"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

sabato 14 maggio 2011

IL BACIO DOLCEAMARO DELLA SIGARETTA

“Apri quella finestra! Non senti che puzza di fumo c’è in questa casa?” esclamò lui con un gesto di stizza.
Lei non rispose. Si accese una sigaretta, spalancò la porta d’ingresso e uscì nel giardino su cui si affacciava la loro villa.
Respirò con rabbia le prime boccate e sul suo viso si dipinse una smorfia: non aveva ancora fatto colazione e il fumo le stringeva lo stomaco in una morsa dolorosa, acuita dalla tensione. Poi però, a poco a poco, cominciò a rilassarsi e a godere il piacere quasi carnale del suo vizio. La sua espressione cambiò: le si leggevano in volto la voluttà con cui assaporava la prima sigaretta del mattino e quel leggero stato di stordimento che le procurava la nicotina dopo l’astinenza notturna!
Mentre stava spegnendo la sigaretta ancora a metà e già si frugava in tasca per cercarne un’altra, osservò la sua immagine riflessa nella portafinestra; di colpo le parve di avere davanti a sé suo padre, con una sigaretta in mano, mentre un’altra si stava consumando sul posacenere.
In quel gioco di specchi, lei aveva addirittura la sensazione di rivedere il tipico gesto con cui il padre afferrava il suo Ronson color acciaio, portava la sigaretta alla bocca e gustava il gesto stesso di accenderla.
Questo ricordo la fece sorridere, ma un’ombra al di là del vetro la riportò alla realtà. L’immagine del padre si dissolse, per prendere le sembianze di suo marito, che la stava osservando. Aveva un’aria cupa; le rughe attorno alla bocca accentuavano la piega amara che gli anni avevano scolpito sul suo viso e gli occhi erano gelidi. Lei si accigliò: doveva tornare in casa e trovarsi faccia a faccia con quest’uomo, con ciò che lui era diventato nel corso del tempo. Non ne aveva proprio voglia, pertanto entrò dal retro, si truccò molto in fretta e si avviò subito verso l’ ufficio.
Mentre avanzava a passo d’uomo nel traffico, placava il nervosismo fumando una sigaretta dopo l’altra, incurante dell’impaccio durante la guida, della nebbia che si creava nell’abitacolo e della cenere che finiva sul cruscotto, sui sedili, sul suo vestito. All’improvviso si ricordò della prima “bionda” che aveva sottratto a suo padre a 14 anni e di tutte quelle che aveva fumato di nascosto fino a quando, a 18 anni, era uscita allo scoperto, usando il vizio del padre come alibi e dichiarando che la sua vita era soltanto SUA.
Quei pensieri furono interrotti dall’arrivo al posteggio, davanti all’ ufficio dove lavorava. Fu una giornata intensa e per lei diventò un vero calvario rispettare il divieto di fumare fra quelle mura. Ogni tanto, andava al distributore automatico di bevande calde e ingollava un caffè, ma soltanto per poter godere subito dopo - sul terrazzino – il gusto della sigaretta mescolato a quello della caffeina.
Arrivò sera. Terminato il lavoro, avrebbe voluto girare senza meta per la città, ma era troppo stanca e si mise in viaggio verso casa. Le tornò in mente quando lei, a trent’anni, aveva incontrato l’uomo che era poi diventato suo marito. Si erano conosciuti a un corso di fotografia, ed era stato un vero colpo di fulmine. Appariva tutto perfetto… tutto a parte un piccolo particolare: nel dichiarare i propri sentimenti, lui le aveva detto: “Ti amo, ma non amo baciare l’amaro delle tue sigarette.” Lei non ci aveva pensato due volte: aveva smesso di fumare da un giorno all’altro, certa che un simile sacrificio le avrebbe garantito un amore eterno. Ma dopo nove anni di matrimonio e altrettanti di astinenza dal fumo, si era ritrovata a desiderare sempre più spesso il sapore di una sigaretta piuttosto che quello dei baci del marito. Aveva resistito per molto tempo, finché la sera prima era entrata in una tabaccheria e, con le dita che le tremavano per l’emozione, aveva indicato un pacchetto bianco e azzurro.
Al volante dell’ auto, mentre le lacrime facevano tremare davanti ai suoi occhi le luci dei semafori, ripensava a come era stato eccitante respirare di nuovo quell’odore e quel sapore così a lungo desiderati. Si era accesa una sigaretta nel cuore della notte, in cucina, e sarebbe stato un godimento perfetto se il marito non l’avesse colta di sorpresa, aprendo di scatto la porta e squadrandola con un’ espressione di disgusto stampata sul viso. Sentiva ancora risuonare nelle orecchie le parole con cui aveva continuato ad investirla anche al mattino: “Apri quella finestra! Non senti che puzza di fumo c’ è qua dentro?”
Non riusciva a pensare ad altro, e la tristezza e la rabbia diventarono ancora più forti quando si decise ad entrare in casa. Era ora di cena; per tutto il tempo in cui lei e il marito furono a tavola aleggiò una tensione ancora più pesante del solito. Lui la guardava senza guardarla, mentre lei sentiva crescere in sé un senso di totale estraneità da quell’uomo. Così, dopo il caffè, frugò nella borsa, prese il pacchetto bianco e azzurro e si accese una sigaretta davanti a lui. Lo fece fissandolo negli occhi, con aria di sfida, e continuò a respirargli in faccia una boccata di fumo dopo l’altra, una dopo l’altra, senza parlare.
Il loro matrimonio finì così: quella stessa sera lui se ne andò. Lei, dietro la finestra chiusa, lo osservò allontanarsi e aveva in bocca una sigaretta.

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