"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

venerdì 8 luglio 2011

Meglio il medico.

  Cassette di legno leggero o plastica impilate una in fila all'altra compongono fantastici labirinti, ruttano frondosità compiacenti, imprigionano rotondità intriganti: seducenti carciofi, mazzi di asparagi spersi vicino a loquaci arance, timide zucchine in trepida attesa, bietole in disordine, cicoria spettinata, lucide melanzane, occhieggianti pomodori, pere ordinate in loculi di plastica sottile, limoni dispettosi, funghi orfani di foglie e muschi, piselli spaventati, fave sconcertanti, carote turgide, prugne dissolute, fichi osceni, sgocciolanti insalate in fila per quattro, pelosi kiwi, ciliege preziose, il dolce basilico, l'invadente prezzemolo, mele furbastre e saccenti, dinamici navoni, peperoni compromettenti, fragole orgogliose. Ma che pesche nell'ombra, che angurie al sole, ma quanto costano le banane? Chi ha raccolte gli ananassi?
Mi afferro ad un poderoso melone, uno dei primi della stagione, lo tasto quindi lo porto al naso, lo annuso con finta competenza, comunque non ha odore alcuno. Anna, mia moglie, me lo toglie di mano e lo ripone in cima al mucchio, lei non necessita di sfoggiare inutili virtuosismi, è una femmina pratica, fornita di autentica famigliarità per tutto ciò che concerne la spesa, compreso l'utile e sempre aggiornato database interno dei prezzi e della qualità nei diversi negozi. E' in grado di dire, per esempio, in quale i pelati o l'extra vergine sono più a buon mercato questa settimana, ed è capace di percorrere un chilometro a piedi solo per fare un buon affare. Non è per i soldi, per lei è una questione di principio, non ci tiene a fare la parte della stupida, così facciamo ampi giri, entriamo e usciamo dai diversi super in perenne ricerca della maggiore qualità al minor prezzo.
Anna indossa il guanto di plastica come non avesse mai fatto altro, solleva un sacchetto di patate al selenio maggiorato e lo cala nel cestino di plastica la cui custodia tocca a me, è il mio principale compito, il motivo per cui sono qui insieme al trasporto della sporta e ad una gradevole conversazione, o meglio alla mia capacità di prestare un ascolto partecipante a tutto ciò che mia moglie ha la bontà di dire.
-Tesoro, che dici stasera di una crema di fave e piselli? Poi bistecca ai ferri e patatine, ma quelle surgelate già tagliate, non queste?
-Va bene Annuccia ma una frittatina di zucchine invece non è meglio? Mangiamo troppa carne ultimamente.
-Purché tu non lo dica per il colesterolo, ce l'hai basso, è inutile che ti preoccupi, e tra uova e carne...
Intanto Anna sbatacchia una noce di cocco come a cercare la sorpresa, quindi passa a strizzare zucchine, soddisfatta ne fa una piccola scorta che ripone nel cestino sempre più pesante.
-E' che da un po di tempo non mi va di fare niente.- dice - E se ti arrostissi una fetta di spada con una bella insalatona fresca? Fa un caldo oggi.
-A me va tutto bene, anche la fettina, non voglio che ti stressi.
Anna sceglie sicura pomodori, ma sono verdi, lattuga e insalata riccia, guarda che freschezza, sedano e carotine, a questo prezzo mi pare di rubare, ripone tutto in sacchetti che annoda e affida all'abbraccio del solito cestino. Soddisfatta lo afferra e s'incammina nel dedalo fino nel ventre del negozio, per pesare e pagare, non perdendo lungo la strada occasione di palpeggiare ogni varietà esposta.
-Si prenda un po di queste mele, non sono belle ma le garantisco che sono ottime. Si usa dire no(?) che in botte piccola...
-La ringrazio ma le mele non mi piacciono.
-Ma come? Lo dice chiaro anche il proverbio, una mela al giorno...
E' un uomo piccino e asciutto, anziano e ingobbito ma instancabile a riordinare la merce e a spostar cassette.
-Si prenda un po di queste banane, sono favolose, come il prezzo.
A parlare è una signora opulenta, le labbra g-rosse e il sudore che le luccica sul trucco pesante, oppressa nell'abito di maglina che sagoma il ventre gonfio e i fianchi colossali, che strizza il seno immenso e molle che deborda oltre la scollatura.
-Sono veramente buone, non hanno niente da invidiare a quelle dieci e lode. Non sono ripetenti, non le hanno mica bocciate e iscritte al Cepu. - Ride forte che la ciccia fluttua come gelatina.
-E' vero,- interviene una giovane donna attraente, sudamericana forse- banane così sono davvero splendide. Prendile anche tu, non vedi quante ne portiamo via noi? Non bastano mai.
Gli vorrei dire che non dipende da me ma mi limito a sorridere e scivolo con lo sguardo sulle natiche della giovane, ha begli occhi.
-Che le banane fanno bene. Bisogna mangiarne tante. Io le do sempre al mio compagno.- ricomincia la grassona.
-Eh sì, tengono l'uccello bello duro.- chiosa la ragazza, intanto fa un gesto simile a quello detto dell'ombrello. Non potrebbe essere più chiara.
-Quante ne ho mangiate io ai miei tempi. Che ne facevo anche tre quattro al giorno, non me ne scappava nessuna. Altro che viagra, o quell'altro, come si chiama(?), non avevo certo bisogno di pastiglie. La voglia ce la mettevo io, al vigore ci pensavano le banane.- si intromette il vecchio gobbetto, tutti e tre prendono a ridere.
Io elaboro un risolino stentato ma vorrei sprofondare, vorrei non essere qui. Mi allontanerei ma ho paura di fare la figura dello sfigato, rimango con quella specie di smorfia sulla faccia che dovrebbe essere un sorriso e che invece ogni istante che passa rassomiglia sempre più ad una sinistra paresi, ad un rigor mortis.
In mezzo alla gente non mi trovo a mio agio, sempre stato così. Per fortuna arriva Anna, mi passa la sporta, intanto fulmina le due donne con un'occhiata, quelle si voltano serie, riprendono ad accumulare banane. Anche il vecchio si allontana, s'appiccica ad una massaia disorientata dinnanzi alla cassa di fagioli.
-Andiamo. - dice Anna, e andiamo.
Quando scatta il semaforo Anna balza in avanti, io arranco dietro, è allora che me lo vedo venire incontro, ad attirare la mia attenzione è la mascherina sanitaria che gli copre la bocca nascondendo parte del viso magro. Quando i nostri sguardi si incrociano quasi non provo imbarazzo, mi sembra di conoscerlo, per un pelo non lo saluto.
-Possibile che non ascolti mai!? Sto parlando a vanvera a quanto pare. Giovanni, ma è possibile che un giorno sì e l'altro pure il cervello ti vada in pappa!?
Non è vero, ve lo giuro, non capita mai, non so cosa mi sia successo, non è mai necessario che Anna mi rimproveri o alzi la voce. Forse al massimo un trimestre sì ed uno no. Da quanto sono distratto, perso, assente? Non lo so dire, ho camminato come in sogno, inconscio dell'ambiente intorno, delle mie azioni, come un fantoccino di creta. Da tempo non mi accadeva. Ho smesso da così tanto di incorrere in questa brutta abitudine, è una cosa che non mi succede più.
-Ma la vuoi smettere!? Non hai voglia di vivere come gli altri? Non ti basta essere un insetto inetto che ha paura della propria ombra, che non è in grado di intraprendere alcunché, vuoi anche essere uno zombie? Guarda, stai attento a te, sento che mi sta salendo su un fumasso che se non la pianti ti incenerisco.
Vorrei rispondere ma non ne sono capace, come in sogno quando vuoi camminare ma non puoi, io non riesco ad uscire da qua dentro, da questa cappa che mi circonda opprimente, continuo a muovermi lo so, ascolto, ma...
Inciampo e precipito a terra rovesciando la spesa, le zucchine sboccano, i pomidoro rotolano lungo il marciapiedi, Anna mi afferra per un braccio, mi aiuta a tirarmi su.
-Stai attento a come cammini- dice a voce alta a beneficio dei passanti incuriositi, certo divertiti dalla mia goffaggine. Ma io lo so che è stata lei a farmi lo sgambetto.
-Grazie cara.

A casa continuo a non sentirmi bene, vago da una stanza all'altra senza ragione, e poiché la cosa mi fa sentire davvero stupido invento scuse a beneficio di me stesso, cerco oggetti di cui non mi curavo da mesi, o che ho appena posato, che magari ho sotto gli occhi. Controllo cento volte i rubinetti temendo di averli lasciati aperti, così col frigo, vado ad orinare più volte, che provo lo stimolo ma poi no, ripongo l'affare e parto alla ricerca di un certo cacciavite.
Diciamolo, sono inquieto, sento un'oppressione al petto, un vago senso di vomito, credo di essere depresso, è uno di quei giorni in cui non vorrei esistere. Devo anche badare a non finire fra i piedi di Anna, non aspetta altro per strapazzarmi, quando sono così non mi sopporta, e la capisco, ha ragione, sono il primo a non sopportarmi. In me ora c'è qualcosa che conosco, come un ospite sgradito che non si faccia scorgere per anni, che ti scordi persino che faccia ha e che esista, e all'improvviso quello comincia a ciabattare per le stanze, a sputare a terra, ad imbrattare di escrementi le pareti. E tu lo sai che questo è solo l'inizio, presto comincerà a mordere e a graffiare, diverrà pericoloso, armerà le mani di coltelli e martelli. E tu hai già paura.
Prendo a sudare, maniacale vado più volte al telefono e digito il numero della croce verde ma poi non ne faccio nulla. Dopo avere cancellato per l'ennesima volta la chiamata mi capita di pensare, non so il perché, al viso esangue di don Pino Cicogna, il vice parroco di quando ero bambino, il prete che ci spiegava il catechismo, che ci portava in gita sui prati, che ci assisteva nei ritiri spirituali. Magro, il viso affilato, il naso adunco con triplice piega della pelle ad ogni lato, una faccia da squalo.
Dapprima questo è un pensiero mite, insignificante direi, poi si acumina, fa male, all'improvviso ricordo chi era don Pino, perché lo chiamavamo tutti Don Pompino. Incredibile come li avessi dissociati, don Pino e don Pompino intendo, Dr. Jekill da Mr. Hide. Un bel tuffo nel lontano passato. Di pancia.

-Togliti di torno quando fai così sembri più scemo di quello che sei. Non vedi che ho da fare?!
-Non mi trattare così, anch'io merito quel poco di rispetto.
-Non ci provare nemmeno, non sei neanche in grado di fare i tuoi interessi. Tua sorella se la ride nella casa in montagna che ti ha fregato. Se non ci fossi stata io ti avrebbero spogliato di tutto.
-Smettila anch'io sono un uomo, come tutti.
-Non ti permettere di alzare la voce con me. Scordatelo, non ci provare neppure, tu sei un ameba non un uomo.
-E tu sei una troia. Una puttana, una zoccola, una bastarda senza cuore. Ho voglia di ucciderti.

Chiuso al cesso temendo terribili rappresaglie, dopo il mio sfogo, l'unico da sempre, sono dovuto fuggire per non prenderle, che Anna è temibile, non che sia poi così forte, sono io ad essere cagionevole di salute. Comunque sono qui seduto sulla sponda della vasca alla mia quinta sigaretta tremula, avevo smesso tre quattro anni fa, me ne ero liberato insieme all'antico vizio della bottiglia. Questo è il pacchetto che mio cognato ha scordato la settimana scorsa a cena. Rimugino e soffro, mescolo mescolo, trituro l'anima senza sapere il perché, mi graffio il petto glabro per avere un po di sollievo. Non so cosa mi stia accadendo ma me la merita tutta, ha ragione Anna, sono solo una merdolina pazza.
Di colpo realizzo, l'uomo anziano che ho incontrato oggi, quello con la mascherina davanti al viso, è don Cicogna.

La rivelazione mi ha in qualche modo calmato, ho aspettato che Anna uscisse e sono corso qui in salotto a cercare Cicogna Pino sull'elenco. Così scopro che abita in zona, giusto due comuni più in là, a Rapallo. Ma appena lo trovo, provo sì un senso di potere e di trionfo, ma subito con mio sconcerto mi sento vuoto, non so che fare. Allora mi fumo le ultime due sigarette, sì proprio in salotto, e a bella posta getto la cenere a terra, persino sul tappeto. A pensare che l'unico che può fumare in casa è quel bellimbusto del caro cognato, ma neppure lui in salotto. Io quando fumavo lo dovevo fare al freddo, al caldo, sotto la pioggia sul terrazzino.
Spento l'ultimo mozzicone nell'orribile bomboniera di vetro soffiato male in Cina risolvo di chiamare.
Quando Don Pino risponde resto zitto, la sua voce annaspa nell'ansia crescente, aspetto che sia lui a mettere giù. Dopo dieci minuti richiamo, poi ancora e non parlo.

All'inizio non c'era niente che paresse strano, solo un'amicizia che non poteva che lusingarmi, uno grande che si interessava all'ometto di sei anni che ero. Don Pino una volta alla settimana mangiava a casa nostra, aiutava mio padre in giardino, asciugava i piatti nel corso di fitte conversazioni con mia madre, scherzava con mia sorella più grande dei suoi tanti fidanzati. Sempre allegro, ripieno di scoppiettante energia, sempre al centro della scena. Aveva la voce stridula e il sorriso affilato, ora lo so era una persona colma di sé, si piaceva tanto. O forse no.
Per anni sono stato suo schiavo, obbedivo e non fiatavo. Credevo fosse amicizia, lui diceva che era una forma di amore divino, io mi sentivo sporco. Non potevo parlarne con nessuno, troppa la vergogna, con i miei genitori poi mi sarei imbarazzato il doppio, ero anche convinto che non mi avrebbero creduto, che magari le avrei pure prese.
Nonostante lo schifo che provavo ero orgoglioso di quelle attenzioni che credevo esclusive, ancora non sapevo che erano equamente divise fra parecchi di noi.
Col tempo le cose si sono complicate, le pratiche si sono evolute, per esempio mi faceva orinare nel calice, nella pisside, persino nelle ampolline, e, dopo averle raccolte con somma cura dalla patena, metteva le ostie consacrate tra il mio ano e le mutande. Io dovevo dormire, mangiare, sedere nei banchi di scuola recitando ogni ora un numero prestabilito di pater e ave sempre con l'ostia consacrata nell'incavo dei glutei, che don Pino la recuperava solo il giorno dopo.
La cosa è andata avanti fino ai miei undici anni, quando ha cominciato ad ignorarmi, ero diventato grande, non lo stuzzicavo più. E' allora che ho scoperto che non ero il solo, che a soddisfarlo eravamo una coorte; la maggior parte di quelli che frequentavano i locali annessi alla chiesa, attirati dal ping pong e dal calcio balilla.
E' andata che quando don Pino si è girato dall'altra parte io ho continuato ad indossare il mio vestito di colpa e vergogna, non lo smettevo mai, né durante l'adolescenza né alla maggiore età. Così non ho avuti carezze né casti baci, quelle erano cose che funzionavano per gli altri, non per me.
Il mio primo rapporto sessuale l'ho compiuto a 28 anni, nei giardini della stazione con un marchettaro in astinenza. Mi sono sentito male per settimane, ma è stato l'inizio della risalita e del riscatto, tanto che pochi mesi dopo ho trovato il coraggio di andare dal vescovo a raccontare tutto. Mi ha dato del visionario, mi ha minacciato, ha usato tutte le armi per dissuadermi a intraprendere azione alcuna.
Sono andato dai carabinieri, mi hanno consigliato di lasciare perdere, don Cicogna era una personalità stimata da tutti, un pilastro della comunità, aveva fatto così tanto per la gioventù. Mi hanno anche messo in guardia, con le calunnie, hanno detto, si passano guai seri, e solo dietro mia insistenza si sono messi davanti alla macchina da scrivere. Mi hanno informato che loro certo erano obbligati a raccogliere la mia denuncia ma che tanto non sarebbe servito a nulla, che era tutta roba prescritta, che col caldo che faceva avrei fatto meglio a mettermi il costume e andarmene al mare.
Ciò che è seguito è stato un inferno che ho vissuto solo contro tutti. Ma con il tempo qualcosa ha cominciato a muoversi, qualcuno è uscito fuori dal buco, ha superato il muro dell'omertà e si è fatto avanti, dal buio al centro del cerchio di luce.
Quello che è venuto a galla è stato devastante per tutti, per noi vittime, per la comunità, per la diocesi, per don Pino, che infine è diventato un ex prete, nudo e crudo come tutti. Si è scoperto che altri prima di me avevano raccontato prima al parroco e poi al vescovo ciò che avevano subito, ma quelli avevano negato, avevano minacciato, avevano soffocato, non avevano preso alcun provvedimento. E così don Pino ha potuto continuare i suoi maneggi per anni su decine di bambini contemporaneamente, straziando oltre cento vittime. Ha infierito pure su bambini che comprava dal suo spacciatore di cocaina. Per finanziare i suoi vizi ha realizzato foto e film pedopornografici, si è prostituito lui stesso, in rapporti dove era lui a incarnare l'impotenza umiliante della vittima.
E' stato sopratutto merito mio se è stato giudicato dalla giustizia, se ora non è più prete ma una persona comune, per nulla in intimità con Dio. Fosse dipeso da me lo avrei scomunicato. Non credo abbia fatto un solo giorno di carcere. Fosse dipeso da me...non lo so.

-Pronto! Ho detto pronto! Ma chi è? Non vi stancate mai? Vi avverto che ho intenzione di rivolgermi alla polizia postale.
-Sono Riccardo. (…) Riccardino.
-Riccardino? (…) Cosa vuoi? Non ti basta avermi rovinato la vita? Cosa vuoi ancora? Come hai fatto a trovarmi?
-(...).
-Rispondi.
-(...).
-Parla per il maledettissimo Dio.
-(...).
-Mi hai accusato, mi hai trascinato nella polvere come l'ultimo dei criminali. Mi hai messo alla gogna. Per cosa poi? Cosa ti avevo fatto? Non ti volevo bene? Hai messo contro di me gli amici, i parrocchiani che mi stimavano, il vescovo, l'intera chiesa. Per colpa tua mi hanno messo alla porta, ho passato dei giorni in prigione, ho perso la fede. Per colpa tua mia madre è morta di crepa cuore. Io non ti avevo mai fatto del male. Rispondi: ti ho mai fatto del male?
-(...).
-Indulgere nel sesso è sempre stata la mia debolezza. Dovevo essere più forte. Avrei dovuto impegnarmi di più nel coltivare la temperanza, è vero, ma certi appetiti me gli ha dati Dio. Se li avevo era perché Lui lo aveva voluto. Quel che ho fatto l'ho fatto in quanto uomo. E' capitato a me ma poteva capitare a chiunque. Ogni uomo poteva essere al mio posto. Quello che fa uno è nelle corde di tutti. Vi atteggiate a virtuosi ma basta tanto così per trovarsi dall'altra parte. E tu, pensi di essere senza colpe? Rispondi!
-(...).
-E non pensi che prima di essere il carnefice io sono stato la vittima, che ho subito ciò che poi ho imposto? Che ciò che ho fatto allora l'ho fatto perché ormai, proprio in quanto vittima, ero già parte di una catena che non potevo spezzare? Che ripetere il crimine era per me un sollievo, una riparazione?
-(...).
-E non pensi che seppure carnefice, uomo nero, mangiatore di bambini, mostro, cattivissimo pedofilo ho mani e piedi come tutti gli altri? Se mi spari io non sanguino? Se mi insulti non soffro come gli altri? O pensi che io sia un alieno, insensibile, la creatura di un altro pianeta, un insetto con le antenne magari. Cazzo parla!
-(...).
-Sono malato. Sono stato punito. Ho l'accaivu. Non provi pena per le mie sofferenze?
-(...).
-Io ho pagato il mio prezzo, tu magari pensi che è ancora poco, che avrebbero dovuto buttarmi dentro le fogne e gettare via la chiave. Straziarmi le carni magari, ma non è questa la legge degli uomini. No, sono stato giudicato ed ho pagato per intero il conto. E tu? Tu che odi e non sai perdonare sei convinto di avere regolato i tuoi conti? Non credi che un giorno qualcuno ti chiederà ragione del male che mi hai fatto? E parla! Stai sempre zitto, sei un verme senza la lingua? Godi a fare il vigliacco? Parla, mi hai chiamato, ora parla! Io non sono un mostro. Io non merito questo.
-Porco.
(Clic). Metto giù.

Steso sul letto abbracciato alla bottiglia di vecchio liquore stantio un po' svanito, disperato e senza alcun futuro. Immagino spettacolari suicidi come scene di un film lacrimoso ben sapendo di non avere coraggio. Non sarei qui ora. Sarebbe già successo tanti anni fa. La nausea mi assale improvvisa, liquidi acidi risalgono alla luce e si lanciano sul prezioso copriletto di seta.
Mi tiro su seduto, solo sul letto, solo dentro la stanza che gira, solo dentro il palazzo che vortica, solo come una briciola di polvere dentro la città, incastrato nella roccia che sostiene il continente, schiacciato da un pianeta vuoto, lui sì fermo, disabitato, giusto che in mare forse ci sono dei pesci, ma quelli non contano. Non molto più di un brano di muffa sotto piedi dell'evoluzione, poco più di una merda dispersa dal vento. Un puntino di niente.
Poi all'improvviso senza ragione msono felice, non era mai capitato, sarà il liquore ma sono sazio, sono forte, sento che ho pagato il mio di debito, per la prima volta avverto che l'universo è casa mia, che dove mi trovo è proprio il mio posto, solo il mio, e non per caso. Sento di essere perfetto così, che ogni cosa va bene, provo intimità con tutto, sopratutto con me stesso, e ve lo giuro questa è la parte migliore. Potrei morire adesso, non me ne importerebbe, ora che sono in pari con l'esistenza, che non ho nulla da recriminare, ora che ho trovato il mio posticino non ne verrei affatto diminuito. Ho finalmente appeso il cappello ad un chiodo là sopra l'arcobaleno. Tutto il resto non conta, niente può più accadere, è finita, per sempre, basta finalmente. E tutto sommato sì, questo è un buon finale.  

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