"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

lunedì 2 dicembre 2013

La Casa



Era andato da poco in pensione e tornato al paese. Quella casa era stata una manna dal cielo, spaziosa e a poco prezzo. Certo, trascurata e dall'aspetto un po' sinistro, ma lui era appassionato di bricolage e con tutto quel tempo libero...
La prima notte, però, fu un disastro: porte che sbattevano, risate sataniche, rumore di catene, il letto che tremava... e alle quattro del mattino un quadro si staccò dal muro e gli crollò sulla testa.
La mattina dopo era incazzato nero.
Chiaro che la casa era stregata e per questo non costava una minchia. Chiaro che della cosa se ne fotteva. Figuriamoci se si faceva mettere sotto da qualcosa che non esisteva neppure.
Per quarant'anni aveva fatto l'addestratore di cani, per l'esercito e la polizia. Aveva imparato che esiste una regola universale per educare chiunque, cani, tigri o cristiani: premiali quando si comportano bene e puniscili quando sbagliano. Non vedeva perché non dovesse funzionare con quegli ectoplasmi del cacchio.
Prese una mazza da demolizione e scese nel seminterrato. Stando di fronte a una delle colonne portanti, si rivolse direttamente alla casa, ad alta voce: “Stanotte hai rotto i coglioni... ora vediamo chi rompe di più!” e giù una mazzata. Poi un altra, e un'altra. Sentiva il cemento vibrare sotto i colpi, mentre frammenti di intonaco schizzavano qua e là. Gli parve pure di sentire un lamento, un ululato basso, ma forse se l'era solo l'armatura di cemento che vibrava.
Bene -disse- per questa volta te la cavi con un calcio negli stinchi, ma vedi che non si ripeta più”
Quella notte dormì come un bambino, a quanto pare qualcuno aveva capito chi comandava.
Premiali quando si comportano bene, pensò, e si mise a dare l'impregnante alle perline di legno.
Ma sarebbe stato troppo bello pensare di aver vinto la guerra dopo una sola battaglia.
Qualche giorno dopo l'acqua raggelò mentre faceva la doccia, poi cominciò a colare sangue dal doccino. I pensili della cucina si spalancarono, spargendo il loro contenuto sul pavimento.
Gli saltò la mosca al naso, quella stronza di casa aveva esagerato: col cavolo che lui puliva quel disastro.
Guardò le previsioni del tempo, lo attendeva un fine settimana freddo ma soleggiato: perfetto.
Salì sul tetto e tolse tre metri quadri di tegole. Aprì le finestre e le bloccò con il filo di ferro. Poi scese in cantina e spense la caldaia. Infine disse forte e chiaro: “Io me ne vado a pescare due giorni. Quando torno dev'essere tutto pulito. Altrimenti il freddo che sentirai domani lo ricorderai con nostalgia” e per sottolineare il concetto mollò altre due mazzate alla solita colonna.
Mentre pescava pensava al vento di gennaio che gelava i muri, al legno degli assiti che si crepava, alla brina che ricopriva il piano di marmo della cucina. Soddisfatto, ridacchiava.
Quando tornò la cucina era pulita, nei pensili le scatole erano disposte per ordine di grandezza. Sistemò le tegole e fece andare al massimo il riscaldamento. Questa vola fu sicuro di sentire un sospiro di sollievo. Diede la cera ai pavimenti e promise ad alta voce di verniciare le persiane. Poi falciò il prato.
Sei mesi dopo, viveva nel paradiso degli amanti del fai da tè. Passava l'antiruggine sulle ringhiere, carteggiava i gradini in legno, sistemava i mobili traballanti. Intanto la casa, sotto le carezze del pennello, faceva le fusa con un rombo sommesso. La sera il letto lo cullava muovendosi dolcemente mentre una voce lontana gli cantava struggenti ballate. La mattina quando si svegliava i pavimenti erano sempre puliti e i piatti, che aveva lasciato sporchi nel lavandino, gocciolavano dallo scolapiatti, divisi per tipo.
Per niente al mondo avrebbe cambiato casa.

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