"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

venerdì 15 luglio 2011

culone

Sono seduto nel banco in prima fila, e aspetto. I ragazzi urlano, si tirano pezzi di carta, alzano le gonne alle ragazze che sbuffano, fingendo fastidio. Io sono seduto e aspetto. Sistemo i quaderni, il libro, tempero le matite, controllo i compiti. Mancano pochi minuti all'inizio della lezione; gli occhiali per il sudore sono scivolati sulla punta del naso, li sfilo e con l'angolo della camicia pulisco le lenti per bene, quindi li risistemo, spingendoli col dito in alto, nella posizione corretta.
Sono pronto. Ecco, la porta si apre e entra la ragione della mia spossatezza, dei miei sogni agitati, delle occhiaie profonde.
E' enorme. E' l'abbondanza fatta persona, una quantità di carne spropositata per un'altezza di poco superiore alla cattedra. Tutto è rotondo in lei, è una donna senza angoli. L'abito, seppur ampio fatica a contenere tutto quella natura, i fiori stampati sul vestitino in alcuni punti si dilatano, come se dispiegassero i petali per offrire polline alle api.
Ci saluta con un sorriso, fa cenno agli alunni di sedersi mentre le sue gambe, eroiche, la trasportano verso la cattedra. Osservo il suo passo ciondolante, quel corpo senza fine avvicinarsi. La professoressa mi regala un'occhiata, passa davanti al mio banco, e io, come ogni giorno di scuola, la seguo con lo sguardo, folgorato dal suo enorme culone.
Un culone ampio, morbido, dolce, eccessivo, poetico. E' un oceano e io mi ci perdo dentro, come fossi il capitano di una barchetta di carta, navigatore felice lungo il solco di quelle natiche.
Che meraviglia quel culone, lo vedo passarmi davanti in tutta la sua baldanza, inguainato da fiori sgarcianti che quasi ne sento il profumo, fatico a trattenermi dal balzare fuori dal banco e sprofondare il mio naso tra quei colori sgargianti.
La osservo giungere a destinazione, soffermarsi un attimo a calcolare lo spazio disponibile per eseguire la missione impossibile dell'infilarsi tra la cattedra e la seggiola. Eppure questo miracolo, costante, puntuale, ligio agli orari di scuola, si avvera sotto gli occhi della classe. Quindi la professoressa si siede, e la sedia sparisce, come fosse un piccolo pomodorino su cui si adagia una burrosa mozzarella di bufala.
Che invidia provo. A volte sogno di essere la mozzarella, altre il pomodorino.
L' incombenza nel sostenere il peso di tutta quella grazia, passa, ora, dalle gambe della professoressa, a quelle della seggiola. E' un cigolare triste, un'allarme continuo:
presto cederò, sembra dire, mi schianterò, di me non rimmarrano che trucili!
Quel culone morbido saltella, si sistema, si struscia su quel legno per tutta la lezione, e ogni scricchiolare mi terrorizza, perchè il pensiero che quelle natiche prestigiose impattano sul pavimento, provocando le risate degli alunni, mi pare un sacrilegio, uno spregio intollerabile.
Potrei uccidere per un offesa simile.
Prego tra i denti quella sedia di non cedere alla legge fisica, così banale e crudele, e di portare in salvo quel culone innocente sino alla fine dell'ora. Intercedo per la professoressa, che non si rende conto del costante pericolo, che spiega, legge e interroga come se sotto di lei non stesse avvenendo la grande battaglia del secolo, non si stesse decidendo il destino della sedia, del suo culone, e del mio cuore.
E le mie preghiere vengono incredibilmente ascoltate perchè la sedia, benedetta, non si piega, non collassa sotto l'attacco di quel peso improponibile.
Resiste.
Sapesse che fitte al cuore mi provoca tutta questa bellezza, signora professoressa. Fosse solo libidine, eccitazione me ne farei una ragione, ci riempirei i miei sogni erotici, e ne trarrei momenti di felicità. Ma non è solo quello, no, quello che provo è passione vera, ammirazione, è amore.
Amore incondizionato per l'ondeggiare ipnotico di quelle natiche che vorrei scalare, come un alpinista impavido pronto a morire sotto una slavina rosa.
E il prossimo anno, cosa ne sarà di tutto questo amore? Un'altra scuola, altri amici, altre professoresse. Ma questo culone non ci sarà più..
E allora, professoressa, mi bocci, mi declassi, mi abbandoni su questo banco per tutta l'estate. Non mi muoverò da qui, rimarrò immobile sino a che non la rivedrò entrare da quella porta, col suo meraviglioso sorriso verticale.

2 commenti:

  1. bello l'affetto per la carne delle persone.
    Ho ancora nostalgia delle braccia ciccione della mia nonna.
    Che tenerezza!BRAVO!
    Manu

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