"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

giovedì 29 novembre 2012

la foto

Sopra un foglio di carta lo vedi il sole e' giallo
ma scolorira'
e se piove due segni di biro ti danno un ombrello
che scolorira'
basta fare un bel cerchio ed ecco che hai tutto il mondo
che scolorira'. Che scolorira'.
Acquarello, Toquinho


LA FOTO


Era lunedì, me lo ricordo benissimo.
L’Inter aveva vinto 2 a 0 con la Juventus a Torino, nel posticipo della domenica; quelle giornate li non te le puoi dimenticare.
Il classico risultato che non concede appello, un goal per tempo: al 23° tiro dal limite di Cambiasso e al 67° raddoppio di Crespo, appena entrato: un’incursione sulla destra di Maicon, cross basso e tiro secco a pelo d’erba nell’angolino; i gobbi erano ormai piegati, il resto fu una passeggiata fatta di passaggi fitti e possesso di palla.
Era lunedì non mi posso sbagliare.
Era inverno (14° giornata del girone d’andata), io, infagottato nel mio giubbotto pesante, ero passato, come tutti i lunedì, in edicola a prendere la gazzetta.
Mi pregustavo il momento in cui sarei entrato in fabbrica, sventolandola in faccia a tutti i conigli bianconeri dell’officina.
La cosa insolita era che avevo tempo; al contrario di tutti gli altri giorni, nei quali dovevo spingere sui pedali come Cipollini in volata, per non timbrare in ritardo il cartellino, quella volta ero uscito di casa prima, avevo avuto persino il tempo di salutare mia moglie e quei perditempo dei miei figli.
Mi ricordo: - Ciao amore, vado. Voi due, mi raccomando, fate i bravi.- la mattina a casa mia, non è come quella del mulino bianco, dove tutti sono contenti, ridono e scherzano; a casa mia solo grugniti, monosillabi e baci stanchi, usati, solo parole vuote, perse nel nulla della nebbia mattutina.
Senza contare, poi, che in casa mia, quelle figone della pubblicità non ci sono mai state, Si, la Silvia da giovane poteva dire il fatto suo, ma adesso, dopo diciotto anni di matrimonio e due figli sfornati uno dietro l’altro, non era più quel gran bel vedere, soprattutto la mattina presto.
Oddio, neppure io sono un figurino, due o tre taglie in più e qualche milione di capelli in meno, ma si sa, gli uomini invecchiano meglio…
Comunque, avevo del tempo.
L’edicola era semivuota e si respirava quell’odore di giornale fresco di stampa.
Il vecchietto davanti a me trafficava con il suo portamonete, rovistando in cerca degli spiccioli, normalmente avrei sacramentato, scalpitando come Ribot sulla linea di partenza, ma quella volta avevo il tempo di guardarmi attorno.
Fu così che la vidi.
Mi colpì come un diretto di Tyson in pieno volto.
Era mollemente appoggiata tra le altre, ma spiccava, lucida, patinata, fu un vero e proprio shock.
Mi sentii attirato verso lei e così senza quasi rendermi conto, allungai la mano, la toccai, era liscia, leggera; non ci pensai due volte, la presi immediatamente dallo scafale su cui era riposta.
Quella rivista era li che aspettava solamente me; la posi sulla mensolina di ceramica insieme alla gazza, come era grossolana nei suoi confronti, con il suo rosa dozzinale e i suoi caratteri cubitali.
Pagai ed uscii dal negozio.
Come un bambino davanti all’albero di Natale colmo di regali, ero frastornato, sette euro e venti, cazzo, avevo speso sette euro e venti centesimi per quella rivista.
Però quella foto in copertina, mi aveva spiazzato, come una finta di Baggio, non pensavo che sarebbe potuto succedere, non dopo tutto questo tempo e dopo tutto questa caligine.
La foto era di quelle pesanti, di quelle che ti fanno drizzare i peli delle braccia, che ti fanno percorrere il corpo di brividi, di piacere s’intende.
Quei colori, quelle forme ti prendono l’anima e te la tirano su dal profondo dove tu l’avevi cacciata, fino quasi a farla sfuggire; per quello che tremi, perché, lo sai benissimo che non può succedere che l’anima voli via per una fotografia, però è quello che provi.
Come in quei film del terrore, che piacciono tanta alla Silvia, vedi avanzare il protagonista verso la cantina, buia e piena di mostri che vogliono mangiarselo, tu gridi: “ Non andare, pirla, la c’è il mostro, ti sta aspettando per divorarti” ma tanto è inutile, lui ci andrà, aprirà quella cazzo di porta e verrà sbranato.
Tu, sai già tutto quello che succederà, pero non puoi fare a meno, per un attimo, di avere paura, poi ti dispiacerà, ma alla fine, penserai “ beh, se sei un pirla allora, te lo meriti di essere massacrato dal mostro.”
La foto dicevo, tutte quelle curve morbide messe li dal caso, disposte in modo da accompagnare lo sguardo in tutte le direzioni, da perdersi, che meraviglia.
I colori, poi, ti fanno letteralmente impazzire, sono tanti e di tutte le tonalità: dall’oro della sabbia all’azzurro del mare, passando per il verde smeraldo della vegetazione.
Il caso? Io non è che sono molto di chiesa, però mi pare difficile che tanta bellezza sia solo frutto del caso, va bene l’erosione dell’acqua e del vento, ci sta pure qualche bel cataclisma naturale, ma più la guardo e più mi convinco che quella statua del Gesù Cristo, lì ci sta proprio bene.
Negli spogliatoi della fabbrica, dato che avevo tempo, mi soffermai su quella magia, socchiusi gli occhi per un secondo e varcai i bordi di quel fotogramma… diciotto anni fa.
Già dall’aereo Rio De Janeiro mi sembrava fantastica, anche la Silvia lo era, seduta acconto a me era ancora messa giù da corsa del giorno prima, tutte e due eravamo stanchissimi ma eccitatissimi, era il primo giorno di luna di miele, era un sogno che si realizzava, ci aspettava il Brasile.
Che spettacolo, Rio ci accoglieva al massimo del suo splendore, i colori, le luci. La gente… beh, si, di nascosto dalla Silvia buttavo gli occhi su qualche bel culo di quelle parti.
Nella mia vita il colore predominante era sempre stato il grigio, tranne il lunedì che diventava rosa Gazzetta dello sport, lì invece ogni giorno era di un colore diverso, mille colori diversi, come i fuochi d’artificio della festa della parrocchia.
L’allegria di quei giorni non l’avremmo più provata, neanche quando nacque il Giorgio, si eravamo contenti ma anche un po’ spaventati, lì invece non avevamo paura di nulla, tuda joia, tuda beleza.
Seppur lentamente i quindici giorni di licenza matrimoniale passarono e tornammo alla normalità, per quanto insopportabile possa essere, ci si abitua, i soliti gesti, le solite cose, insomma la nostra vita.
Quel giorno però, la rivista da sette euro e venti centesimi, quella foto in copertina, avevano compiuto il miracolo.
Dapprima ero in stato confusionale, completamente suonato, come Cassius Clay, poi il lampo.
Mi colse una sorta di lucidità, una consapevolezza, sapevo cosa fare e come farlo.
Chiamai quel pirla del mio caporeparto, gli dissi che stavo male(ed era vero) e che sarei andato a casa. Inforcai la bicicletta e corsi via.
Una doccia mi mise sulla strada giusta, non c’era nessuno, i due desperados erano a scuola e la Silvia era da sua madre, tanto faceva il secondo e aveva già preparato il minestrone per la sera.
Quell’odore di verdura cotta, misto alla puzza di stantio della mia vita, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Mi sentivo come l’Italia dell’ottandue: dopo un girone di qualificazione scialbo e senza sostanza, la riscossa verso il titolo iridato, guarda caso passando proprio per il Brasile.
La seconda tappa fu la banca.
Il cassiere, un damerino in giacca e cravatta, rivestito di lucido per nascondere la sua polvere di quotidianità; fatta di invidia verso i colleghi e voglia, inconfessata, di farsi quella dei titoli, mi chiese il perché volessi ritirare tutti i soldi, se per caso non ero soddisfatto dei loro servizi, se desideravo parlare prima col direttore… risposi chiaramente ad ogni sua obbiezione.
Spiegai tutto con una lucidità che mi faceva paura, non mi riconoscevo, io davanti alle giacche e alle cravatte sono sempre stato intimorito, invece quel giorno filai via dritto che neanche Schumacher mi avrebbe ripreso.
Prosciugai il nostro conto corrente.
Li ritirai tutti, fino l’ultimo centesimo, dodicimila cinquecentoquarantotto euro virgola settantadue.
Diciotto anni di risparmi e privazioni.
Sarebbero bastati per cominciare, poi mi sarei fatto mandare la liquidazione e avrei messo su un bel gruzzoletto… povera Silvia come avrebbe fatto ad andare avanti, no, non senza di me, per quello sarebbe stato forse meglio, senza una lira però… per un momento vacillai nei miei propositi; poi alzai lo sguardo sul cassiere, sul suo colore grigio, sulla sua patina indelebile di fuliggine, fugai immediatamente quel rimorso misi i soldi nella valigetta e corsi a Linate, il primo aereo sarebbe stato mio.

Sono qui da un po’, tutto è come me lo aspettavo: i colori, i suoni , la gente, persino i culi delle ragazze sono gli stessi di diciotto anni fa.
Ho già girato quasi tutto Rio, ed è solo l’inizio, il Corcovado, le spiagge di Ipanema, il pao da asucar,
il Maracana…i vicoletti.
Tutto è come allora tuda joia, tuda beleza .
Questa zona però, non me la ricordo, li in quel angolo avrebbe dovuto esserci quella stupenda chiurrascheria , dove si mangiava una carne da favola, altro che quella piemontese della Coop.
Non c’è più? e quel campetto spelacchiato? Sono sicuro non c’era; Si cosa vuoi ragazzino” eu no falo brasilero” , ah una sigaretta, toh tieni tutto il pacchetto, menino, ma attento che alla tua età non ti fa mica tanto bene.
Cos’è questo rumore alle mie spalle? Un colpo secco, delle grida, sarà un anticipo del carnevale.
Brr, d’un tratto mi è venuto freddo, deve essere la brezza del mattino che sale dall’oceano.
Appena trovo una bancarella mi comprerò una bella felpa.
Non sento più le mani, cazzo neanche le braccia, sudo?
Mi gira la testa, mi cedono le gambe, devo fermarmi un momento.
Magari mi sdraio; tanto siamo a Rio, mica a Milano che la genti ti guarda male appena fai qualcosa che non devi.
Che strano, sento tutto il corpo formicolare come se mille mani mi toccassero, come se stessero cercando qualcosa su di me…
Che bello è proprio tutto come me lo aspettavo, come nella foto, come diciotto anni fa
Sono stanco, mi sento spossato, sudo?
Ora sento caldo, umido, appiccicoso, beh si sa siamo in Brasile, mica a Madonna di Campiglio.
Però, sono sdraiato a pancia in su ma non vedo il cielo azzurro, vedo tutto rosso… è normale siamo a Rio ogni giorno è un colore diverso, oggi sarà la volta del rosso.
A proposito che giorno è oggi? Ah si è lunedì.

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