"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

domenica 17 novembre 2013

L'AUTUNNO DEL NOSTRO SCONTENTO



L'autunno si era travestito da inverno: tutte le mattine si alzava una nebbiolina fredda e appiccicosa e pioveva un giorno sì e l'altro pure. Gli alberi si vergognavano di essere nudi già alla fine di ottobre. Chissenefrega: mia moglie, stavolta, aveva avuto l'idea giusta: 15 giorni di vacanza a Palawan, sud-ovest delle Filippine, un'isola verdissima e tropicale fuori dalle solite rotte o, per dirla come il depliant, “uno smeraldo in un mare di turchesi”. Per farvi capire di che umore ero quando partimmo, vi dico solo che già in aereo portavo il costume da bagno sotto la tuta, e a metà del volo mi infilai le infradito.
Per la verità, a Manila il benvenuto non fu granché: una pioggerellina sottile sporcava le vetrate dell'areoporto. Mia moglie sentenziò: “ che c'entra, qui siamo molto più a nord, e poi è il microclima della città...”. Per la seconda volta aveva ragione: il giorno dopo a Palawan era una giornata da cartolina, roba che il depliant gli faceva una sega: ventinove gradi, mare cristallino, vegetazione rigogliosa... e il resort, che spettacolo! Un pugno di palafitte in mezzo al nulla, una lingua di sabbia e sole e mare, mare e sole.
La mattina dopo, però, ci svegliammo sotto la pioggia. Mia moglie minimizzò: “è un acquazzone tropicale, tra mezz'ora passa”. Ma ne aveva dette due giuste e la statistica non mente, per altri cinque anni non ne avrebbe azzeccata una.
Comunque, dopo due ore stavamo ancora lì, e non c'era molto da fare in quella cacchio di palafitta senza neanche un televisore, così facemmo l'amore, per la prima volta dopo mesi. E nel pomeriggio, mentre la pioggia picchiettava romanticamente sul tetto, lo facemmo ancora. Dopo cena, mia moglie mi fece un sorriso strano, malizioso... fu a quel punto che tirai fuori le carte e proposi una partita a burraco, perchè mica sono fatto di ferro.
La mattina dopo pioveva ancora e così mi avviai verso il bungalow della reception per sentire le previsioni del tempo dagli indigeni. Sfoderando il mio migliore inglese chiesi: “the time.. domani... beautiful, yes?”. La filippina al banco sorrise. Mimai delle gocce di pioggia, o forse l'attacco di un orso, poi l'illuminazione: “the rain...”.
“Oh” -fece quella- do you want to know something about the weather?”
“Eh?”
“Just a moment” - disse, e sparì nel retro.
Dopo qualche secondo uscì un ometto basso, che doveva aver fatto il maggiordomo in Italia, perché esordì, sempre sorridendo: “Questa è stagione di pioggia”.
Sbiancai.
“Ma tu non preoccupare, due-tre settimane tutto finito”
“Cooosa? E che ci faccio qui...”
“Oh divertente qui: giovedì viene signore per massaggio, sì, e domenica ballo tradizionale”
Balbettai “Ma, ma, ma... e gli altri?”
“Non c'è altri, altri viene a dicembre, stagione secca. Noi tutti per voi!” e giù un sorrisone.
“Ma porco ****!” e giù un bestemione epico.
Il filippino raggelò: mi indicò imperioso il crocefisso alla parete: “Se tu vuoi bestemmiare, va da un'altra parte!”
“Magari!”
Tornai alla palafitta imprecando, tutta colpa di quella stronza che si era fatta infinocchiare! Palawan del cazzo! Mia moglie abbozzò una difesa, ma la stroncai sul nascere; seguì un litigio furioso, sicché mi scordai l'unico passatempo decente per tutti i giorni che seguirono: cinque giorni di pioggia, noia e burraco, prima di trovare un biglietto a prezzo spropositato per tornare a Milano.
A Malpensa un sole abbagliante mi attendeva per sfottermi. Il tassista, saputo che venivamo dalle Filippine, si lanciò: “ma io ho una nuora Filippina, ci sono stato l'anno scorso: che paese meraviglioso, che sole, che spiagge!”
“Si fermi.”
“Cosa?”
“Si fermi, porco ****, voglio scendere”
“Ue' cicetti, se devi bestemmiare, vai da un'altra parte!”
“Dai caro, non fare il matto” - fece mia moglie.
“Ma vattene affanculo tu e le Filippine” dissi al tassista, o forse a mia moglie o al mondo intero, e saltai giù che l'auto non era ancora ferma, correndo non so dove.
Vidi giusto il cofano della macchina che mi veniva addosso, e feci in tempo a notare l'adesivo che aveva sul parabrezza, quello contro il nucleare con il sole, il sole che ride, 'sto stronzo.

Mi svegliai in quest'ospedale di suore, dove sono in trazione da sei settimane, immobile sul letto a guardar fuori dalla finestra. Vedo solo un albero spoglio e una fetta di cielo grigio. Piove, piove da giorni. La madre superiora mi tiene il pappagallo mentre piscio.
Il cellulare suona, è mia moglie che sta facendo la settimana bianca, mi manda la sua foto con l'istruttore di sci, sorridenti nella neve che riflette il sole limpido tra le montagne. “Ma porco ****... ahhh!” La suora mi strizza le palle. “Se vuoi bestemmiare, va da un'altra parte!”
Piagnucolo:“Magari!”.

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