"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 4 maggio 2011

La versione di Barney

La vita dissipata di Barney Panofsky

Il personaggio del romanzo di Mordecai Richler “La versione Barney” appartiene a quella generazione di ebrei del post sterminio, dediti al libertinaggio più sfrenato pur di dimenticare la propria appartenenza ad un popolo di afflitti (si veda il romanzo “Con le peggiori intenzioni” di Alessandro Piperno) salvo, poi, ripulirsi la coscienza spillando dalle tasche di ricchi imprenditori, anch’essi colpevoli di voler sotterrare il loro passato, ingenti quantità di denaro da reinvestire nella causa israeliana. Certo, non prima di aver speso buona parte della propria giovinezza all’estero, inseguendo il mito di una vita bohemien, tra droghe e promiscuità sessuale, con il fermo intento di “sfuggire all’angusta tetra provincia” di appartenenza.

Quando Barney Panofsky parte da Montreal per Parigi, nel 1950, è un ragazzo di 22 anni che avendo letto molto desidera emulare gli autori da cui è rimasto affascinato, pur consapevole di non avere alcun talento per l’arte. Per questo Barney sarà sempre accompagnato da un profondo sentimento di invidia nei confronti del gruppo di aspiranti artisti, scrittori e pittori, conosciuti quando erano solo degli “sciamannati” e che poi, a differenza di lui – produttore di serie televisive di 4a categoria – hanno raggiunto un successo autentico. Ma Barney lo riconoscerà soltanto alla fine del lungo manoscritto in cui ricostruirà la sua vita, tentando di smentire molti dei fatti riportati nell’autobiografia del suo acerrimo nemico Terry McIver.
Terry McIver è il sassolino nella scarpa di Barney Panosfky, è un po’ come la sua coscienza, lo specchio in cui non si vuol guardare. Anche lui aspirante scrittore squattrinato ai tempi di Parigi, diviene anni dopo “autore nazionale” avvelenando il sangue di Barney. Dalle descrizioni di MacIver, improvvisamente il personaggio che abbiamo conosciuto ci appare sotto una luce diversa: da uomo spiritoso e romantico e per questo, troppo spesso, vittima degli eventi, a patetico beone, incapace di partorire un pensiero che sia proprio e che vive della luce riflessa degli amici di cui si circonda.
Una dualità, un continuo scambio di cattiverie tra i due personaggi che costituiscono il sale di questo libro. Benché ci si affezioni al Barney Panosfky che passa incolume attraverso “la scarlattina, gli orecchioni, due rapine a mano armata, alle piattole, all’estrazione di tutti i denti, a un’operazione all’anca, a un processo per omicidio e tre mogli”, non si può odiare Terry McIver di cui si intuisce, anche affidandosi alla versione di Barney, l’assoluta sincerità.

da: http://www.storiacontinua.com/recensioni/la-vita-dissipata-di-barney-panofsky/

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