"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

martedì 18 ottobre 2011

25 gennaio 2006

25 gennaio 2006
Casa mia.
Una mattina come tante, di freddi risvegli e parole biascicate nella fretta del vestirsi alla rinfusa.
Un telefono che squilla all'improvviso, bucando la coltre di silenzio del mattino, ad un orario per cui, per una tacita convenzione civile, nessun telefono può squillare, a meno che non sia un'occasione speciale.
D'un tratto tutto intorno a me si fa ovattato. Come se il mondo girasse al contrario, a rilento, nel vuoto. Tutto rallenta, tutto si ferma, immoto. Nulla, non sento più nulla. Se non quel telefono che squilla. La suoneria di un vecchio Nokia 3310 , la più classica. Un ritmo costante, un martello nella mente, che si insinua nel velo steso sulla casa dipinta d'ombra dai colori dell'alba.
Non sento più nulla, se non quel telefono; e il battito del mio cuore.
Sì, lo sento che prende a correre all'impazzata, a scalpitare nel petto come un cavallo selvaggio che vuole fuggire da quella consapevolezza intrinseca che non può confermare. Annaspo nella foga di strappare brandelli di parole alla conversazione di mia madre, che scoppia in pianto urlando e farneticando agitata, mentre le lacrime già le rigano il volto.
Devo andare, la mamma mi fa cenno di andare. Quasi mi spinge fuori dalla porta e il mio animo fa a pugni dentro di me, combattuto tra il desiderio perverso di sapere, e la necessità umana di fuggire da quell'incombente verità sospesa.
Esco di casa, quasi corro verso la fermata dell'autobus, arrivando così in anticipo rispetto al solito.
La mia mente inizia a viaggiare, persa nel turbinio dell'irrazionale. Mille varianti e possibili ipotesi dei più drammatici eventi turbinano nella mia testa, e scossa da un brivido provo quasi un effetto catartico nel constatare che in fondo, forse, si tratta di molto meno rispetto a tutto quello che immagino.
Eppure, ora dopo ora, quasi un angelo, o un demone, che si insinua lentamente dentro me e m'ispira innata certezza, sento crescere nel petto quella consapevolezza. Una frase ruota incessante nella mia mente, dove tento invano di cancellare il suo volto, di cancellare quel pianto di lacrime amare che consumano un corpo macchiato di giovinezza.
“E' morta Chiara.”
E poi arriva. Eccola.
Sono passate le ore. Una dopo dopo l'altra, con l'avanzare del giorno, avanzava la consapevolezza di ciò che avrei udito.
E ora, eccola.
Quella frase tanto udita nella testa e subito cancellata dal cuore, offuscata e mascherata da quella faccia irrazionale di noi che ci porta a credere, talvolta, in quell'impossibile che ci tiene vivi giorno dopo giorno.
Quella frase che, per quanto si senta alla televisione, si legga sui giornali e nei libri. Per quanto si senta dalle bocche degli altri, costringendoci spesso a fare facce contrite anche nelle più strambe occasioni, ecco per quanto sia nota, solo quando qualcuno la pronuncia guardandoti negli occhi, comprendi cosa significhi.
E da quel momento, da quell'esatto istante, ci sono altre mille cose, che non riuscirai mai a comprendere.
"Chiara è morta.
E' stata investita da un'auto, ieri sera in via Bezzi, con suo papà e sua sorella mentre andava dal dentista..”
Chiara è morta.
Ti rimbomba nella testa e ti chiedi cosa significhi e cosa dovresti provare. Perché per la prima volta nella vita non sai esattamente che cosa provi, che cosa senti, che cosa desideri. Non sai se ridere o piangere o fare finta di niente. Ti si chiude lo stomaco e fa strano mangiare, e hai come la sensazione che sia più buio, lì, fuori e dentro e te.
Pensi di capire la morte quando la sfiori, e invece forse è il momento in cui la capisci meno. Chiara dov'è? Sembra solo che sia partita per un viaggio, la sua assenza scolpita nell'aria ti sembra una momentanea coincidenza.
Esco per prendere una boccata d'aria, nel giardino.
Nevica, nevica da ieri sera, e non posso smettere di pensare che quella neve sia Chiara. Che sia la sua dolcezza mandata ad attenuare il pianto di chi senza tregua invoca il suo nome rivolto ad un corpo che non le renderà più giustizia.
Neve, neve che cade lenta.
Neve che volteggia e si ferma sospesa nell'aria attraversata da un pallido raggio.
Neve che sembra parlare, sussurrare al vento un messaggio perché lo scriva nel grigio di un cielo d'inverno, a due settimane soltanto dal mio compleanno.
Sono lì, immobile. Guardo quei candidi fiocchi cadere nella loro eterna danza lenta e innarrestabile, e all'improvviso la vedo: sua madre.
La mamma di Chiara avanza a fatica, le solite immancabili scarpe con il tacco 12 che affonda nella gelida neve. Una pelliccia scura l'avvolge, grandissima. Una pelliccia calda, che quasi pareva poterla nascondere dal freddo di un mondo svuotato di senso, e invece non riusciva. E anch'io sono vestita, avvolta per bene nel mio felpone invernale. Non ho freddo, eppure mi sento nuda.
Sono Vestita, e mi sento Nuda.
Spogliata della capacità di sorridere, spogliata della capacità di comprendere. Io, che avevo sempre pensato che il mondo fosse ai miei piedi e che ci fosse tempo per tutto. Io, che uscivo al mattino salutando a fatica perché mi alzavo nervosa. Io che pensavo che non fosse importante fare la pace o dire ti amo, perché si potrà fare domani. Io mi sento improvvisamente colpita, come un fiume in piena, da un'onda selvaggia di vita che mi attraversa quasi fosse una saetta caduta da questo immoto cielo. Io, per la prima volta, sento una forza intrinseca che si fa largo dentro di me e si aggrappa alla vita con tutta l'energia che erompe dall'anima.
Incontro il suo sguardo, e lo scontro di questo mio ardore che lotta inarrestabile contro la paura della morte, e di quella sua tristezza e solitudine che le corrompono il fondo dell'essere; la battaglia dei nostri sensi che cercano senza trovarla una risposta nel cielo, produce un vuoto nell'aria, che ferma il tempo, e toglie il respiro.
Chiara è morta, e mi attacco al suo ricordo, convinta che intorno a noi aleggi sempre, costantemente, la sua anima finalmente libera e selvaggia.


Francesca

2 commenti:

  1. mi sono bastate la data e le prime righe per capire che avresti parlato di lei... brava perchè hai scelto di farlo e per come l'hai fatto

    f.

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  2. un corpo macchiato di giovinezza...questa frase ci dice già tutto su quella ragazza per la quale anche mio figlio ha sofferto pur non conoscendola ma capendo comunque il dolore di un assenza tragica come quella di Chiara.
    Grazie per averci dato la sensazione che lei invece sia ancora tra noi.
    Un abbraccio.
    Manu

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