rivolti con lo sguardo in avanti è così che si fa bisogna guardare avanti esercitarsi a sperare trovare l’amore cambiare lavoro guadagnare tanto fare buoni propositi per l’avvenire non stia tanto a farla lunga lei signor inverno mi lascia questo anno appena passato e io me lo tengo stretto tutto per me con tutto il suo dolore e la sua bellezza come dice le fa un certo effetto sentire ‘ste due paroline vicine vicine eppure è così signor inverno ascolti un cretino dolore e bellezza dolore e bellezza vanno a braccetto anzi si tengon per mano un po’ come paura e coraggio ma non stavo dicendo questo stavo dicendo la prego la scongiuro mi lasci quest’anno passato che tanto a sentire quel che si sente in giro non se lo fila nessuno non lo vuole nessuno tutti a dire che anno di merda andrà senza dubbio meglio certo ma figurati ma chi lo mette in dubbio però se voi non avete niente in contrario io mi terrei questo qui me lo terrei tra la mani per qualche ora per qualche giorno insomma per un po’ e me lo riguarderei come un album di fotografie già ingiallite guardalo qui quest’anno dolorante e appena morto guardalo come è stato anche lui come noi gonfio d’amore e carico di speranza e poi ferito di promesse svanite e di desideri sfumati come nuvole un po’ come noi caro anno passato somigli un po’ a tutti noi indolenziti addolorati affranti incantati bambini stanchi ancora affamati e ancora assetati di carezze sì carezze sì alla fin fine quelle vogliamo ci han dato ‘sta cazzo di moneta debole e poi forte e poi ancora debole prima era la lira e adesso è l’euro ma sono le carezze la vera moneta del mondo non stiamo a farla tanto lunga a che punto eravamo arrivati già son passati pochi secondi dopo la mezzanotte e già mi sono girati i coglioni poi m’è venuto da chiedere al signor inverno di regalarmi l’anno passato anziché l’anno venturo e lui ha fatto spallucce ma guardi signor inverno coi baffoni io non sto mica scherzando io lo terrei qui con me lo tratterei con cura perché gli ho voluto bene che mi ha portato tante di quelle lacrime che avercene di lacrime così a un certo punto pensavo che finissero e invece le lacrime sono come le carezze non finiscono mai è difficile da accettare ma è così solo che noi siamo abituati male sa com’è abituati come siamo a comprare e a vendere non facciamo che dire tu cosa mi dai tu cosa mi dai se ti faccio una carezza tu cosa mi dai tu cosa mi dai tu cosa mi dai è difficile è dura la vita di noialtri nessuno lo mette in dubbio eppure a me piace sa cosa le dico mi piace la vita di noi poverini uomini malandati la trovo terribile e bellissima e poi non dimentichi signor inverno i baci posso dirlo i baci sì quelli forse non sono stati tantissimi ma quelli che sono arrivati son bastati per un anno intero non lo posso negare i baci signor inverno sono l’invenzione più dolce che l’uomo si è sognato di inventare almeno io la penso così sì lo so che dovrei sperare nei baci anche per l’anno a venire e infatti ci spero e nemmeno poco ma sa cosa le dico non vorrei che con questa cosa del guardare avanti magari mi capitasse di dimenticare qualche bacio di dimenticarne qualcuno di farlo cadere dal cuore e questo mi dispiacerebbe a dirla tutto vorrei vorrei vorrei che i baci dati e le carezze ricevute e le lacrime piovute stiano tutti qui con me come fratellini di cristallo come figurine di vetro posate sulla pelle ecco ecco ecco questo vorrei e invece lei signor inverno è spietato e ha preso l’anno passato e l’ha spazzato via con un colpo di scopa e spumante tre due uno bum via è arrivato questo qui nuovo nuovo anche se a ben guardarlo mi sembra molto simile a quello vecchio cosa stavamo dicendo già sono passati pochi secondi alla mezzanotte e mi guardo intorno e mi guardo dentro e mi guardo intorno ma non solo a me mi guardo intorno al mondo al mondo al mondo tutto mi viene da pensare chissà perché a un soldato che fa una ronda inutile e cammina avanti e indietro su una frontiera deserta e poi mi viene in mente la luce della casa di riposo vicino a casa mia che dalla finestra si vede la macchinetta delle bibite e magari c’è qualche figlio di o nipote di o amico di che sta prendendo un caffè dopo aver detto buon anno a qualcuno che non gli risponde nemmeno e poi mi viene in mente il casellante ma certo il casellante che ne saranno rimasti due in tutta italia che vede passare le persone un po’ come il signor inverno e poi mi viene in mente senza andar tanto lontano mi basta guardare in questa stanza e vedo tutto quello che c’è da vedere ci sono io che sono solo solo solo e poi là in fondo c’è una donna sola sola sola anche lei noi soli siamo quelli che ci rifugiamo al telefono tra un attimo magari per chiamare la mamma o i figli o un numero a caso pur di non dover mostrare a qualcuno i nostro occhi deboli e spaventati e poi c’è la signora anziana che si commuove e poi ci sono i bambini che giocano anche se è capodanno e non gliene frega niente dei buoni propositi e dei due baci sulla guancia e poi ci sono le coppie certo ci sono le coppie niente di personale nessuno se la prenda questo è un esercizio di immaginazione ma quando guardi le coppie che si baciano non è proprio come al cinema insomma ti viene da chiederti saranno felici saranno felici chissà come si baciano il primo dell’anno se lei cinge le braccia dietro al collo di lui e lo bacia come il primo giorno oppure se quel bacio è usato e quotidiano un po’ come tutto il resto e poi ci sono quelle coppie e chissà quante sono e dove sono che sono come le stelle morte le stelle che continuano a emettere luce per noi terrestri che le ammiriamo e in realtà loro se ne sono andate da un pezzo solo che nessuno lo sa nessuno se ne accorge nemmeno loro se ne accorgono e continuano a buttare nel cielo quel puntino luminoso e loro si illudono e noi ci illudiamo che quella sia una luce e invece non lo è più e poi ci sono le coppie felici mannaggia a loro quante ce n’è in giro mica felici come al cinema no felici normali che poi è la cosa migliore meglio lasciare il cinema a casa sua ma io quello che volevo dire dopo il conto alla rovescia e ‘sto cazzo di primo minuto che sta per finire e il soldato di frontiera e l’anno passato e tutta questa roba che mi è passata per la testa in questo minuto infinito quello che volevo dire o meglio volevo domandare ma tu ma tu ma tu mia adorata dove sei perché non sei qui con me che le devo dire signor inverno se lei si porta via l’anno passato lei rischia di portarsi via anche anche anche ecco ci siamo capiti e poi son dolori il primo dell’anno e non è un gran regalo non è un bel modo per cominciare piangere dopo nemmeno un minuto che siamo al mondo di nuovo siamo al mondo daccapo allora cosa dice se io le lascio cosa le lascio quattro monete un pupazzo di neve sciolto le lascio un naso da pagliaccio tricolore e le lascio una barchetta di carta cosa ne dice lei me lo lascia l’anno passato come dice è ancora troppo poco allora guardi mi voglio rovinare le lascio anche una canzone una canzoncina piccola così che non la sa quasi nessuno gliela canto nell’orecchio e poi le lascio le chiavi di una casa quasi vuota che un amico mi ha prestato per un po’ e poi le lascio cartoline di mare sì cartoline di spiagge diverse e tutte uguali adesso basta non ancora allora guardi le lascio questa pagina le lascio questa fantasia mescolata alla memoria come dice questa pagina appartiene già all’anno nuovo allora guardi non so più cosa fare le lascio un quaderno di appunti un’agenda tenuta benissimo che è la mia e poi un palloncino di mia figlia che non lo usa più è rosso e bellissimo somiglia all’anno passato può sostituirli se vuole si somigliano un casino sa anche il palloncino era gonfio una volta era gonfio rosso di stupore e meraviglia e volava volava volava anche lui si può fare si può fare e così mentre intorno a me si susseguono i baci e i sorrisi di capodanno e auguri e auguri anche a te io mi ritrovo tra le mani in tasca l’anno passato il duemilaeundici l’anno che non vuole nessuno è qui in tasca solo per me e se qualcuno vuole ogni tanto può chiedermelo ce lo riguardiamo insieme quest’anno doloroso e incantevole evviva l’anno vecchio evviva l’anno nuovo adesso può anche arrivare e fare quello che deve fare il primo minuto è andato sfumato volato spazzato siamo già in quelli dopo nelle ore dopo nei pensieri dopo dopo dopo dopo dopo dopo ci pensiamo intanto buon anno buon anno a tutti al mio papà e alla mia mamma a tutti a tutti a tutti a chi so io e a chi sa lei a tutti tutti buon anno buone cose buone lacrime buone carezze tanti baci.

Luca Chieregato