"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

lunedì 10 marzo 2014

Imprevisti tra il serio e il faceto

Quel giorno Riccardo arrivò a casa inaspettatamente prima di pranzo. Aprì la porta  e lo spettacolo che si presentò ai suoi occhi lo lasciò impietrito. Sua moglie Elena era avvinghiata a  uno sconosciuto  che aveva l’impudenza di continuare a stringerla a sé come se niente fosse, senza la minima intenzione di allontanarsi o di  giustificare la sua presenza.
E fin qui, di imprevisto c’è ben poco: ogni giorno centinaia di persone scoprono che la moglie (o il marito) ha un  amante e la cosa non fa notizia. Ma in questo caso la faccenda prese una piega ben diversa, alquanto imprevedibile : a un certo punto l’uomo, continuando a tenere Elena incollata al suo corpo, fece sbucare una mano sopra la spalla della donna e  in quella mano impugnava una calibro 38, con la quale fino a quel momento aveva tenuto sotto tiro la poveretta. "Non fare il furbo con me! – intimò a Riccardo  il malvivente  – Dammi tutti i soldi che hai nel portafoglio e apri la cassaforte  che sicuramente tieni nascosta sotto uno di quei quadri " aggiunse indicando la parete di fronte a lui.
Riccardo non si scompose. Con calma infilò la mano destra nella tasca dei pantaloni e… bang, bang: sparò due colpi di pistola dritto  davanti a sé. Il malvivente crollò a terra, fulminato con una precisione da cecchino. Anche Elena stramazzò sul pavimento.  Svenuta per la paura? Uccisa per sbaglio dal marito? No, centrata a tradimento dalla seconda pallottola sparata da Riccardo,  che dopo aver rimbalzato contro il muro  era andata a conficcarsi proprio nella sua coscia, all’altezza del femore, facendole sgorgare il sangue a fiotti.  
Passi per la tentata rapina, ma finire impallinata da un proiettile vagante che l’aveva presa di mira per sbaglio era proprio il massimo della sfiga!
Per fortuna l’ambulanza arrivò velocissima (un fatto  - anche questo -  davvero imprevedibile) e la donna venne soccorsa giusto in tempo per non  morire dissanguata. Tutt’ a un tratto, però, l’ambulanza cominciò a tossire come se fosse sul punto di decedere e si fermò. Un imprevisto davvero banale: era finita la benzina.  Ma i barellieri  non si scoraggiarono: caricarono Elena, con tanto di barella, sulle spalle, e volarono  a piedi al pronto soccorso dell’ospedale San Gennaro, che distava appena mezzo chilometro.
“Che giornata infernale” pensò fra sé Elena mentre la facevano entrare nella sala medica del pronto soccorso. Meno male che ora sono finalmente qua, al sicuro, e non corro più rischi. Elena non aveva fatto i conti con l’incuria del dottore di guardia,  più attento agli squilli del proprio  cellulare che alla sua paziente. E fu così che il deficiente versò sulla ferita  del disinfettante per i pavimenti al posto di quello  per le medicazioni, causando ad Elena una brutta ustione da prodotti chimici.
“Ci mancava anche questa!” urlò la donna esasperata. “Voglio andarmene subito da qua. Vi sollevo da ogni responsabilità, firmo tutto quello che c’è da firmare ma chiamatemi un taxi  e fatemi andare via.”
Qualche ora dopo, esausta ma assistita come si deve in un altro ospedale, Elena rifletteva sull’ accaduto. " Ma guarda te cosa mi è andato a capitare da quando, stamattina, ho aperto la porta pensando che fosse Alberto e invece mi sono trovata davanti quel ladro con la  pistola in pugno." Alberto, per inciso, era un tipo che Elena aveva conosciuto durante un happy hour e con cui  aveva intrecciato una relazione circa due settimane prima. Avrebbero dovuto incontrarsi da lei proprio quel giorno, ma sembrava sparito nel nulla.
Dall’ ospedale Elena aveva provato più volte a chiamarlo, però  il cellulare continuava a ripetere:  irraggiungibile. Lei non poteva saperlo, ma anche lui aveva avuto un imprevisto: era stato per ore, invano, ad aspettare l’amico Andrea,  ladro di professione. Con lui aveva architettato un piano perfetto: un furto a casa di Elena, alla quale era riuscito a strappare un tête-à-tête a cui si sarebbe presentato Andrea. L’amico, però,  non era più tornato ...vittima a sua volta di un imprevisto. 



giovedì 16 gennaio 2014

La notte in cui persi la verginità

La notte in cui persi la verginità, la mia macchina non voleva saperne di partire. Si trattava di una Fiat 127 color senape, già di proprietà di mio zio Giovanni, che mi era stata promessa sin dall’età di quindici anni, dato che ormai lo zio non la guidava più per via della cataratta. Per tre anni avevo pregato il Signore di distruggere la rimessa dello zio con un fulmine, un’inondazione o una qualsiasi catastrofe che mi liberasse da quell’obbrobrio a quattro ruote. Niente da fare, il giorno del diciottesimo zio Giovanni si era presentato a casa mia porgendomi le chiavi compiaciuto. Non so dire quanto venni sfottuto per quell’auto color cacchetta, ma alla fine fu proprio su quella che persi, per l’appunto, la mia verginità. La fortunata si chiamava Rosa, una generosa bellezza mediterranea che avevo conosciuto qualche sera prima a casa di Gigi il Califfo. Gigi si era guadagnato il soprannome perché imitava il modo di vestire della buonanima di Franco Califano: camice sbottonate e catenine d’oro, pantaloni a zampa e piedi scalzi. Dava certe squallide feste in un seminterrato che aveva ribattezzato “lo scannatoio”, anche se dubito che ci abbia mai combinato granché, laggiù. Per dirvi il tipo, possedeva tutta la collezione degli album di Fausto Papetti, quelli con le donne nude in copertina, che teneva strategicamente in bagno, essendo riuscito a convincere la madre che quello era l’unico ambiente con il tasso di umidità giusto per la conservazione dei vinili. Una parola di commiserazione va spesa per il destino di quei milioni di spermatozoi di Gigi, che videro come prima e unica cosa delle loro brevi esistenze la copertina di un LP di Papetti, per concludere poi la loro parabola (è proprio il caso di dirlo) spiaccicati sulla parete di ceramica di un cesso.
Ma sto divagando. Alla festa di Gigi, Rosa mi disse che potevamo vederci una sera al bar del paese e che, se avevo la macchina (eccome se ce l’avevo!) potevo poi riaccompagnarla a casa o magari ci facevamo un giro (eccerto che volevo fare un giro!).
Mi preparai meticolosamente: pattugliai tutti i viottoli di campagna per trovare un posto adatto all’imbosco e fregai una pila di giornali vecchi a mio padre, per oscurare i finestrini, perchè Gigi mi aveva spiegato che così non erano atti osceni e si fregavano pure i guardoni. Gigi fu prodigo di consigli: mi disse che rischiavo di durare poco, la prima volta, e che perciò  avrei dovuto recitare mentalmente la formazione dell’Italia, magari quella dei mondiali del ’74, così distoglievo di più la mente.
“Ma chi cazzo la sa la formazione del ‘74?”, protestai.
“Va be’, allora quella di adesso: Zoff, Gentile, Cabrini…”
“La so’, la so’” lo fermai.
“E ce l’hai il goldone?”
“Oh cazzo…”
Feci 25 chilometri per essere sicuro di non incontrare nessuno che mi conoscesse in farmacia, comprai uno spazzolino da denti, una scatola di cerotti e due confezioni di aspirina, effervescente e non, prima di trovare il coraggio di indicare, senza proferire parola, l’espositore dei profilattici. Il farmacista alzò gli occhi al cielo, ma la missione era compiuta.
Tutto era pronto, salvo quella cacchio di macchina che non voleva partire. Dovette spingerla mio padre, mentre io smadonnavo tirando lo starter, e nel contempo pregavo silenziosamente, senza preoccuparmi della contraddizione. D’altra parte mi accingevo a compiere peccato mortale, e allora perché i santi avrebbero dovuto aiutarmi? Comunque poi l’auto partì e lascio a voi le implicazione teologiche.
“Ma cosa ci fai con tutti quei giornali?” fece mio padre accennando al sedile posteriore.
“Sono per una ricerca… per la maturità”
“Una ricerca con il Corriere dello Sport??”
“Sìssì… poi ti spiego” e sgommai via.

La serata andò alla grande, non sto a raccontarvi i dettagli che non sarebbe fine. Ebbi solo qualche difficoltà con il gancio del reggiseno, quel coso deve averlo inventato un prete.
Rosa la frequentai per un po’, poi si mise con uno che faceva il pianobar e lo chiamavano Pasqualino Tre Gambe e davanti a una cosa, anzi a un coso, del genere, che ci potevo fare?
L’anno scorso la incontrai per caso e solo allora ebbe il coraggio di chiedermi una cosa che la turbava da quella sera:
“Ma scusa tu quella sera, quando sei… sì insomma, quando sei venuto, hai davvero gridato: SCIREA!?”