"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

venerdì 21 ottobre 2011

LA SCATOLA DEI RICORDI

I ricordi, tanti belli, brutti, così così....
scatola... e se invece di una scatola fosse una casa? si per me è una casa, è la mia casa, non quella di adesso, no, quella di quando ero piccola.
Primo piano delle case popolari costruite dalla fabbrica dove lavorava papà, erano gli anni '60, il boom, l'economia girava...
primo piano, due rampe di marmo bianco, una porta di legno chiaro, non liscia ma tutta a scanalature verticali,dall'alto in basso e una maniglia rotonda, con gli incavi per mettere le dita. Da dentro apriva, da fuori no. Quante volte! Prendiamo le chiavi per scendere in cortile! siii! corrente d'aria colpo di vento sbam!! hai preso la chiave,vero?... si?.... no!...... chiuse fuori.
Quante volte! La mamma era diventata esperta, andava dalla vicina di pianerottolo che aveva il balcone attaccato al nostro, prendeva una sedia saliva sul parapetto e voilà passava dall'altra parte...scavalcava, con la vicina che la teneva per un braccio e diceva :"Oh Gesù Maria...Oh Gesù Maria ..." Io la guardavo da sotto poi correvo su, due rampe di marmo bianco, una porta di legno chiaro, si apre, la mamma, uff sana e salva.
Due rampe di marmo bianco, una porta di legno chiaro, la mia casa.
Entro, un corridoio diritto, in fondo il bagno e due camere, a destra la cucina, a sinistra il soggiorno, con il salotto, si perché avevamo anche il salotto, divano e due poltrone, dove però non ci si poteva sedere perché era nuovo, era sempre nuovo, è stato nuovo per anni e anni....
E c'era il televisore, grande, su un carrello di vetro con le ruote e un trasformatore pesantissimo sul ripiano più basso... Si capiva che era un televisore solo alla sera perché il papà sollevava la stoffa e lo accendeva; di giorno invece stava tutto coperto da un telo di raso damascato che nonna aveva cucito su misura con la stoffa avanzata dal copriletto del lettone dei miei.
Nonna stava con noi e cuciva sempre, cuciva tutto, i calzini , le tende, gli asciugamani, il copriletto di raso damascato dove non ti puoi sedere come il divano, i vestiti delle mie bambole tutto insomma, e se non cuciva faceva da mangiare. Per esempio alla domenica faceva gli gnocchi.
Quando aprivo gli occhi la Domenica mattina il suo letto era già vuoto si perché la nonna dormiva nella mia camera e dalla cucina sentivo arrivare un buon odore di ragù di carne e patate bollite.
Mi avvicinavo scalza con gli occhi appiccicati le sentivo parlare lei e la mamma, poi mi dicevano "buon giorno" con il sorriso e nonna faceva spazio sul tavolo per la mia tazza di latte e cacao. Spostava a uno a uno gli elementi di quell'esercito di gnocchi che aveva occupato ogni ripiano possibile.
Domenica gnocchi, tanti, avanzavano sempre.
Il pranzo della domenica, e la passeggiata della domenica, con il vestito della domenica.
Si perché a casa mia i vestiti erano di tre tipi fondamentali: della domenica, di tutti i giorni e per stare in casa, e scalavano di categoria per anzianità d'uso.
Così una gonnella della domenica col tempo diventava buona per tutti i giorni e ci potevi andare a scuola, e poi finiva la sua carriera da casa, un po' corta e un po' stretta magari con la cerniera che non andava ne su ne giù.
Allora dopo il pranzo della domenica ci si preparava per la passeggiata della domenica.
Papà era pronto per primo, camicia pulita, barba fatta e un buon odore di brillantina.
"vado ad accender la macchina, vi aspetto giù"
io avevo già addosso il vestito della domenica e con quello si che mi potevo sedere, solo sedere, sul lettone e guardare mamma che finiva di prepararsi.
Un po guardavo la mamma e un po la Bambola meravigliosa che stava seduta in mezzo al letto con le braccia così, se andava indietro chiudeva gli occhi. Era bellissima con i boccoli biondi, l'abito a balze di pizzo blu e bianco, ma non si poteva toccare , era un giocattolo non per giocare, guardare e non toccare è una cosa da imparare.; e io che l'avrei presa subito per pettinarla proprio come faceva la mamma. Lei si cotonava tutti i capelli e si faceva una testa così, poi con la punta del suo pettine speciale accomodava una ciocca dopo l'altra davanti allo specchio ; dietro però non ci arrivava e così diceva: " guarda se dietro sono messi bene" . Allora, con il suo pettine glieli sistemavo io e la facevo bellissima.
Poi il rossetto, un po di profumo, anche a me, dietro l'orecchio ed eravamo pronte per scendere...
Intanto il papà aveva acceso la macchina, pulito il vetro , controllato l'olio, l'acqua e che so io.... non so perché dovesse fare tutte queste cose prima della passeggiata della domenica... non so...comunque..
Tutti pronti, anche la nonna e si parte.
Prima tappa dal Baffo, il gelataio.
Con 100 lire ti dava un gelato enorme e potevi chiedere tutti i gusti che volevi e io li chiedevo tutti: crema, nocciola, cioccolata,panna, caffè, fragola e limone. Si di gusti alla frutta c'erano solo fragola e limone non come adesso: lime, papaja, kiwi, mango,passion fruit che più che un banco di gelati sembra una pagina dell'enciclopedia botanica... Poi arrivava la solita raccomandazione: "attenta a non sporcarti" embè era il vestito della domenica, mica... quindi il gelato veniva leccato in una strana posizione tutta in avanti come se dovessi cadere a terra da un momento all'altro. E ne valeva la pena perché era il gelato più buono del mondo.
Seconda tappa passeggiata al porto .
si poteva fare solo se: primo, i calli della nonna stavano tranquilli; secondo se le scarpe alte della mamma non le avevano fatto ancora venire il male di schiena. Al porto, oltre a guardare le barche dei ricchi con i divani bianchi sul ponte dove loro si siedono perché non sono più nuovi, c'erano sempre i venditori di lupini.
I lupini sono come dei grossi fagioli, ma più rotondi, sono umidi di acqua salata, mangi l'interno e butti via la buccia .
Mamma diceva sempre:" Come fate a mangiare quella schifezza?" ma a Papà e a me piacevano tantissimo. Ce li davano in un cono giallo di carta oleata che però teneva Papà altrimenti io mi sporcavo il vestito della domenica, e io potevo tuffare la mano dentro e prenderne uno tutte le volte che volevo. Poi sputacchiavamo in giro le bucce che tanto c'erano i piccioni.
Quella si che era una Domenica....
e che Domenica....
Poi si diventa grandi, le Domeniche cambiano, le persone spariscono.
La Domenica mattina non c'è più nessuno in cucina che impasta gnocchi e ti dice "Buon Giorno" con il sorriso, o che lascia una scia di brillantina e va ad accendere la macchina...
Si diventa grandi.
Comunqe sia andata, in qualunque luogo mi abbia portato la vita, io sono partita da là..
Due rampe di marmo bianco ,una porta di legno chiaro, la mia casa.
E ho scoperto che del vissuto di ognuno non va perso nulla anche se le persone non ci sono più.
Rimangono con noi..... magari con un sapore, un profumo, un gesto.
Gli gnocchi mi ricordano la nonna,
I lupini li compro ancora,
e mi metto il profumo con le mani di mia madre , nelle stesso identico modo.
In qualunque luogo mi abbia portato la vita, io sono partita da là.

Pubblicato da Nadia Del Frate










3 commenti:

  1. ..mi sono commossa...potrebbe essere anche la mia di partenza.

    Franca

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  2. ...anch'io mi sono commossa, Nadia.... a me gli gnocchi ricordano mia mamma....
    flavia

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  3. caspita ma questi gnocchi sono un pilastro della nostra vita!
    sapete che la mia nonna mi ha insegnato a farli e quando raramente li faccio per me è una giornata di festa, di felicità.
    e poi la nonna che gioia è stata anche per me
    anche le sue bracciotte grassotte quanto le ho amate.
    Grazie Nadia per questo racconto che mi somiglia.

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