"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater
mercoledì 29 giugno 2011
CARNE E SANGUE di Michael Cunningham
Michael Cunningham , nato in Ohio nel 1952 e vissuto in California, è noto per avere scritto “Le Ore”, da cui è stato tratto il film nel 2002 ,con Nicole Kidman,Meryl Streep e Julianne Moore.
Del 2002 è anche il suo romanzo, meno noto ma comunque intenso e bellissimo, “Carne e sangue – una famiglia americana, dal 1935 al 2035”.
Saga familiare, in cui si vive la storia cruda e fragile della famiglia Stassos, la fatica e il desiderio di vivere in una famiglia con uno status sociale “alto”, dei loro cento anni nel suolo americano.
Si narra la vita del capostipite di origine greca Costantine, che fa fortuna passando da manovale ad imprenditore edile, e di sua moglie Mary, algida e debole creatura di origine italiana, dei loro figli Susan, Billy e Zoe e di tutte le loro vicissitudini per tentare di avere una vita serena in una sorta di precario equilibrio. Seguiamo con interesse la bella e responsabile Susan, il figlio “scomodo” e solo apparentemente fragile Billy e Zoe, la figlia più piccola e più sensibile. Il libro è composto dall’alternarsi di brevi e lunghi capitoli il cui titolo è un anno, un anno significativo di crescita e scoperta per uno dei protagonisti appartenenti alla famiglia e non: si comincia con il 1935 (l’infanzia povera di Costantine) e si termina con un ultimo breve capitolo nel 2035, quando una conversazione della nuova generazione fa capire che comunque l’amore famigliare, anche se con difficoltà, riesce a sopravvivere. Siamo tra i loro pensieri e possiamo intuire attraverso il racconto di come la famiglia si stia rompendo, modificando e infine aprendo a nuove alleanze. Leggiamo la loro vita difficile, “la carne e il sangue”, le passioni forti, la loro fatica per essere accettati, riconosciuti, amati.
Fin dalle prime pagine il lettore viene catturato dalla scrittura sensibile e ipnotica di Cunningham, che scava nei suoi personaggi rendendoceli così veri nelle loro inquietudini e paure, nelle loro fugaci gioie e solidi dolori, che leggendo “noi siamo con loro”, vicini alle loro vite, senza commenti e giudizi e quando ce ne stacchiamo ne sentiamo la mancanza. Pochi scrittori come lui hanno la sensibilità e la bravura di trasmetterci tutto questo
Tratto da Le Beatrici di Stefano Benni
e il profilo tuo da Dea,
mi consumo nell'idea,
di poterli riveder.
Lei - Sono azzurri ora i miei occhi,
poiché ho le lenti a contatto,
ed il naso l'ho rifatto,
deh riconoscimi o mio amor.
Lui - Piû non vedo la tua bocca
piccolo biocciolo di rosa
che baciavo voluttuosa.
E il tuo virginale seno
che tenevo in una mano
or mi sembra assai più grande
quattro volte crebbe almeno.
Lei - Oh mi turba quel ricordo
ma son io sempre la stessa
la mia bocca è un po' più grossa
ed il seno mio trabocca.
Mi cambiò il silicone
ma non cambiò mai la mia passione.
[cantano] Oh, il nostro amor non invecchierà [mai
e insieme a lui non invecchieremo noi
anche se non so più chi sono
e non so più chi tu sei.
Lei - Il to cuore batte in petto,
del tuo ardore sento il suono
ma non riconosco il tocco
della tua virile mano.
Lui - Il mio cuore vecchio e stanco
subì un abile trapianto
e la mano non è mia
è sintetica, è una protesi.
Fu recisa in un duello
nel giardin di Fontainebleau
un chirurgo la riattaccò.
Lei - Oh destino sciagurato
così tanto ci ha cambiato.
Aspettando in speme e pianto
anch'io subii un trapianto
e cambiai tre volte sesso,
ma il mio amore per te è lo stesso.
Lui - Oh destino sciagurato
così tanto ci ha mutato.
Più nasconderlo non posso
ti dirò la verità.
Il tuo amore no, non sono
Il tuo amor morì soldato
ma una goccia del suo sangue
fu clonata ed io son nato
copia esatta e replicante
del tuo antico dolce amante.
E l'amor restò uguale
non respingermi anche se
io non son l'originale.
Lei - Questa verità segreta
il mio cuore indora e allieta
Neanch'io son la tua amata
ma una copia assai riuscita.
Lei la tisi consumò
io polmoni non ne ho.
O mio ben fai ciò che vuoi
con i materiali miei.
Il mio cuore tuo sarà
ai voleri tuoi mi arrendo
io ti giuro fedeltà
ecco il mio telecomando.
[insieme] il nostro amor non invecchierà mai
e insieme a lui non invecchieremo noi.
[lei inizia a perdere la voce, come se le si scaricasse la pila, come un disco a trentatré giri]
Lui - Mimì... Violetta [al pubblico] la pila non le lascia... che poche ore...
Lei - Amore... muoio... mi scarico... maledetti!
Povera vita mia,
ero ancora in garanzia.
Se mi chiamassi (Pedro Salinas)
se mi chiamassi.
Io lascerei tutto,
tutto io getterei:
i prezzi, i cataloghi,
l’azzurro dell’oceano sulle carte,
i giorni e le loro notti,
i telegrammi vecchi
ed un amore.
Tu, che non sei il mio amore,
se mi chiamassi!
E ancora attendo la tua voce:
giù per i telescopi,
dalla stella,
attraverso specchi e gallerie
ed anni bisestili può venire.
Non so da dove.
Dal prodigio, sempre.
Perché se tu mi chiami
- se mi chiamassi, sì, se mi chiamassi -
sarà da un miracolo,
ignoto, senza vederlo.
Mai dalle labbra che ti bacio,
mai dalla voce che dice:
“Non te ne andare”.
Le mille e una poesia di ArKaVaReZ
Con poche parole si può raccontare una vita intera..
come una cometa
(è come una persona sincera, in mezzo a tanti bugiardi. Disgustata, scompare all'istante)
la sua bellezza fa sognare,
e acceca il nostro cuore.
(siamo volubili davanti alle cose belle, e avvolte ci rendono stupidi)
dal cielo innevato,
ma il falco vola ancora.
(Nessun nome, non si può commentare la natura, lei sa sempre quello che vuole
e fa la cosa più naturale. Cerca.... Come noi tutti)
Ombra
eterna compagna,
dalla luce fuggi,
e da dietro mi segui.
(Vogliamo essere buoni ma non lo siamo, vogliamo diventare cattivi
e in fondo al cuore ci scopriamo buoni)
ArKaVaReZ
lunedì 27 giugno 2011
C'e' Londra tra noi
domenica 26 giugno 2011
Omicidio in Amazzonia : appello generale
sabato 25 giugno 2011
Occhio della dea: CAPITOLO I
Nirvana
Io e Claudio stavamo strimpellando con la chitarra canzoni dei Nirvana. Avevamo sì e no quattordici anni. Fuori nevicava.
Facemmo una pausa, mi si erano formati dei piccoli graffi sulle dita a furia di pizzicare le corde.
Suonare era diventato troppo doloroso.
- Passami una sigaretta.- mi disse Claudio
- Ma l'hai appena spenta!- gli risposi
- Zitto e dammene una!-
Mi allungai verso il pacchetto di Marlboro rosse morbido, ne accesi una e gliela passai. Poi ne accesi una per me. Non mi piaceva fumare. Ma Claudio diceva che se volevo diventare una Rockstar dovevo fumare, e prima o poi avrei dovuto provare tutte le droghe del mondo. Io gli credevo. Diceva tante stronzate ma sono sicuro che quando me le diveva ne era davvero convinto.
- Come fai a fumare così tanto? A me fa male la bocca!- ammisi
- Come sei delicato. Dai riprendiamo a suonare- mi disse mentre tirava la sigaretta.
A un certo punto della canzone stecco la nota. Fece un tiro e mi chiese se sapevo come era morto Kurt Cobain.
-Si è sparato mentre era imbottito di droga!- era davvero andata così.
-Secondo te ha fatto male? Cioè è stato doloroso?- mi chiese.
Non aspettò la mia risposta e ricominciò a suonare da dove aveva steccato. La cenere si stava accumulando sulle nostre sigarette. Io la feci cadere con un piccolo colpo di dita dentro una lattina di coca che avevamo lasciato lì. Claudio continuò a tirare finché non cadde da sola sulla chitarra. Rimase a guardare quella rimasta tra la prima e la seconda corda.
- Sai che mia madre è morta vero?- mi chiese
- Sì certo.-
- Sai, l'ho praticamente uccisa io.-
Io che nel frattempo avevo ricominciato a suonare mi fermai e gli dissi di smettere di dire stronzate.
- Cioè, non l'ho uccisa come pensi tu! Con una pistola o un coltello! E' morta nel farmi nascere-
Dev'essere dura, pensai. Chissà cosa si prova a sapere di aver ucciso la propria madre, gli chiesi.
-Te lo spiegherò presto- mi disse.
Posò la chitarra per terra e abbandonò la stanza. Ritornò con due birre. Stappo la prima e me la diede, nella seconda ci mise il suo mozzicone dentro e iniziò a bere.
- E disgustoso!- mi disse.
Gli chiesi perché l'avesse fatto, lui scrollando le spalle – L'ho visto fare in un film, volevo provarlo anch'io!- rispose.
- Tu sei scemo... Davvero, cazzo!-
Si mise il medio in bocca e strappò un piccolo callo.
Riprendemmo a suonare. Due pezzi di fila. Poi ci fermammo per bere.
- Me ne passi un'altra?- mi chiese Claudio.
Come prima presi due Marlboro dal pacchetto e le accesi, una per lui ed una per me.
-Mi devi spiegare come fai a fumare così tanto!- dissi
Senza rispondermi riprese a suonare. Si fermò nel sentire il padre, Marco, battere sulla porta e dire qualcosa.
-Se fa tutto sto chiasso non mi sento neanche suonare.- mi disse sorridendo.
La porta si spalancò, facendo uscire tutto il fumo. Suo padre non entrò neanche in stanza, rimase sulla soglia bestemmiando e dicendo di non fare casino, che ormai era tardi. Io nascosi la sigaretta e feci un sorriso di circostanza. Richiuse la porta lasciando nell'aria della stanza una ventata di grappa. Il signor Marco puzzava sempre di grappa.
- Prima cosa mi hai risposto su Kurt? Sul fatto se gli ha fatto male spararsi.- mi chiese Claudio.
- Non ti ho risposto, hai ripreso subito a suonare.-
- A già.- disse mentre stava già rimettendo la chitarra nel fodero. Io feci lo stesso.
Claudio abbandonò la stanza con la scusa di prendere qualche altra birra. Lo sentii gridare qualcosa a suo padre, qualcosa di brutto come '' non puoi permetterti di comportarti così'' e ''sei una persona schifosa''. Al che il padre rispose qualcosa ma non riuscii a capire cosa dicesse.
Claudio tornò con una confezione da sei di birra. Gli chiesi se non gli sembrasse di aver esagerato, lui mi rispose con un' altra scrollata di spalle e mi passò la terza birra della serata.
Arrivati a fine confezione ne prese un altra. Io mi fermai, avevo già la testa pesante, lui continuò
fino a finirle tutte. Mentre beveva mi stesi sul suo letto a fissarlo, giocando con le custodia dei suoi cd, facendoli roteare tra pollice e medio, mi stavo per addormentare quando riprese il discorso di sua madre. Non me ne aveva mai parlato prima ma ora sembrava pronto a lasciarsi andare.
Lo ascoltavo con gli occhi chiusi, un po' tra il sogno e la realtà, quando mi disse- Volevi sapere come ci si sentisse a uccidere la propria madre? Beh apri gli occhi. Ti farò vedere quello che mi passa per la testa ogni volta che ci penso.-
Riaprendo gli occhi lo sentii mugugnare. Ci misi un po' a mettere a fuoco la sua sagoma. La sua sagoma ricoperta di sangue.
Claudio era lì davanti a me, con la birra tenuta a fatica in una mano e nell'altra una sigaretta, mentre dai polsi gli sgorgava una quantità immensa di sangue.
Rabbrividii. Sapevo per certo che sarebbe finito male. Ma non mi aspettavo un suicidio così plateale.
- Cosa cazzo stai facendo?!- gridai.
Lui, come ogni volta che faceva una stronzata, sorrise. - Sai credo che Kurt Cobain non abbia sofferto. Io sento appena appena un fastidio al polso. Però così ci vuole troppo a morire- si fermo a riprendere fiato, parlare gli costava molta fatica- Ha fatto la scelta giusta sparandosi in bocca!-
Fece un sorso di birra e tirò dalla sigaretta. A ogni movimento delle braccia schizzava sangue per la stanza.
-Mi metteresti il disco In Utero, traccia 4?-
Lo feci. La canzone era Rape me, ''violentami''. Non so come mai ma non riuscivo a capire quello che stava succedendo, in un certo senso credevo di stare ancora dormendo.
Mi disse di alzare il volume, che non riusciva più a sentire bene.
- Alza, sento solo un ronzio e il sangue pulsare nei timpani. Ora fa un po' male! Alza e dammi una mano a bere. Non mi si muove più la mano. Alza e vieni!-
Ubbidii. Il volume era assordante. Stappai una lattina di birra e gliela appoggia alle labbra. Lui fece cadere la testa all'indietro, come se il peso della lattina gli avesse rotto l'osso del collo. Gliela cercavo di tenere dritta, la testa, mentre, a forza, gli facevo ingurgitare la birra. Una volta finita ne stappai un'altra e gliela diedi.
Vedevo la birra formare la schiuma nella sua bocca e poi cadergli dai lati delle labbra, riunendosi all'altezza del mento e cadere nella pozza di sangue ai nostri piedi.
A quel punto entrò suo padre, tra una bestemmia e l'altra ci diceva di staccare la musica. Fu dopo aver spento lo stereo che si accorse di suo figlio. Messo in un angolo, in una pozza di sangue diluito con la birra e qualche filtro di sigaretta, con gli occhi e la bocca socchiusi, la sua testa fra le mie braccia nel tentativo di farlo bere il più possibile.
Gridò. Marco gridò e bestemmio. Poi si scagliò su di noi. Prendendomi per la maglietta mi sbattè per terra. Mi ritrovai le mani e la faccia sporche del sangue di Claudio.
Se è un sogno, mi dissi, sono totalmente privo di buon gusto.
Provai a togliermi il sangue dagli occhi usando il dorso della mano. Rivolsi lo sguardo al signor Marco che prendeva a sberle suo figlio in uno stupido tentativo di farlo rinsavire. - Idiota, perché l'hai fatto? Idiota. Idiota. Idiota idiota idiota- ripeteva mentre picchiava sua figlio, con una scia di saliva che gli si agitava dalla bocca ad ogni suo movimento di capo.
Ma ormai era tardi, Claudio era morto.
Marco con gli occhi vitrei si avvicinò a me. Mi diede una sberla. Sentii il sapore ferreo del sangue in bocca, sentii dolore.
Solo allora capii: non era un sogno.
Avevo appena assistito alla morte del mio migliore amico.
Le gambe mi tremavano, il cuore rallentò e sentii come se dalla mia testa venissero strappati fuori tutti i pensieri.
Il signor Marco uscì dalla stanza, lo sentii chiamare l'ambulanza e raccontare con voce calma tutto quello che era successo.
Mi avvicinai alla carcassa di quello che fino a pochi attimi fa era una persona e gli misi una mano nella tasca anteriore destra dei Jeans. Frugai per un po' ma alla fine trovai quello che cercavo: il suo plettro giallo con lo smile. Glielo avevo regalato quando iniziò a suonare
Presi l'ultima birra rimasta la aprii e ne feci un sorso. Passai la mano tra i capelli di Claudio, gliene strinsi una ciocca in modo che la sua faccia fosse rivolta verso la mia- Questo lo tengo io, a te direi che non serve- altro sorso- e grazie per avermi spiegato quello che sentivi!-
Abbandonai la casa.
Per la strada lasciai impronte rosse sulla neve fresca, sentivo i miei vestiti, nei punti umidi di sangue, ghiacciati. Arrivato a casa mi feci un bagno, grattando col sapone tutte le piccole macchie rossastre e viola rimastemi sul corpo. Uscito dalla vasca senza neanche vestirmi mi diressi in stanza a suonare con una sigaretta in bocca.
venerdì 24 giugno 2011
Triste poesia N.2
Ma penso sia meglio dirsi addio
Ora: Capuccetto Rosso e il Lupo Cattivo
giovedì 23 giugno 2011
triste poesia n.1
scrisse Elsa Morante
Fimmene,fimmene ca sciati allu tabaccu
mercoledì 22 giugno 2011
Il fuoco dentro
Giovanni Andreoli è nato ad Atri il 22 luglio 1966. Laureato in Giurisprudenza, esercita la professione di avvocato civilista. Vive ad Alba Adriatica (TE), ed è padre di due figli.
Ha scoperto la scrittura creativa nel 2009: il romanzo Il fuoco dentro è la sua prima prova narrativa.
lunedì 20 giugno 2011
Facciamo il ponte sullo stretto di Messina
domenica 19 giugno 2011
Cos dell'altr mond!
Protagonisti: