"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

giovedì 13 ottobre 2011

...la casa in fondo alla strada...

Sono passati tanti anni da quando sono stata in questo posto e man mano che le vie scorrono dietro al finestrino della mia auto, tornano alla mente ricordi che non pensavo esistessero. Profumi, rumori, visi e voci, un insieme di emozioni che mi riportano indietro alla mia infanzia e a quel periodo, passata qui tanto tempo fa.
I miei genitori, per quell'estate, avevano scelto di passare le vacanze in un piccolo paesino, al mare. Avevamo preso in affitto una villetta. Era una casa bianca, molto carina, con un giardino. Per noi, bambini di città, abitare in una casa dove si entra senza prendere l'ascensore, dove si esce e c'è un prato tutto per te, dove giocare, sembrava un fatto miracoloso.
La mia camera aveva un lettino e un letto a castello; non era molto grande e la dividevo con i miei fratelli, ma non mi importava, mi sembrava di essere in paradiso.
Non tutti i giorni andavamo al mare; i miei dicevano che troppo mare rende i bambini nervosi, e quindi rimanevamo a giocare intorno alla casa. Sul retro c'era un pergolato e anche nelle ore più calde, lì si stava al fresco. Mi organizzavo con le mie bambole, e fingevo di avere una casetta tutta mia.
La casa si affacciava su una strada abbastanza stretta; ci passavano poche macchine e avevo il permesso di uscire dal cancello per passeggiare e sbirciare in giro. Tutte le case vicine erano villette con il giardino; niente a che vedere con la mia casa di città, sommersa in mezzo a palazzoni che sembravano giganti.
In cima alla strada, distante da tutte le altre abitazioni, c'era una casa diversa da tutte. Era proprio la sua diversità ad attirare la mia attenzione, a suscitare la mia curiosità.
Era una vecchia casa, alta. Il tempo aveva portato via l'intonaco e in molti punti si vedevano i mattoni, le pietre con cui era stata costruita. Era grigia e cupa. Non c'erano fiori e al posto di un bel prato, intorno, aveva un selciato. Finestre e porte erano sempre chiuse, ma nel mio girovagare avevo scoperto che vi abitava una vecchietta. Quella era la casa della Ida.
Oltre la casa della Ida non c'era niente, e quindi quello era il limite invalicabile:"Vai, ma non oltre la casa della Ida". Ma chi fosse questa Ida, non lo sapevo, non l'avevo mai vista.
I giorni della mia vacanza scorrevano sereni, ma pian piano lo spazio intorno a me non aveva più segreti. Non che mi annoiassi, ma un senso di libertà e di sicurezza, che non avevo mai provato prima, mi aveva preso.
Sentivo quel limite di "non oltre la casa della Ida" come una sfida.
Un pomeriggio, mentre camminavo lungo la strada, arrivata vicino alla vecchia casa, qualcosa dentro di me mi aveva spinto ad andare oltre. Non so bene dove trovai il coraggio di disobbedire, ma lo feci.
Era una giornata nuvolosa, di quelle che mette la noia addosso e che ti spinge a trovare qualcosa di nuovo, da fare.
Lo avevo fatto ed ero rimasta sorpresa nel vedere che non c'era niente di pericoloso oltre quella casa, solo campi e grandi cespugli di rovi di more. Tantissime more. Presa dall'entusiasmo e dall'eccitazione della mia trasgressione mi ero messa a raccogliere e a mangiare more con avidità. Il tempo era passato senza che me ne rendessi conto e soprattutto non mi ero accorta di come il colore del cielo fosse cambiato. All'improvviso mi ero ritrovata in mezzo ad un temporale violentissimo. In un attimo, tutto quello che fino a quel momento mi era apparso come una bellissima avventura, si era trasformato in un incubo. Ero spaventata e non sapevo dove andare.
Piangendo, mi ero messa a correre, quando all'improvviso una mano mi aveva afferrato per un braccio. Mi sentivo trascinare ma non sapevo dove mi stesse portando, finchè non riconobbi la casa della Ida. Una di quelle strette porte che avevo sempre visto chiuse, era aperta ed era proprio dentro a quella casa che stavo per entrare.
In tutta la mia paura, una voce dolce iniziò a parlare. Era proprio lei, la Ida. Nella stanza semibuia mi spinse vicino al camino e mi diede una coperta: tremavo come una foglia, per la paura e per il freddo.
Guardandomi intorno, mi resi conto che in quella stanza c'era tutto quello che poteva servire per vivere. Ma la mia attenzione andò ad una foto, che era posata su un cassettone; aveva davanti fiori e una piccola candela accesa e spiccavano i volti di due ragazzine sorridenti, uguali, due gemelle.
"Sono le mie figlie, sono morte tanti anni fa. Erano tanto belle." La sua voce era tremante. In quel momento mi resi conto che non mi faceva più paura, ma solo una grande tristezza.
Seduta accanto alla Ida, ero rimasta ad ascoltare la sua storia, finchè il temporale non era finito. Poi, tenendomi per mano, mi aveva riaccompagnato a casa.
Nei giorni che mi rimasero di vacanza andai tutti i pomeriggi a trovare la Ida, a raccogliere more, ad ascoltare le sue storie. Il ricordo più caro è rimasto in quella casa, in quella stanza che era tutto il suo mondo o quello che le era rimasto.
Con un po' di fiato sospeso ripercorro quella strada, ma la casa della Ida non c'è più. Mi fermi e ripenso alla sue poche cose, cose che ad occhi estranei saranno sembrate senza valore ma che per lei erano tesori. Come quello che ha lasciato dentro di me.

1 commento:

  1. La Ida: vera (come penso che sia) o immaginaria, è un bellissimo personaggio. Altrettanto bella la storia attraverso cui l'hai fatta rivivere.

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