"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

mercoledì 1 febbraio 2012

Buona Novella?

Io volevo solo una vita tranquilla.
Della mia primissima infanzia ricordo solo il profumo del senodi mia madre e il gusto dolciastro del suo latte.
Poi verso i tre anni i miei ricordi si spostano ad un letto, in una camera spoglia e con una sola, piccola, finestra.
Non sapevo veramente parlare, le uniche cose che mi erano state insegnate erano le lodi.
Vedevo sempre e solo la stessa unica persona, tutti i giorni, e quella persona mi insegnava le preghiere e mi nutriva con la stessa unica pietanza, tutti i giorni.
Se volevo scendere dal letto distendevo le braccia e quest'essere mi prendeva in braccio. Era molto forte, lui, e mi portava verso la finestra.
Una volta mi disse che sarei stata la regina di tutto quello che potevo vedere se avessi voluto.

Poi improvvisamente, un giorno, senza motivo, mi rifiutai di pregare e mangiare.
Scesi dal letto e per la prima volta in dodici anni di vita toccai il suolo. Era freddo.
Era una sensazione bellissima poter camminare con le proprie gambe su una superfce lievemente sporca e fresca. Mi sentii libera.
L'uomo fece per sollevarmi da terra ma io lo respinsi, mi dissi che il primo passo per sentirsi tranquilli era la libertà e lui doveva andarsene. Quando glielo dissi pensavo di ferirlo, e quella era la mia intenzione, ma lui con stoicismo se ne andò.

Quella notte ebbi un caldo insopportabile, sembrava stessi bruciando. Mi svegliai sudata, il letto era sporco di sangue, che stessi morendo?
Corsi alla porta con gli occhi offuscati dalle lacrime, picchiai forte i pugni chiedendo aiuto e tremando, provai a chiamare l'uomo che mi aveva sempre fatto compagnia ma solo allora mi accorsi di non sapere il suo nome.
La porta fu aperta da un vecchio che, quando gli raccontai tutto, mi diede una sberla e mi strattonò in una sala immensa.
Lì fui pettinata e truccata.

Rimasi lì sola, a chiedermi perché fossi stata disprezzata, forse stavo morendo e al posto di aiutarmi mi avevano truccata, che mi stessero preparando per la bara?
Invece, la mattina seguente sempre in quella sala, mi ritrovai davanti a decine di uomini.
Era la prima volta che vedevo così tante persone e, i loro occhi erano puntati su di me, sentii gli zigomi arrossire.
Avevano tutti la carnagione molto più scura di me, il viso invecchiato prematuramente da una vita di sacrifici e le mani callose per il troppo lavoro.
Mi riempivano di complimenti, più o meno dolci, a volte volgari. Solo un uomo tremendamente vecchio stava in disparte e silenzioso. Sentii mugugnare qualcosa a proposito di un bastone e dei fiori ma non capii molto. D'altronde per dodici, lunghi, anni ero stata tagliata fuori dal mondo. Neanche sapevo come fossero fatti veramente gli uomini e a cosa servissero i bastoni.
Poi l'uomo in disparte, mostro il suo bastone, era coperto di fiori.
Tutti lo guardarono con invidia mentre lui si avvicinò a me prendendomi per la mano e scortandomi fuori.
Mi chiese se fossi la figlia di Anna e aggiunse che le assomigliavo tanto.
Io non sapevo se credergli, non ricordavo mia madre, era da quando avevo tre anni che non la vedevo.
Mi portò a casa sua e mi presentò quelli che sarebbero stati i miei fratelli.
Quattro uomini, che ormai stavano uscendo di casa perché sposati e due sorelle, più giovani di loro ma comunque molto più grandi di me.
Le sorelle mi iniziarono ai lavori di casa mentre il vecchio fu costretto ad allontanarsi per lavoro.
Passaì da una prigione all'altra senza assaporare la libertà. Mi sarebbe bastato corre per i prati come facevano i bambini dietro casa nostra ma mi era stato proibito dalle mie sorelle perché: poco dignitoso per una donna.

Quando il vecchio tornò a casa, io mi sentivo estremamente irascibile. Qualsiasi cosa mangiassi mi faceva vomitare e m'infastidiva la puzza di legno che permeava la casa.
Lui mi fece domande su neonati e uomini ma io non capii e non seppi rispondere.
Mi disse di prepararmi per un viaggio e mentre partivamo vidi ancora gli occhi di tutti gli uomini guardarmi come se fossi una criminale.
Dopo pochi mesi iniziai a capire cosa intendeva chiedermi l'uomo.
Dopo una grande fatica e un dolore immenso partorii un piccolo neonato. La mia prima preoccupazione fu “ Mi somiglia?” la seconda, dopo spiegazioni del mio papà adottivo su rapporti sessuali e procreazione, fu “ come è possibile?”.
Lui fece finta di non capire e mi disse che era ora di tornare a casa.

Il fatto di avere un figlio, e quindi stare ancora più tempo segregata a casa iniziava a non pesarmi più. Quando ero nervosa stringevo forte al petto il mio bambino e stavo meglio. Lo chiamavo il mio Principino, il mio Dono o semplicemente Gioia.
Non ero libera ma di sicuro iniziavo a sentirmi tranquilla.

Poi un giorno venni avvisata che mio figlio sarebbe stato giustiziato perchè si dichiaro Re. Il vecchio ormai era morto da tempo e le mie sorelle si erano sposate e uscite di casa
Il primo pensiero che ebbi fu “ finalmente libera, finalmente tranquilla”.
Ma quando vidi quello che gli stavano facendo tutto crollò.
Non posso e non voglio essere libera, lui non è il figlio di Dio è mio, io l'ho tenuto in pancia senza capire perché e io l'ho cresciuto, che nessuno me lo tolga.
Ma ormai era tardi.
Ero sì libera ma per quanto riguarda la tranquillità ne ero ben lontanta...

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