...caramelle alla menta...
Salgo sulla macchina, inserisco la retromarcia ed esco dal cancello. Le vacanze sono finite ed è ora di tornare a casa. Mia madre mi saluta, ha gli occhi lucidi. Dice che rompiamo, che invadiamo casa sua, ma alla fine quando andiamo via, soffre, come me, che la lascio davanti a casa e ancora la vedo con la mano alzata, nello specchietto retrovisore, mentre mi allontano.
Quante partenze! La guardo ancora e ci rivedo mia nonna, quando mi salutava e mi raccomandava di andare piano, di chiamarla quando arrivavo. Rimaneva lì nella strada finchè non scomparivo dietro la curva.
Mia nonna abitava nella casa a fianco a quella dove adesso vive mia madre. Era una gran donna. Luigia Carelli, era il suo nome, ma non so perchè tutti la chiamavano Ginetta, anzi la nonna Ginetta.
Quando arrivavo e suonavo il campanello mi appariva sul terrazzo di casa con quei suoi vestitini con strane fantasie, i capelli bianchi e sempre le braccia aperte, pronte ad accoglierti: "Sei arrivata Nini, hai mangiato? La vuoi almeno una caramella?".
Mia nonna era del 1913 , quando è morta aveva novantanni. Io l'ho sempre vista vecchia, ma era avanti, moderna come nessuno. Quando una nostra parente, già quarantenne, dopo il secondo divorzio, si era "accompagnata" ad un'amica, di fronte all'indignazione di molti, mi aveva detto con serenità:"Chevvoi che sia, tanto un dura, la fidanzata è troppo giovane."
Mio nonno, Beppino, la faceva impazzire. Era un brontolone e un prepotente. Ogni tanto la sentivo gridargli dietro "Va all'inferna e crepa da solo". In realtà lei senza il suo Beppino non ci sapeva stare. Lui era sempre stato bello e nonostante gli anni si sentiva ancora così. La mattina la faceva correre su e giù per le scale. La camicia non era mai perfetta e la riga dei pantaloni da ripassare. Era un assillo. Una volta mi aveva confessato che avrebbe voluto annegarlo nella vasca, ma poi aveva sorriso e mi aveva detto:"Ma un posso". "Perchè gli vuoi bene nonna!" "No, fa la doccia!".
Era troppo simpatica e profumava sempre di borotalco, che trovavi sparso ovunque nella sua camera da letto. Quando ero piccola dormivo con lei, nel suo lettone, insieme a mio fratello e mio cugino. La nonna e il nonno avevano sempre dormito in camere separate accusandosi a vicenda di russare.
La nonna ci metteva tutti a letto con lei, una spolverata di borotalco e la caramella di menta. Altro che fluoro; ci ficcava una caramella in bocca per conciliare il sonno e farci smettere di parlare e ridere. Non so come sia successo che nessuno di noi non si sia mai soffocato nel sonno. La nonna diceva che avevamo l'angelo custode e quindi potevamo stare tranquilli.
Quando sono cresciuta e ho cominciato ad uscire la sera la nonna mi dava le chiavi per rientrare, ma il nonno metteva i chiavacci alle porte per controllare se tardavo. Io e lei avevamo studiato un piano. Se tornavo tardi e trovavo il chiavaccio mi arrampicavo fin sul suo balcone e bussavo alla finestra.
Lei mi faceva entrare e io sgattaiolavo nella mia stanza. Alla mattina il nonno chiedeva a che ora ero tornata e come mai non mi aveva sentita.
"La bimba è tornata presto". Era sempre dalla mia parte.
Un'estate il nonno, che non era mai uscito di casa senza prima passarsi il bianco biricchino sui baffi e lavarsi i capelli, ha dato fuori di testa ed è uscito in mutande blaterando di dover andare non so dove. In poco tempo ha smesso di camminare e di mangiare. All'infermiera che gli portava il pranzo diceva: "Signorina mi spiace, ma ho prenotato da Bombetta, tra poco arriva la macchina a prendermi". Da Bombetta, un famoso ristorante, mi ci portava da bambina e faceva prepare l'aragosta. E' durato poco, con la fine di giugno se n'è andato.
La nonna, che diceva sempre che sperava morisse presto perchè era una carogna, si è ammalata subito dopo. Una mattina d'agosto, quando mia mamma è andata a svegliarla per la colazione, ha detto che non poteva mangiare perchè era già morta. Quando siamo riuscite a convincerla che non era morta ha voluto che preparassimo il vestito per il suo funerale e scegliere il foular da abbinare, accessorio che per lei non poteva mancare. "E' venuto Beppino e mi ha detto che mi aspetta. Devo andare".
Beppino ha sempre dettato legge nella vita della Ginetta e infatti la mattina dopo se n'è andata.
"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater
lunedì 22 aprile 2013
I sogni di cartone
C’e’
ragazzo al finestrinooo,
gli occhi verdi che sembrano di vetro..corri e ferma quel treno fallo tornare indietro…
Ecco il mistero,
sotto un cielo di ferro e di gesso
l'uomo riesce ad amare lo stesso
e ama davvero
senza nessuna certezza
Che commozione che tenerezza
gli occhi verdi che sembrano di vetro..corri e ferma quel treno fallo tornare indietro…
Angela l’hai cucinato
bene questo capretto ..e pensare che io e Tonino non abbiamo mai mangiato il
capretto al paese, perché nostra madre
lo faceva cresceva e poi diventava un
nostro amico.
Mi siedo sul divano
sorseggiando un bicchierino di amaro e penso a come lo portavamo in giro come un cane quel
capretto e lui sembrava felice perchè saltellava intorno a noi come volesse
giocare…
Un giorno mia madre mi
chiese di ammazzarlo per venderlo al macellaio visto che nessuno di noi
l’avrebbe mangiato..
Non dormi tutta
la notte perché vedevo continuamente la
scena di un uomo grande senza volto che affondava il coltello nel mio cuore ,
un vero incubo.
Non ho mai eseguito
l’ordine di mia madre e lei non me lo chiese più.
Ero un figlio strano
diceva che non ero mai contento perché sognavo troppo .
A 16 anni facevo
l’operaio in un’azienda metalmeccanica di Bari.
Era il 1956 un periodo
d’oro in Italia ma non dov’ero nato io…a casa mia se non eri figlio di un
avvocato o di un dottore andavi in fabbrica oppure a fare il contadino. Ma mio
padre non voleva perché dovevamo imparare un mestiere io e i miei fratelli
senza arrivare la sera a casa stanchi
come i buoi.
Fumavo e sognavo le
macchine da corsa e la Juventus, ma non le avrei trovate al mio paese.
Allora mia madre un
giorno dopo l’ennesima lite mi compro’ un biglietto e mi mise su un treno
diretto a Milano con un indirizzo e una mozzarella in una valigia di cartone.
Mi è sempre
sembrata indistruttibile quella valigia
perché nei rari viaggi di ritorno era sempre stracolma di ogni genere di cose,
compresi pesci che arrivavano sempre marci e puzzolenti ; Le ero affezionato
perché con lei mi portavo a casa il cuore della mia famiglia.
Era fredda Milano, non
mi bastavano i vestiti che avevo portato e mi mettevo due o tre maglie una
sull’altra e poi la giacca il cappello e la sciarpa, cose che non avevo mai
indossato.
Ma soprattutto era infinitamente
grande perché sui tram percorrevo decine e decine di kilometri al giorno per spostarmi da una
zona all’altra sbagliando continuamente la direzione.
Cercavo lavoro nelle
carrozzerie e lo perdevo subito appena dopo la presentazione..”Buongiorno
scusate cercate un lavorante?” e la risposta era sempre la stessa “va a ca tua
terun”.
Un giorno, sempre alla
ricerca del posto di lavoro, invece di mandarmi via mi proposero di dare una
dimostrazione pratica di quello che sapevo fare ed io mi giocai bene le mie
carte e tirai su quel parafango tanto
bene che sembrava nuovo.
Dal giorno dopo Iniziai a lavorare in quel posto, dal signor
Giancarlo.
Li conobbi Augusto un
ragazzo napoletano che si era trasferito da un anno e sorrideva sempre, aveva i denti bianchi come
la luna.
Nelle pause fumavamo
insieme, non facevamo lunghe conversazioni
ma non era necessario perché ci bastava farci compagnia.
Solo una sera ci
raccontammo un po’ di noi e delle nostre famiglie e di quello che avremmo
voluto fare a Milano. Augusto mi disse che faceva fatica a mandare i soldi alla
mamma che aveva altri 4 figli .Lui aveva
solo 16 anni. Anche la zia dove abitava,
voleva dei soldi e a lui rimanevano pochi spiccioli
in tasca.
Parlava e sorrideva
come sempre, ma mi si spense il sorriso quando mi disse che andava a rubare le
macchine per smontare i pezzi che gli commissionavano alcuni carrozzieri
disonesti.
Fumai parecchio quella
sera, quando mi coricai nel letto i polmoni erano stanchi.
Dopo un paio di mesi
Augusto mi confessò che aveva paura perché aveva la
sensazione che
qualcuno l’avrebbe scoperto e denunciato.
Una mattina non venne
al lavoro e non lo vidi mai più. Feci fatica ad abituarmi alla sua assenza
anche se avevo sempre in tasca il suo cornetto “scacciasfiga”,
Mi sentivo solo e il
freddo e le giornate buie dell’ inverno
mi sembravano insopportabili.
Un giorno un cliente che venne a ritirare la
sua macchina lucida e fiammante, mi
disse “Francesco tu sei tifoso della juventus vero?”
E allora visto che sei
stato cosi’ bravo a sistemarmi la macchina ti voglio fare un regalo.. domani
pomeriggio vieni con me che ti faccio conoscere qualche calciatore della tua
squadra del cuore”. Continuavo a chiedermi se avevo sentito bene e se non avevo
fatto solo un bellissimo sogno.
Nell’attesa mi ero fumato
10 sigarette mi tremavano le gambe.
Quando me li trovai
davanti non mi usci la voce e strinsi la mano a Causio, Sivori, Boniperti e un portiere dal
grande futuro Dino Zoff…..mi sembravano
delle divinità perché erano alti e avevano dei fisici eccezionali.
Da quel giorno Milano
mi fu più simpatica, iniziai ad amarla un po’, mi aveva fatto un regalo
inaspettato, mi aveva reso felice, e fu
la prima volta nella mia breve vita.
Ecco il mistero,
sotto un cielo di ferro e di gesso
l'uomo riesce ad amare lo stesso
e ama davvero
senza nessuna certezza
Che commozione che tenerezza
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