"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

sabato 22 ottobre 2011

l'occhio dell'anima

L’enorme occhio continuava a scrutarlo, sbattendo la palpebra a intervalli regolari.
La stanza, dai muri bianchi, era completamente vuota, priva di qualsiasi porta o finestra.
Solo quell’imbarazzante e indiscreto osservatore sporgeva da una delle pareti. Il soffitto era di un colore blu scuro, e sembrava ospitare la sorgente dalla quale proveniva la tiepida illuminazione della stanza. Gregor non riusciva a scrollarsi di dosso la terribile ansia provocata dalla sua curiosa e indescrivibile situazione. Iniziava a meditare, quasi perdendosi nei foschi fumi della follia che annebbiano l'uomo, propositi violenti contro quel maledetto impiccione: colpirlo con raffiche di pugni fino a costringerlo a chiudere la sua immobile palpebra sottile. Sino ad ora non aveva escogitato altre soluzioni efficaci per far cessare quell’angosciante osservazione. Si era trattenuto dal passare all’azione con una certa circospezione insita nella sua coscienza. Prima voleva valutare attentamente le possibili reazioni che poteva intraprendere quello che ormai considerava essere il suo nemico; ma le conclusioni alle quali era arrivato almeno una decina di volte, erano sempre le stesse. La stanza non aveva accessi visibili: nessuno avrebbe potuto intervenire in difesa di quel maledetto occhio che lo scrutava scavandone il fondo dell'anima. Quest’ultimo, poi, non poteva certo afferrarlo o cercare di sopraffarlo. Dopo aver confermato a se stesso ancora una volta le medesime conclusioni, Gregor si decise ad attaccare. Si appoggiò alla parete opposta rispetto a quella che ospitava l’occhio, sempre osservatore sospeso nel traboccante vuoto di quell'assurdo. Prese lo slancio, e con foga raggiunse il suo bersaglio, iniziando a colpirlo con calci e pugni, senza fermarsi. Non prestò particolare attenzione alla coordinazione con la quale lasciava partire i propri colpi sicuri e precisi, pensò semplicemente a sfogare la rabbia e l’angoscia che pervadevano la sua anima nella geometrica agonia di quella stanza vuota.
Quando iniziò a sentire fitte sempre più dolorose a braccia e gambe, si allontanò dalla parete; rimase ad osservare per qualche istante la sua vittima , poi si inginocchiò esausto sul pavimento. Erano trascorsi pochi secondi quando l’uomo sollevò lo sguardo verso l’occhio, e quello che vide lo lasciò esterrefatto: lente e ripugnanti lacrime iniziarono a infrangersi con rumore sordo sul pavimento. Quando Gregor ragionava sulle possibili reazioni del suo avversario, aveva tralasciato la più semplice e banale delle condizioni. Si diede dello sciocco per qualche istante, poi l'istinto represso prese il sopravvento: iniziò a inveire inutilmente contro l’occhio, mentre cristalline gocce di memoria iniziavano a perdadere la stanza fino a riempirne quasi un terzo. Faticava sempre più a tenersi a galla, si sentiva stanco; soprattutto esausto, sopraffatto, sconfitto, dalla sua voce di dentro.

Francesca Casagrande

2 commenti:

  1. perdersi nel traffico del proprio inconscio dove si aggrovigliano ricordi pensieri paure emozioni, incomprensibili azioni.
    Manu

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  2. "il traffico del proprio inconscio" ..bellissima questa frase, Manu, rappresenta al meglio i misteri dell'animo umano.
    Grazie per l'assiduità con cui mi leggi,
    un bacione!
    Fra

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