"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

giovedì 3 gennaio 2013

Due Sanbittèr

    Ne abbiamo condivise di bevute Milena ed io, amiche fin dai tempi dell’università! Bevute gioiose,  per brindare a un esame superato con successo, a un compleanno, a un nuovo amore.  Bevute assaporate con gusto,  perché una caraffa di Retsina ghiacciato andava giù che era un piacere nel caldo torrido di Mykonos, e  una buona bottiglia di Sassella era come il cacio sui maccheroni con un piatto fumante di pizzoccheri, dopo le nostre sciate in  Valtellina.  Bevute “terapeutiche”, perché un goccio di vino in corpo ti scioglie la lingua quando ti ritrovi a una festa con gente sconosciuta, magari  un po’ antipatica, e non sai cosa dire.  Bevute, sì, non sbornie di quelle che perdi il controllo, che il mattino dopo  non ti ricordi più nulla o ti si spacca la testa in due. Bevute alla luce del sole o della luna – a seconda dei casi – ma  non ubriacature alla chetichella, quando ti attacchi alla bottiglia di nascosto da tutti, nella solitudine della tua casa, perché  ti senti colare a picco e il bicchiere ti sembra l’unica ancora di salvezza.
Ecco perché quella sera a Firenze, in una trattoria sul Lungarno,  rimasi di stucco quando Milena  fermò risoluta la mano del cameriere che stava per versarle un bicchiere di Chianti. Eravamo entrambe reduci dal naufragio dei nostri matrimoni, lei con Giorgio, io con Riccardo, e un bel “prosit” dopo tutto quello che avevamo passato era assolutamente d’obbligo. Fra l’altro in quegli ultimi mesi ci eravamo viste così poco che quel week-end a due, come ai vecchi tempi, doveva proprio essere festeggiato con  un brindisi memorabile. Ma Milena fu irremovibile: “Non posso”, mi disse, e non aggiunse altro. “Strano – pensai _  non mi sembra che stia male. Se avesse qualche problema di salute o di dieta non avrebbe di certo divorato un piattone di ribollita e una fiorentina alta tre dita. Mah, chi la capisce!”. Però l’essere lì,  in quella meravigliosa cornice fiorentina, con la prospettiva di un lungo week-end di relax e chiacchiere fra amiche,  mi fece subito passare oltre questa inspiegabile bizzarria di Milena.
Dopo cena, passeggiammo a lungo per il centro città e intanto parlavamo, parlavamo, parlavamo. Per la verità, quella che parlava ero io.  Inveivo contro Riccardo che aveva rovinato tutto, giorno per giorno, smorzando ogni mio entusiasmo fino al punto di non ritorno: la separazione. Milena mi ascoltava,  mi coccolava con quella sua aria un po’ materna, mi abbracciava con tenerezza.  A un certo punto però le chiesi a bruciapelo: “Ma tu, Milena, da quando Giorgio se ne è andato con quella zoccola di Stefania, come ti senti realmente dentro di te? Dimmi la verità, cosa provi, cosa fai quando chiudi la porta di casa  e te ne vai a dormire tutta sola, ogni notte? Milena mi puntò addosso uno sguardo stupito, spaventato. “Ma che domanda è? – rispose -  Cosa vuoi che faccia? Cosa vuoi insinuare? “ E mentre  parlava, mi fissava con uno sguardo allucinato, che non conoscevo.
“Insinuare? Ma insinuare che? Milena,  sei impazzita? Ohh, sono io, Anna, la tua migliore amica. Che cazzo vuoi che insinui? Non ci siamo sempre raccontate tutto? Mi chiedevo semplicemente chi delle due stia peggio…”.
“Io, Anna. Sono io quella che sta peggio – mi gridò con rabbia Milena -  Te lo devo dire, te lo devo raccontare. Tu credi che io  abbia saputo reagire al tradimento di  Giorgio, ma non è così. Mi vergognavo a parlarne persino con te, ma mi è crollato il mondo addosso. Ti ricordi tutte quelle sere in cui mi telefonavi e io non rispondevo? Il giorno dopo ti dicevo che ero uscita con Davide o con Elisa, o che ero andata a cena dai miei. Balle! Erano tutte balle! Io ero in casa, da sola,  a scolarmi una bottiglia di vino, quando una bastava. E il più delle volte non bastava.”
Ero allibita. Mai e poi mai avrei immaginato una cosa del genere. Certo, Milena in quei mesi mi era spesso sembrata strana, assente, ma il dubbio che bevesse,  anzi no – diciamolo senza giri di parole - che si ubriacasse sera dopo sera,  coscientemente, non mi aveva neppure  sfiorata.
Milena comunque non era una stupida e non era neppure così debole come poteva sembrare  in quel momento. Mi raccontò il calvario di quei mesi e di come ogni mattina, quando usciva dal torpore di quelle notti infernali, si riprometteva di non cascarci più. Ma ogni sera era la stessa storia. Così un giorno si era decisa: aveva cercato il numero di telefono dell’ Alcolisti Anonimi, aveva chiamato  e sì, era andata là.   “Astenersi dal bere un giorno alla volta”, era quello il segreto, mi aveva spiegato Milena, raccontandomi di come era riuscita a piantarla con l’alcol proprio grazie al gruppo che aveva conosciuto in questo centro di aiuto e che stava continuando a frequentare. “Un giorno alla volta “ avevo ripetuto fra me. “ Forse dovremmo ricordarcelo tutti, per tutto quanto”.
Sono passati anni, molti anni da quel week-end  a Firenze. E giorno dopo giorno, Milena continua a non bere neppure un goccio di vino, anche se ora sta bene e si è rifatta una vita con un nuovo compagno. Dice  che ne ha visti tanti, nel gruppo, ricascarci dopo anni,  quando sembravano per sempre fuori dalla dipendenza. Lei non vuole rischiare. E aggiunge spesso: “ Ti ricordi mia madre? Non voglio diventare come lei, che per tutta la vita ha avuto una bottiglia di whisky nascosta nell’armadio.”
A me sembra impossibile che Milena  possa ripiombare in quel baratro: ora  la vedo così felice, così serena! Ma  lei non si fida di se stessa.  E così, quando pranziamo insieme, bevo acqua anch’io, come lei, per non farla sentire diversa.  E se ci troviamo per un aperitivo, due Sanbitter, rigorosamente analcolici… c’est plus facile!



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