"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

sabato 3 dicembre 2011

Bireweck

"Fortunatamente, secondo la moderna astronomia, l'universo è finito: un pensiero consolante per chi, come me, non si ricorda mai dove ha lasciato le cose. "
Woody Allen

BIREWECK
Sono qui al pronto soccorso.
Penso che sia tra i dieci posti peggiori per passare una festa di compleanno.
Eppure stamani, avevo tutto sotto controllo, o meglio credevo di averlo.
“Disponete la farina a fontana …”
Che immagine evocativa; una montagna innevata con, nel mezzo, una conca.
Più che una fontana, mi ha sempre dato l’idea di un vulcano, il Fujiyama, il Kilimangiaro, qualcosa di esotico, lontano dalla piattezza della Pianura Padana.
Che già per il fatto di essere pianura, è triste, ma questa per di più, è anche Padana.
Mah!
Una montagna magica, la quale, dopo essere stata ben lavorata, avrebbe eruttato una dolcissima lava.
Quest’ultima messa in forno, si sarebbe solidificata, dando origine, in una sorta di creazione primordiale, alle torte più buone che l’umanità abbia mai assaggiato: quelle della mia mamma.
Me la ricordo ancora, con il grembiule a quadretti bianchi e rosa, con le braccia infarinate fino ai gomiti, che impastava già di prima mattina …
Come al solito, sto divagando, sono fatto così: se c’è da ricordare sensazioni, emozioni, le ho così presenti che mi sembra di viverle proprio ora.
Odori, sapori, immagini, mi prendono e mi portano sempre più al largo, in un mare calmo ed accogliente, ma se mi chiedete di ricordarmi qualcosa di concreto: che so? la scadenza di una bolletta, il prezzo dei sottoaceti che ho appena comprato, la mia busta paga, allora quel mare diventa un oceano in tempesta, ed io, aggrappato ad un guscio di noce, sono spacciato, senza speranza.
Vedete?Ancora sto perdendo il filo, quando invece dovrei concentrarmi; stasera la vorrei proprio stupire.
E’ il suo compleanno, ne sono sicuro, ho fotocopiato la sua carta d’identità l’altra notte mentre dormiva, me lo sono appuntato dappertutto, non mi posso sbagliare ancora.
In tutti gli anni che stiamo insieme, non ci ho mai azzeccato: una volta prima, una volta dopo, una volta né prima né dopo, una volta persino sia prima che dopo…un vero disastro.
Ma lei mi ama anche così, ormai se ne è fatta una ragione, ma stasera la sbalordirò, le voglio preparare una torta di compleanno.
Ho impiegato una settimana a scegliere quale fare, ne volevo una speciale, poi mi sono ricordato di quella vacanza in Venezuela: il Mar dei Caraibi, il cielo stellato …
“Houston ad Apollo vi stiamo perdendo, ripeto, vi stiamo perdendo…” stai qui con la testa, la torta, concentrati su quella, dunque: “Disponete la farina a fontana, colatevi al centro i tuorli lavorati a crema con il burro e l’albume battuto a neve …” Cazzo, questa non è una ricetta, questa è poesia, quante immagini, mi sento quasi come un provetto Dante con le mani impasticciate di farina e bianco d’uovo.
Andiamo avanti “ aggiungetevi una tazzina di acqua tiepida in cui sia stato sciolto il lievito e manipolate il tutto fino ad ottenere una pasta liscia ed elastica …”
Fino a qui tutto bene.
Oddio, bene, la cucina sembra Baghdad dopo una bella iniezione di democrazia, però me la sto cavando. “… di media consistenza, da avvolgere a palla e mettere dentro un recipiente, coperta, a lievitare per due ore in un luogo riparato.” Due ore, sono un sacco di tempo, quasi quasi mi butto sul divano e faccio un riposino, già, così poi mi sveglio stasera e la palla mi diventa una mongolfiera.
Potrei vedermi un film, oppure sarebbe meglio che controllassi se ci sono tutti gli ingredienti, non sia mai che abbia dimenticato qualcosa.
Vecchia volpe, pensi proprio a tutto.
Un uovo, un tuorlo, lievito di birra, 200 grammi di burro e 500 di farina questi sono già di là, belli che appallottolati. 250 g di pere e 125 g mele sono lì da sbucciare.
Stessa quantità di pesche e susine: ci sono.
100 g di prugne secche, di uvetta e di fichi secchi: ok.
75 g di datteri, 25 g di cedro, arancia e udite udite angelica candita…
Qui ritorna la poesia di questa ricetta: angelica candita.
Io neanche sapevo che esisteva questo ingrediente.
L’ho cercato dappertutto, ho girato tutti i centri commerciali della Lombardia, ma niente.
Poi, mentre tornavo da uno di questi, mi sono smarrito in un paesino fuori Milano, mi fermo per chiedere informazioni e vedo una latteria, di quelle di una volta, quelle con i vasetti di vetro ricolmi di caramelle, gommoni e tutte quelle delizie raccomandate dall’associazione medici dentisti.
Ci entro, quasi spinto dal destino. Oltre a chiedere indicazioni, provo, con un po’ di vergogna, a domandare dell’angelica candita.
Il lattaio, un ometto sulla cinquantina basso e grassoccio, invece di strabuzzare gli occhi e mettersi a ridere come mi sarai aspettato, apre un cassettino dietro il bancone, mi porge una bustina argentata, e mi dice “due euro e trenta”. Lo guardo come se mi avesse salvato dalle sabbie mobili, gli porgo i soldi ed esco, dimenticandomi delle indicazioni stradali.
Dopo quattro ore per fare ventidue chilometri dopo sono a casa, stanco ma felice.
Tutto questo per dire che l’angelica candita c’è, non manca nulla…
Oh no! 75 grammi di gherigli di noci, nocciole e mandorle, me le sono dimenticate.
Poco male, ho due ore di tempo per rimediare: parte da ora la missione “frutta secca”, faccio un salto al supermercato qui vicino, le compero, e in men che non si dica, sono di nuovo pronto per la torta.
Dove ho messo le chiavi della macchina? Dunque, ieri ho usato il giubbetto verde o quello blu? meglio controllare in tutti e due.
Porca miseria, quante tasche hanno ‘ste maledette giacche; comunque, qui non ci sono.
Nei pantaloni, no; Ma certo!!! In salotto, sulla mensola nello svuotatasche oppure nel primo cassetto del soggiorno, anche qui non ci sono, però guarda guarda:le prime lettere che scrissi a Vanessa.
Potrei recitarle a memoria, tutte dalla prima all’ultima.
Ero, a quel tempo, un ragazzotto alquanto confuso; poi arrivò lei e mi scombussolò ancora di più.
Provai a mettere in ordine i miei pensieri, le mie emozioni, scrivendole delle lettere.
Rileggendole ora, mi accorgo che non erano delle vere e proprie lettere d’amore, ma piuttosto una specie di diario,
un giornale di bordo, un tentativo di orientare la mia vita sulla giusta rotta.
Mi sto innervosendo, queste fottute chiavi non saltano fuori! Dove diavolo si possono essere nascoste, mi viene voglia di ribaltare tutta la casa, a cominciare da questo tavolo…
No!non ci posso credere, eccole lì, sotto quella pila di volantini pubblicitari (che dovevo buttare via già da tre giorni), proprio lì, davanti ai miei occhi.
Bene le ho trovate, o loro hanno trovato me? In ogni caso, “via più veloce della luce”, che di tempo ne ho già perso abbastanza.
Corro lungo le scale, attraverso a grande velocità il cortile, supero atleticamente il cancelletto d’ingresso, mi catapulto nel parcheggio, raggiungo velocemente… dove l’ho messa? L’auto, dove l’ho posteggiata? Ah, eccola!
Sul parabrezza c’e un foglietto… non sarà l’ennesima multa...
No, a meno che i vigili siano diventati estremamente creativi ed abbiano cominciato a scrivere le contravvenzioni su bigliettini colorati e a caratteri cubitali con l’evidenziatore arancione.
È un messaggio di Vanessa: che mi esorta, e sto usando un eufemismo, a passare all’ufficio postale a pagare il canone della RAI, che scade oggi e non vuole pagare la mora come tutti gli anni.
Ok, ce la posso fare, posta e supermercato, Rai e frutta secca, non è difficile.
Come è cara Vanessa, è così dolce, oddio si arrabbia come una bestia, quando mi dimentico qualcosa di importante, però è sempre pronta a perdonarmi e a rammentarmi le cose.
La sua arma preferita è il post-it.
Nelle sue mani quel piccolo lembo di carta colorata diventa pericoloso, una sorgente infinita di minacce e improperi; una di quelle bombe a grappolo, che vanno di moda adesso, si moltiplica all’infinito.
Ad esempio quando dobbiamo partire per le vacanze, la casa diventa colorata di quei foglietti adesivi, li trovo dappertutto.
In bagno, che mi ricordano di mettere in valigia lo spazzolino da denti, il dentifricio, la schiuma da barba ecc. in camera da letto, sul guardaroba, dalla mia parte, trovo scritto” due paia di pantaloni, cinque camicie, le mutande” ecc. tutto ciò è uno spasso.
Allo stesso momento, faccio la valigia e mi diverto, perché mi sembra di partecipare ad una caccia al tesoro.

Parcheggio l’auto nello spiazzo davanti alle poste, scendo e mi dirigo, a passo deciso, verso il mio obiettivo.
Entrerò nell’ufficio, che figata c’è la porta girevole, mi ricorda quell’unica volta che andai alle giostre con mio padre, lui lavorava sempre, ma quella volta mi portò, come era bello e semplice il mondo allora, bastava un giro di giostra. Soprattutto non c’erano ‘sti stramaledetti bollettini da pagare.
Mi metterò in coda, mi toccherà sorbirmi tutti i brontolii dei pensionati, che pur avendo tanto tempo da perdere sentono di averne sempre meno a disposizione e quindi si lamentano di quello che sprecano.
Pagherò il vaglia postale e finalmente potrò tornarmene a casa tranquillo.
Ma, già lo so, il destino con me si diverte ad inventare rotte bizzarre, ad assumere forme imprevedibili, per portare il mio povero guscio di noce in acque sempre più burrascose.
Questa volta il bastardo non ha nemmeno dovuto sforzarsi troppo, gli è bastato assumere la forma di due orecchie sproporzionate, anche per il testone e il conseguente corpo massiccio a cui sono attaccate.
Due orecchie che non si fanno dimenticare, neanche dopo trent’anni.
Ci guardiamo e ci rivediamo come eravamo, i peggiori alunni della sezione B delle scuole elementari G. Pascoli.
Ci abbracciamo, cominciamo ad raccontarci.
Le parole e il tempo scorrono come un fiume in piena, svuotiamo il sacco (tanti anni in troppo tempo), ricordi ed emozioni cadono a terra scivolando come sabbia tra le dita.
- Cazzo, sono quasi le dodici e mezza, è tardi devo andare –
- Accidenti! Anch’io devo correre, se chiude l’ufficio postale sono morto. Ciao ci rivediamo… tanto… -
- Si, tra altri trent’anni – risponde, con la sua consueta cinica lucidità.
Ci siamo ritrovati come fratelli e ci salutiamo come sconosciuti.
Tutto il resto sono granelli di memoria, adagiati ai nostri piedi.
Volo a diversi centimetri dal terreno, tanto sto correndo.
Entro così velocemente nell’ufficio, che la porta girevole si trasforma nel cestello di una lavatrice in centrifuga, milleduecento giri al minuto, arrivo allo sportello ansimando, l’impiegato mi guarda con l’aria insofferente e noncurante del polmone che gli sputo sul banco mi dice:
- Stiamo chiudendo –
- Allora sono ancora in tempo, non avete ancora chiuso – abbozzo con un sorriso a trentadue denti.
L’ironia si rivela una tattica sbagliata, si irrigidisce.
Passo alle suppliche, gli dico che, se non pago questo semplice bollettino, ne va della mia vita coniugale e non solo. Sembra irremovibile.
Insisto, mi prostro e faccio appello alla sua bontà d’animo, adduco scuse insostenibili per giustificare il mio ritardo. Tutto ciò pare far breccia nella sua corazza di zelo.
Passo alle lusinghe personali e professionali, decanto l’efficienza del servizio pubblico e insulto i suoi detrattori; sembra che funzioni.
Si!!! Ce l’ho fatta! Riesco a pagare quel fottutissimo canone Rai.
Missione compiuta, si torna alla base.
Appena entro in casa, una sottile traccia di profumo di vaniglina mi cattura, le sue evanescenti spirali, mi riportano a colazioni con latte e biscotti, a cucinini piccoli e stretti, al tavolino basculante, che mio padre aveva appeso al muro, per un lato, così che si potesse richiudere e guadagnare spazio.
A tempi che sembrano antichi, tempi senza computer, con solo mezz’ora di televisione al giorno, la Tv dei ragazzi, Emil e le sue marachelle, parola di cui ignoravo il significato, Furia, cavallo del West… tempi ingenui, ma pieni zeppi di fantasia e di aria aperta.
Seguo quella scia, inebriante fin dentro la mia cucina abitabile e super moderna, con tanto di forno a microonde e ammennicoli tecnologici vari.
Lì, appoggiata sul tavolo di vetroresina, la vedo, la mia palla di pasta, sbatto violentemente il naso contro la realtà, mi sono dimenticato della frutta secca. Ripeto il rito delle chiavi, della macchina, ma con più calma, tanto i supermercati fanno orario continuato, poveretti, ho tutto il tempo.
Quando esco dal megastore, vincitore, con in mano i sacchetti di mandorle noci e nocciole, sento appiccicata addosso una strana sensazione, non mi sento euforico come in posta.
Sono, finalmente in cucina, è ora di rimboccarsi le maniche, gli ingredienti ci sono tutti.
“Sbucciate le pere, le mele, le pesche e le susine; mondatele e tagliatele a pezzetti; raccoglietele in casseruola con un trito di fichi e prugne secche, cuocetele con poca acqua e zucchero”. Cosa vi avevo detto? Questa ricetta è un’opera completa, c’è anche il mistero, quanto cavolo sarà “poca acqua e zucchero”?
È così che chi ha il potere ci frega.
O sono troppo vaghi, oppure troppo precisi “ versate ventisettevirgoladodici ml di acqua”; così ci tengono a distanza, con paroloni o misure improbabili.
Il risultato è identico: noi comuni mortali non riusciremo mai a fare una torta come si deve.
“Aggiungetevi la frutta candita tagliata a dadolini e l’uvetta sultanina ammolata nella grappa. Quando la pasta sarà lievitata tornate a batterla energicamente aggiungendovi, poco alla volta, le noci, le nocciole e le mandorle, la buccia d’arancia e i datteri a pezzetti. Versate il preparato in una teglia e ponetelo in forno preriscaldato a 160 gradi, per un’ora e tre quarti.”

Il citofono, è lei, corro ad aprire la porta.
Ciao amore, indovina che giorno è oggi? – mi domanda maliziosa, credendo di cogliermi di sorpresa. Cerco di fingere, di farle credere che mi sono dimenticato anche questa volta, ma quando guardo dentro quegl’ occhi verdi, il mio guscetto di noce si inabissa nelle loro profondità.
Tanti auguri amore!!! - grido.
Vanessa rimane a bocca aperta, incredula balbetta qualcosa sul fatto che non sia possibile che mi sia ricordato, su imminenti quanto disastrose calamità che si abbatteranno su di noi, per questo.
Ma in fondo lo si vede che è al settimo cielo, per la prima volta da quando ci conosciamo mi sono rammentato del suo compleanno.
Le socchiudo la mandibola pendente e la conduco per mano in cucina dove ci aspettano due pizze fumanti.
Ceniamo, lei è sempre più stupita, le ho ordinato la sua pizza preferita:
- ma come hai fatto a ricordartene? – mi chiede.
Su questa parte glisso elegantemente, qui sono stato fortunato, l’avevo scelta a caso.
Poi con gesti consumati, gli giro attorno, le bendo gli occhi con un tovagliolo e con voce solenne le annuncio un’altra sorpresa.
Le spire voluttuose arrivano alle sue narici:
- una torta! ti amo definitivamente! - esclama.
Taglio una fetta e gliela porgo, la morde ancora prima di togliersi la benda
- Uhm !!! che buona… No! Non dirmi che… - si toglie rapidamente il tovagliolo.
- Caro, sai dove sono le chiavi della macchina? –
- No, ma tanto non dobbiamo uscire, vero? –
- Allora comincia a cercarle, subito – il tono è perentorio – io credo che invece dobbiamo proprio uscire! –
- Ma… - farfuglio
- Ho capito, fa tutto parte del tuo piano… -
- Non capisco… -
- hai un’altra donna e vuoi eliminarmi?
- Ma cosa dici amore? Mi sono ricordato del tuo compleanno! – mi difendo
- Si, però ti sei dimenticato che sono allergica alla frutta secca, disgraziato! -

La sala d’aspetto è illuminata da un neon freddo, attendo che Vanessa esca dall’ambulatorio dopo la flebo di antistaminici e cortisone e… mi perdoni.
Come ho già detto, il pronto soccorso non è il posto migliore per festeggiare il proprio compleanno.
Sì, questa volta l’ho combinata grossa, ma già lo so, lei passerà anche sopra a questo, mi ama.
Credo.

2 commenti:

  1. ...bravo fabio...:)...

    susanna...

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  2. Mi sono rivista in alcuni tratti del carattere del protagonista che quindi mi è molto simpatico:))
    Un bel racconto Fabio!
    Manu

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