"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 30 novembre 2011

L'attesa






Arrivo col cuore in gola, sono emozionata. Tu non ci sei ancora, ma sono certa che fra poco ti vedrò spuntare là in fondo, come fai sempre. Tu mi correrai incontro ed io sarò felice di lasciarmi accogliere nel tuo abbraccio così familiare.

Un week end come questo non è una novità, ma la mia gioia è la stessa della prima volta che siamo partiti insieme. Tu ed io che abbandoniamo la città e ce ne andiamo al mare, lasciandoci alle spalle tutto e tutti. Pregusto già la sensazione di arrivare là, di tuffarmi fra le onde e lasciarmi cullare dai pensieri più romantici.

Una signora corre trafelata alle mie spalle e per poco non mi fa cadere. Non mi arrabbio, ho altro per la testa. I miei occhi sono puntati alla ricerca di te, aspetto impaziente il tuo arrivo ed è l’unica cosa che conta in questo momento.

Che strano, però! È passata la una e un quarto, dovresti essere già qua. Tu non tardi mai, sei sempre puntuale. Ti sarà successo qualcosa? Non avrai avuto un incidente? Ma no, cosa vado a pensare. Sono la solita ansiosa!

Se potessi, ti telefonerei. Ma tu non usi il cellulare. Non mi resta che aspettare, paziente. Non è mai capitato che tu mancassi a un appuntamento e non capiterà neppure oggi, ne sono certa. Per ingannare l’attesa, frugo nella borsa, prendo le sigarette e me ne accendo una. La fumo nervosamente, il non vederti arrivare mi agita ogni momento di più.

Forse non era qui l’appuntamento? Impossibile, ci troviamo sempre allo stesso posto. Però non si sa mai, provo ad allontanarmi per vedere se per caso mi aspetti poco più in là. Niente da fare, non ti vedo. Torno dov’ero e scruto di nuovo l’orizzonte.

Mi chiama Donatella. Mi chiede: “ Ti disturbo? E’ arrivato? Già in partenza?”. “Purtroppo no, non è ancora arrivato e sono un po’ preoccupata” le rispondo. “Tranquilla – mi rassicura lei – avrà semplicemente incontrato traffico, abbi pazienza. E quando sarà lì, fammi uno squillo, così saprò che tutto è a posto”.

Sono passati altri dieci minuti. Comincio ad arrabbiarmi. Ma è questo il modo di fare? Sai che sono qui ad aspettarti, perché mi fai stare sui due piedi per quasi mezz’ora e non ti sbrighi? Mi viene voglia di andarmene, e al diavolo il mare! Al diavolo anche tu, che cominci ad essere inaffidabile come tutti gli altri.

Ma ecco, mentre impreco stizzita fra me e me, vedo apparire là in fondo una sagoma familiare. Sei tu? Sì, sei proprio tu! Il Frecciabianca 35269 delle 13.10, al solito binario 5. Sei in ritardo di venticinque minuti, in stazione nessuno si è curato di annunciare il disservizio e sto morendo di caldo su questa maledetta banchina dove ci saranno almeno trentacinque gradi. Ma chi se ne importa! Ora si parte. Bye-Bye Milano, Varazze mi attende, e se tu recuperi il ritardo alle 15.21 saremo già là.

Flavia

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