Erano giorni che la
osservava, attendeva paziente un segno, l’aveva chiusa in quella stanza dove il
freddo e il buio toglievano il respiro, era quasi certo che il tempo di
prendersi il suo godimento, dopo tanto attendere, era ormai arrivato. L’aveva
spiata, giorno dopo giorno cercando di penetrare il suo mistero. Finalmente la
toccò, quello che sentì sotto la pressione delle sue dita lo convinse che il
momento era giunto.
La prima coltellata
produsse un taglio netto, la carne si divise in due lembi di un rosso vivo che
destarono ancor più il suo desiderio, irresistibilmente portò il secondo
fendente così profondo che la lama arrivò fino all’osso.
La sensazione del metallo
sulla dura superficie gli provocò un fremito lungo la schiena, fece forza
cercando di staccare la carne dalla costola ma quella maledetta opponeva
resistenza, non ne voleva sapere, allora estrasse il coltello e lo infilò da
dietro fendendo i muscoli della schiena, più duri, tanto che dovette spingere
il ferro verso il basso cercando di ottenere un risultato decente.
Nulla da fare.
Le ossa scoperte e tenute
insieme da pochi muscoli filamentosi non volevano separarsi e gli rendevano
difficoltoso portare a termine quello che si era prefissato. Lo spettacolo
sotto i suoi occhi cominciava a provocargli un ribrezzo che saliva dal
profondo, si trovava così inetto che la rabbia gli stringeva la bocca dello
stomaco in una morsa feroce e questo non era assolutamente quello che
desiderava. Desiderava finire al più presto ripulirsi dal rosso del sangue e
finalmente trovare riposo.
Si decise, prese dal
cassetto la mannaia dalla lama scintillante e con un colpo secco e preciso
terminò quell’opera d’arte.
Si! Un’opera d’arte!
Ottocento grammi di carne succulenta
che ora avrebbe potuto finalmente mettere sulla griglia, cinque minuti per
parte, non di più, altrimenti tutto quel lavoro sarebbe stato inutile.
Luigi
Zamproni
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