"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

martedì 6 dicembre 2011

L'amore sconosciuto

Avrei voluto volerti bene veramente.
La mia mamma eri tu, tu mi hai aperto il cuore, tu hai instillato il siero dolce e fortificante dell’amore di una mamma.
La mia mamma quando ero piccola aveva dei grossi problemi psichici, per via di quello stronzo di mio padre che lavorava solo ogni tanto, e quando stava a casa gridava e la picchiava.
Lei si riempiva la bocca di pastiglie per stare tranquilla, ma quelle le toglievano la voglia di fare  qualsiasi cosa e la facevano diventare cattiva.
E poiché c’ero anch’io, ed ero una bambina piccola, non riusciva ad occuparsi di me, si dimenticava di portarmi a casa e mi lasciava sola in un parco, non mi vestiva mai bene, non ero mai coperta d’inverno e così mi ammalavo tanto.
All'ospedale si sono accorti di me e del mio stato di abbandono, e in una settimana la lunga mano della giustizia sociale mi prelevò da quella che era la mia disastrosa casa, da quel nido del disagio, per portarmi in un posto dove non c’era nessuno, nessuno che mi amava.
Poi non fu proprio così, anche perché l’amore lo rubi lo strappi proprio come quando hai fame, sei disposto a tutto pur di placare quel buco che ogni giorno è sempre più buio e doloroso.
Dopo due anni passati in istituto, un po’ mi ero abituata alla solitudine, a sapere che a parte la zia Rosa nessuno veniva a trovarmi e poi neanche a lei in fondo interessavo, neppure lei mi amava, il senso di colpa, la faceva venire tutte le settimane per portarmi le caramelle e qualche giochino ogni tanto; che non so perché mi sembrava sempre triste e fuori luogo.
Un giorno la Chiara, la nostra bidella, mi prese per il golf e mi tirò dentro al bagno e mi fece cenno di stare assolutamente zitta, con un filo di voce mi disse che ero stata fortunata che anche se avevo ormai 8 anni avevo trovato una famiglia eccellente che mi voleva adottare.
Aveva intravisto l’uomo e la donna e gli erano piaciuti, gente a posto e anche ricca. Poi in realtà fu un affido.
Sono stata zitta, anzi muta e non solo perché me lo aveva detto la Chiara ma perché questa bella notizia mi spaventava da morire, avevo vergogna mi sentivo come quando si sogna di rimanere completamente nudi in un luogo pieno di gente.
Io mi sentivo ormai sicura in quel posto senza famiglia, le mura dello stanzone dove dormivamo erano grigie ma di un bel grigio, il mio letto era comodo e anche il cuscino. Il latte alla mattina era caldo e a quei biscotti asciutti mi ci ero abituata.
E poi avevo la mia amica Camilla una bambina con i capelli castani e lunghi. Gli occhi sempre sognanti, mai concentrata sui compiti, mai attenta alla lezione, Camilla era sempre con la testa altrove pensando a cosa avremmo fatto nel pomeriggio, a quale storia ci saremmo inventate e con quali personaggi della nostra fantasia ci saremmo imbattute.
Io diventavo matta per lei, nessuna riusciva a sorprendermi come lei, anche un giardino senza giochi come il nostro diventava un giardino delle meraviglie dove perderci e ritrovarci ogni giorno,
Avevo bisogno di lei come del sonno e del cibo, perché riusciva sempre a regalarmi un po’ di felicità, tra salti e finti travestimenti con maghi e streghe cattive, ma a volte anche buone.
Non so cosa ci trovasse in me Camilla, non capirò mai perché mi aveva scelta come la sua amica dei giochi incantati, come lei amava dire.
Ma io sapevo cos’era lei per me, un gioiello brillante come mai avevo visto e che poteva essere mio ogni giorno.
Come avrei fatto senza Camilla? Mi sforzavo di pensare che con un po’ di fortuna avrei avuto una mamma che mi voleva bene e che mi avrebbe portato in Istituto a rivedere Camilla quando volevo.
Ma sapevo già che avrei voluto tutti i giorni…e così mi veniva da piangere.
Passò solo una settimana e fui portata dalla direttrice per conoscere Sara e Luigi i miei genitori affidatari.
Avevo paura, anche se sapevo che non ne avevo alcun motivo o almeno ci speravo. Quando li vidi nel giro di pochi minuti il mio umore andò alle stelle, erano due belle persone, proprio anche fisicamente. Mi guardavano con occhi colmi di interesse e curiosità , il sorriso sempre sulle labbra, nonostante i miei occhi fermi e sospettosi, i mie silenzi e le risposte brevi che davo alle loro innumerevoli domande.
Durante tutto il colloquio ci fu un momento in cui Sara mi prese le mani e mi tirò vicino a lei, io ero come incantata dalla sua bellezza, dalla perfezione del viso e dal suo rossetto che le disegnava così bene le labbra. Mi strinse a se delicatamente e io affondai la testa in quel giacchino di lana bianca e morbidissima e mi sentii come un cucciolo impaurito raccolto e coccolato.
Aveva un profumo buono Sara, sapeva di borotalco.
Un Natale, il borotalco  me lo regalarono i miei cugini, erano venuti solo quella volta, ma me lo ricordavo quel regalo perché non sapevo che esisteva una polvere bianca e sottile così profumata.
Luigi mi guardava con tenerezza e mi accarezzava la testa.
Sono andata via dalla mia casa (io quel posto lo chiamavo così) con il cuore accartocciato, ma dopo qualche mese la mia nuova mamma mi aveva coinvolto così tanto nel suo bisogno di amore, che ero felice.
Facevamo tantissime cose insieme, mi seguiva nei compiti a scuola, mi faceva conoscere tutti i luoghi a lei cari,  tutte le persone a cui voleva bene.
A volte sentivo che era un po’ troppo, che potevo cominciare a stare anche un po’ sola oppure fare qualcosa da sola, ma lei mi riempiva le giornate con tante bellissime attività.
Eravamo sempre io e lei ..al bar a bere la cioccolata, in piscina, al cinema, a teatro, in cucina a fare le torte, a farci i giri in macchina, a comprare i regali di Natale.
A guardare la pioggia scrosciante dalla finestra del bagno e a sentire i rombanti rumori delle moto nelle notti d’estate.
Luigi invece c’era pochissimo, era spesso via per lavoro ma Sara sembrava serena, avevo la sensazione che tutto fosse normale tra loro, e poi io che ne sapevo di come era un vero papà e di come era una mamma sola.
“Un papà con un lavoro importante viaggia molto sai”  mi diceva Sara quando mi informavo sulle assenze del mio papà adottivo.
Per questo motivo, quello a me dichiarato, Sara mi volle sempre nel lettone e trascorrevo le serate con lei a leggere libri, a parlare o a guardare la televisione.
Sara era dolcissima con me, mi accarezzava sempre.
Un giorno avevo ormai tredici anni stavo prendendo sonno, quando sentii la sua mano che lievemente quasi tremante toccava il mio seno.
Erano belle sensazioni poi diventarono emozioni, ma il sesso con Sara non mi sembrava giusto perché lei era la mia mamma e nelle storie e nell’esperienze di tutti quelli che avevo conosciuto nessuno mai mi aveva raccontato che l’amore della mamma era un bacio profondo, una mano tra le cosce e molto di più.
Avevo sedici anni quando la mia mamma vera ricomparse, e per questioni giuridiche dovetti tornare da lei. Non potevo decidere, era così e basta.
Mi sentii tutto sommato liberata da una situazione che a volte mi intristiva, in fondo ero un surrogato d’amore per Sara e non volevo sentirmi così nella vita.
Stavo così male con la mia vera madre, che il trascorrere del tempo mi rese malinconica avevo poi tanta nostalgia di Sara, lei era stata l’unica persona al mondo che mi aveva amato a lungo che aveva sempre cercato di rendermi felice.
La cercai, andai proprio a trovarla a casa. Mi immaginavo abbracci baci, racconti di ore davanti ad una tazza di the…
Ma quanti pianti poi giù per le scale, aggrappata al corrimano per paura di cadere, tanta fu la delusione.
Mi disse che aveva trovato un lavoro meraviglioso nel mondo del design e che era indaffaratissima e che non aveva tempo, ma che era dispiaciutissima di non potermi dedicare più di qualche minuto.
Da Luigi si era separata perché quelle assenze l’avevano svuotata, si era quasi convinta di non essere una donna da amare.
"E invece io? Io chi sono?" Mi chiedevo e mi chiedo ancora adesso...Qualcuno mi può amare? Ma forse no io non sono tra quelli che al mondo sono amati, ci sono quelli che amano e quelli che sono amati..
Ora ho venticinque anni ho lasciato mia madre a diciottanni , sono fuggita dalla sua cattiveria.
Ho una vita mia, lavoro, faccio la costumista, perché Sara mi aveva inculcato il principio che nella vita bisogna studiare studiare studiare, e così ho finito i miei  studi.
Vivo con una ragazza, e penso che ci amiamo, nel senso che io faccio tante cose per farla stare bene e vedo che lei fa lo stesso con me, ci divertiamo e ogni giorno ci sorridiamo con gli occhi e con il cuore.
Ma spesso mi chiedo perché sto con lei..
Io che sono una donna….non so cosa sia il bacio di un uomo e la sua tenerezza, ma se dovesse succedere.. se un uomo mi volesse, quale emozione mi agiterà?

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