La vedo arrivare da lontano. Si è seduta su quella panchina. E' insolitamente riccia oggi, o almeno così mi appare. E' come l'avevo sentita nelle decine di pagine che abbiamo scritto insieme. E' esattamente come l'avevo percepita e come mi ero ripromesso di non immaginarla. E' una giornata grigia, i colori sono tutti spenti e solo il nero contrasta con il bianco sporco di questa Milano invecchiata nei palazzi e nell'anima di chi la vive. Gente che ha fretta, mentre lei non ne ha. Lei ha vinto anche il freddo di questi giorni e si è seduta su quella panchina ficcata lungo un vialetto che non ha un nome, e a guardarlo bene non aveva nemmeno un perchè fino a pochi minuti fa. Sorride ora. Riesco a vedere quelle labbra disegnare un sorriso che troppe volte ho evitato di guardare perchè il non vedere lascia curiosità invadenti che si insinuano nella mente. Ora invece la vedo sorridere, piena. C'è un vago profumo di imbarazzo. E nessuno dei due sa perché. Sappiamo entrambi che è stupido, ma ci piace così. Lei trattiene a stento un sorriso quando ironizzo sulla differenza d'età e poi si fa seria, come ad aver colto finalmente la portata dell'umanizzazione, come la chiamava lei. Umanizzazione di qualcosa che in realtà è già umano, perchè è fatto di parole. E la parola è umana, solo e soltanto umana. Ma la carne, l'odore, il sapore, il suono che vibra nell'aria fredda e percuote i miei timpani, le labbra di lei che pronunciano finalmente quelle parole che avevo solo sentito, ora colgo la vera umanizzazione di quello che insieme abbiamo messo in piedi.
Mi siedo vicino a lei e accendo una sigaretta. Mi osserva con la testa leggermente inclinata e disapprova con tutta se stessa, prova ad indossare un'espressione seria e minacciosa, ma non resiste che per pochi secondi. E' tutto leggero, tutto delicato, tutto maledettamente semplice...come in un film in bianco e nero...
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