"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

domenica 29 settembre 2013


CAMICIE



Tutto cominciò qualche anno fa, per via di una camicia che andai a comprare alla Rinascente. Lì conobbi Laura, sorriso caldo, scollatura profonda, parlantina sciolta. Cominciai ad acquistare una camicia dopo l’altra: collo alla francese, alla coreana, button down, slim fit, normal fit, polsino doppio, polsino semplice, tessuto Oxford, cotone doppio ritorto… ne avevo l’armadio pieno. E naturalmente avevo una nuova fidanzata, Laura, che sin dall’inizio, addocchiato il mio portafoglio, aveva deciso di non vendermi solo un autotreno di camicie, ma anche se’ stessa.
Non ci impiegai molto per capire che, da brava venditrice, il buon affare lo aveva fatto lei. Tempo due anni da che ci fummo sposati e si rivelò per quello che era: una terribile rompicoglioni.
Nel frattempo, però, ipnotizzato da quella scollatura e da un culo cui mancava solo la parola per essere più convincente, le avevo intestato tutto: conto in banca, immobili, quote azionarie.
Scoprii così che ci si abitua più facilmente ad una moglie rompicoglioni che all’idea di diventare poveri.
Per qualche anno instaurammo al classica routine un po‘ ipocrita delle coppie che convivono sopportandosi, per abitudine. Poi tutto finì, sempre per via di una camicia.
Ricordo che stavo cenando (vorrei dire che mangiavo un uovo in camicia, ma l’universo non è così attento ai dettagli) quando lei arrivò sbraitando e sventolando una mia camicia, con la classica macchia di rossetto sul collo.
Protestai, negai tutto, negai l’evidenza, con un’intensità che derivava soprattutto dall’idea del mio portafoglio titoli che mi salutava per sempre. Dovetti risultare convincente mentre urlavo che era assurdo, perché alla fine mi credette. Ed era davvero assurdo: le labbra della mia segretaria si erano sempre fermate ben più in basso del mio collo!
Però, se una moglie rompicoglioni si può ancora sopportare, una rompicoglioni, paranoica, gelosa e che per giunta ti tiene per le palle, proprio no.
Questo ci porta qui, cara Laura, a questa fantastica vacanza lontano da tutto e da tutti che avevo programmato da tempo. Che notte meravigliosa! Il motoscafo che si ferma tra le onde, cullati dal mare, le stelle che brillano in questo cielo senza luna, nessuno in vista per chilometri. Ti piace? Perché non rispondi? Forse perché sei chiusa in quel sacco di plastica, con la testa fracassata e l’ancora legata intorno? Va bene, allora è inutile discutere.
La prendo, la sollevo (il culo è ancora bello sodo) e le dico addio facendola scivolare nell’acqua scura.
Che peccato, che spreco!
Sì, perché in quel sacco nero, sporca di sangue, ci ho dovuto mettere anche la mia camicia preferita.  

mercoledì 18 settembre 2013

La piccola liberta'


Andavo in vacanza anche da piccola, quando ero una bimba e i miei genitori pensavano a tutto, sceglievano tutto dai miei vestitini ai miei divertimenti, alla mia felicità e alla mia tristezza.
Ero in balia di tutto il mondo ma mi fidavo e dormivo sonni sereni.
Non avevo paura delle fregature, di non trovare il mare bello, di mangiare male e pagare tanto.
Mi bastava solo sapere che in quel preciso giorno sarei salita sulla macchina del papa e avrei raggiunto un nuovo posto, con nuove facce, e tanti giorni diversi dai miei soliti giorni.
Viaggiavo davanti seduta tra mamma e papa perché i miei fratelli dovevano dormire.
Mi dicevano che ero grande e che potevo stare sveglia durante la notte, e io ero orgogliosa di essere considerata cosi’ e quindi per l’eccitazione stavo sveglia, e poi potevo parlare con i miei genitori senza che quelle pesti dei miei fratelli si intromettessero sempre dicendo stupidate a non finire, e a farmi arrabbiare.
Distraevano sempre la mamma che poi non capivo mai il perché, ma la prima sberla la rifilava a me.
Quando arrivavamo dai nonni ero sempre contenta.
Si preoccupavano tutti che avessimo sempre cose buone da mangiare, ma nessuno aveva tempo per stare con me, per giocare con me.
Io allora quando andavamo al mare stavo tantissimo tempo in acqua, tanto che il mio amico Lorenzo che ritrovavo ogni anno, non riusciva a starmi dietro, ad un certo punto mi diceva che aveva le dita cotte e le labbra blu e usciva.
Io quando il papa mi chiamava, facevo sempre finta di non sentirlo perché in acqua trovavo tante cose da guardare, mi sembrava tutto un mondo da scoprire in silenzio e in assoluta liberta’ senza che nessuno ti dicesse cosa fare e non fare, cosa non toccare…a volte infatti mi pungevo con i ricci cercando di prenderli  perché volevo copiare mio zio, oppure mi facevo pizzicare dai granchi..anche se poi ero diventata brava a prendere quelli piccini.
Un giorno di quelle vacanze, mi ero allontanata molto dalla riva e anche se vedevo che mio padre si sbracciava in piedi per segnalarmi che se aspettavo ad uscire  non mi avrebbe solo sgridato, scendevo e salivo da quello scoglio tutto ricoperto dal muschio, sempre con la paura di scivolare.
Facevo i tuffi e poi risalivo.Mettevo la maschera e di nuovo mi avventuravo alla ricerca di qualche animaletto da prendere o anche solo da ammirare…
Pero’ ad un certo punto la coscienza mi diceva che dovevo tornare a riva e anche il mio corpo che infreddolito, tremava.
Il mare era troppo agitato, le onde erano difficili da superare e cosi’ cominciai a bere.
Le forze erano decisamente scarse, ma mi mancava poco a raggiungere la riva.
A riva pero’ c’erano dei cavalloni alti quasi due metri e io che ero una bambina, e stremata per la difficile nuotata continuavo a uscire e rientrare sotto le onde..non riuscivo nonostante avessi raggiunto un punto per poter stare in piedi, a starci per farmi forza ed uscire.
Mio padre mi guardava e io gridavo chiedendogli di darmi una mano, che mi facevano male le gambe e che continuavo cadendo a sbattere contro i sassi.
Non mi aiuto’ ed io mi offesi moltissimo.
Quando riuscii finalmente ad uscire, lo guardai con tutto il risentimento che sentivo, e con gli occhi colmi di lacrime che pero' non avrei mai lasciato scorrere.
Forse dopo tanto tempo ho interpretato il comportamento di mio padre. Voleva dirmi che l’indipendenza ti fa sentire libero, ma devi essere consapevole che quando vuoi andare da solo in cerca di te e di quello che vuoi, qualcosa ti puo’ accadere,  e quel qualcosa lo devi saper affrontare sempre nello stesso modo, e cioe’ da solo.

Fatti incresciosi accaduti nel paese natio di Gianni Morandi

Uno splendido esemplare di mucca frisona dal peso approssimativo di 700 chili, in un pomeriggio assolato d'agosto stava brucando l'erba delle valli bolognesi, a 1400 metri d'altezza. Senza nessun preavviso l'animale senti' una fitta al cuore. in un lampo vide tutta la sua vita passargli davanti agli occhi, compresi i momenti felici trascorsi nella fattoria  in compagnia del toro Alfredo, quindi spiro', accasciandosi al suolo.
 essendo il luogo del decesso in pendenza, la mucca prese a scivolare verso il fondovalle.
il proprietario della mucca, il pastore Beppe, non si avvide immediatamente del dramma in corso inquanto intento a mandare messaggini erotici col telefonino a Teresa, una amica di sua moglie Pina, con cui intratteneva una relazione clandestina da sette anni. Teresa era una donna che durante gli amplessi  in preda all'eccitazione cantava  grandi successi degli anni sessanta, con una predilizione per il repertorio di Gianni Morandi, cosa che il pastore Beppe apprezzava tantissimo, essendo un appassionato di musica.
sua moglie Pinuccia invece non aveva nessuna predisposizione al canto, e durante gli sporadici episodi di sesso col marito spesso russava, oppure lavorava a maglia babbucce invernali per i nipotini.
L'erbivoro, nel frattempo, dopo un centinaio di metri di slittamento laterale aveva  preso a ruzzolare con grande energia, col suo campanaccio che batteva furiosamente, accompagnando il movimento sincronizzato delle zampe  che mulinavano in aria , sparivano, mulinavano, sparivano, mulinavano e sparivano sempre piu rapidamente, raggiungendo una velocita' ragguardevole non solo per una mucca, ma persino per un giaguaro.
Dopo aver divelto un muro di contenimento senza nessuno sforzo, la mucca si immise sulla stradina che portava al paese di Monghidoro, acquisendo ancora piu slancio.
Poco piu in basso il signor Gino guidava tranquillamente la sua Ape Piaggio, attrezzata per la vendita itinerante di abbigliamento da uomo. Era particolarmente soddisfatto perche aveva appena venduto una dozzina  di camicie di flanella a quadrettoni alla Pinuccia, roba che giaceva dentro una scatola di banane oramai da mesi, e in più ci era scappata una bella mezz'ora di sesso come piaceva a lui, con la Pinuccia che si faceva prendere a scudisciate nel sedere sdraiata su un covone di fieno.
 Era una vera bomba erotica quella donna, e in piu non cantava, cosa che invece sua moglie Teresa faceva continuamente.
Il signor Gino odiava la musica leggera, e in particolare odiava Gianni Morandi.
Da bambino, infatti, Gino aveva avuto come compagno di banco proprio il celebre cantante che con le sue enormi mani gli molava continuamente dei violenti coppini, facendogli sbattere la fronte contro il banco.
Il signor Gino era preso da questi pensieri quando senti'  alle sue spalle un frastuono assordante. Dallo specchietto retrovisore vide piombargli addosso un enorme massa informe tentacolare munita di campanaccio. Preso dal terrore il signor Gino schiaccio il piede sull' acceleratore. L'Ape Piaggio  schizzò in avanti impennandosi, col pover uomo che aggrappato al manubrio urlava a squarciagola mentre la mucca rotolante si avvicinava pericolosamente al mezzo. Sentendosi prossimo alla prematura scomparsa, il signor Gino chiese la grazia al patrono di Monghidoro, Santa Maria Assunta.
La mucca rotolante stava per travolgere il mezzo, quando un dosso non opportunamente  segnalato la fece decollare, superando l' Ape Piaggio in volo. Nel momento del sorpasso il signor Gino, alzando gli occhi al cielo, vide chiaramente la testa della mucca ruotare di 180 gradi, puntare gli occhi vitrei sui suoi, aprire la bocca e pronunciare questa frase:
Gino, pentiti.

Caso vuole che su quel tratto di strada fosse installato un autovelox. La foto che immortala il magico istante e' visionabile presso la sede della Polizia Municipale di Monghidoro, in via Matteotti 1.

Dopo aver sorvolato l'Ape Piaggio la mucca piombò sull'asfalto, rimbalzando  come una palla da tennis per una decina di volte, sfondò un guardarail e riprese a rotolare a grande velocità verso il fondovalle.
 Nella sua terrificante corsa la mucca incrociò il Dottor Ignazio, un uomo rispettabile con l'unico vizio della piromania. Teneva tra le mani una bottiglia colma di liquido infiammabile, ed era quasi pronto a lanciarla tra gli arbusti rinsecchiti quando fu investito in pieno dall'erbivoro, riportando varie contusioni, guaribili in una trentina di giorni, salvo complicazioni.
Il liquido si versò sull'animale, che prese fuoco immediatamente.
A monghidoro era in corso la festa padronale dedicata a Santa Maria Assunta, con tutte le vie della città addobbate a festa, e colme di bancarelle e visitatori in trepida attesa dell'ospite che sarebbe salito sul palco della piazza.
Il pastore Alfredo non si era accorto della scomparsa della mucca, e continuava beato a scambiarsi messaggini con la signora Teresa.
Il signor Gino era fermo al lato della strada, con le mani strette al volante in uno stato di trascentendenza mistica, dove  stava tenendo un intenso colloquio con Santa Maria Assunta, che gli stava consigliando  vivamente di finirla col sesso estremo, di  dedicarsi alla moglie, di sforzarsi di aprezzare la musica leggera e di smetterla di odiare Gianni Morandi.
La signora Teresa mentre rispondeva svogliatamente ai messaggini, vagava tra le bancarelle alla ricerca di memorabilia degli anni 60
La signora Pinuccia invece si stava spalmando una crema idratante Nivea sulle natiche, arrossate a causa delle violente scudisciate.

Gianni Morandi, solo nella sala comunale, si stava schiarendo la gola. Tra pochi minuti sarebbe arrivato il Sindaco, il Dottor Ignazio, che lo avrebbe accompagnato sul palco della Piazza di Monghidoro, suo paese natio, e dopo avergli consegnato le chiavi della città, lo avrebbe inivitato a cantare alcuni dei suoi successi. Osservò il paese dalla finestra e pensò agli anni dell'infanzia trascorsi tra quelle vie. Ricordò il suo compagno di banco, Gino, a cui mollava sempre dei violenti coppini. Arrossì di vergogna al pensiero. Se lo avesse visto sotto il panco gli avrebbe chiesto scusa. La verità era che Gianni Morandi odiava quel paese. C'era qualche cosa di maligno che si nascondeva sotto quell'atmosfera bucolica e pacifica, qualche cosa che gli faceva paura.
Il suo orecchio allenato alla musica fu allertato da uno strano suono.Era distante, ma si stava avvicinando rapidamente. Alzò lo sguardo verso la strada che portava al paese e la vide: un enorme palla  avvolta dalle fiamme che  a grande velocità puntava verso il centro della città. Una visione terribile, demoniaca. Gianni Morandi fece il gesto di aprire la finestra e avvertire la popolazione del pericolo, ma si rese conto che non avrebbe fatto in tempo, tutto era oramai inevitabile, quindi scrollò le spalle, si mise comodo
, e si preparò ad assistere allo spettacolo.