"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 15 febbraio 2012





L’abitante invisibile


La sveglia “ringhia” apro gli occhi e il primo pensiero va a lui.
Deglutisco, c’è! Anche questa mattina, accanto a me.
Forse sarebbe più corretto dire dentro di me. Si perché lui mi abita.
E’ invadente, strafottente, si è intrufolato non so come e nemmeno quando; ha attecchito come un seme per germogliare chissà cosa.
Mica in un angolo insulso. Ah no, si è piazzato là proprio dove ogni mio pensiero si trasforma e viene a galla, là dove ogni boccone d’aria e di nutrimento passano e mi tengono in vita. Come una sentinella là, all’ingresso.
All’inizio non lo sopportavo, lo sentivo ma non potevo scacciarlo. Pensavo : “chi ti ha fatto entrare? Vattene!”
Ogni mattina aprivo gli occhi e prima di deglutire mi chiedevo : “ci sarà? Mio Dio fa che nn ci sia più”. Poi la saliva scendeva e lo sconforto annegava.
Non mi bastava non riuscire a godere della luce primaverile che irradiava il mondo a me circostante, né bastava l’aver dimenticato la maniera in cui nasce un sorriso, non bastava nemmeno non sentire il bisogno di affetto, di carezze, di presenze che colorassero seppur solo di un grigio appena più chiaro il trascorrere delle ore domestiche.
No, dovevo sentirmi anche in una prigione. Imprigionata dal e nel mio stesso corpo.
Esami su esami. Nulla. Non si vede nulla.
“C’è dottore lo sento. Mi pare di toccarlo. Guardi bene è lì a destra.
Talvolta sento un sapore ferroso nel mandare giù la sua saliva”. Si perché è sua anche quella.
Nelle crisi di nervi più violente avrei voluto infilarmi in bocca le dita e strapparlo con forza io stessa dalla gola per poi mostrarlo come fosse un bottino di guerra, la mia guerra personale contro quell’abitante clandestino.
“Lo vede adesso questo stronzo eh lo vede? Lo vede dottore si o no!?”
Poi un giorno un internista gentile durante una delle svariate volte in cui il cuore pareva scoppiare ed io dalla paura di morire correvo all’ospedale, dopo avermi fatto tutti gli esami mi disse: “mi spiace per quello che hai tu non posso aiutarti io” ”. Il suo tono fu come una carezza, delicata e rivelatrice.
“Non ho nulla di grave allora, bene”
Dopo un immediato senso di rassicurazione seguì un’ondata di tristezza ad aumentare la portata del mio mal di vivere.
“La cosa mi rassicura? No affatto. Io non voglio condividere il mio malessere con te lo capisci? Te ne vai?! Lasciami da sola ti prego, ti prego!
Il tempo aiuta, è vero. In un giorno senza data ho cominciato a pensare a lui non più come un abitante indiscreto ed irritante ma come un guardiano attento e a suo modo affettuoso.
Era li per me dopotutto, lo capii poi.
Meraviglioso, il mio corpo mi stava parlando, dalla gola, proprio da dove le parole escono.
Trovai tutto questo assolutamente formidabile ed affascinante e non lo nascondo anche inquietante. Insomma la testa immagina la presenza di qualcosa che non c’è e che tu invece senti presente vivo e palpabile.
Le giornate tornarono a scorrere sempre con la lentezza di chi non ama la vita, con la mente offuscata da un velo che la ricopre e che non lascia passare ossigeno, luce.
Adesso ne avevo consapevolezza però; fino a quel momento avevo solo desiderato non esserci.
Quell’abitante mi aveva aiutato a prendere quel velo di piombo che aveva atrofizzato la mia mente, i miei desideri, le mie percezioni, e a lasciarlo scivolare via, sinuosamente cosi come si era adagiato avvelenandomi.
Un giorno forse bevendo del vino rosso o ingoiando una fetta di pane chissà ho avvertito una strana sensazione. Cominciai a deglutire due tre quattro volte.
L’abitante aveva fatto le valigie e se n’era andato.
Feci un sorriso di sicuro e con il pensiero lo salutai…a non risentirci amico mio.

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