Sentivo che
era una fuga la mia anche se in quella casa non avevo lasciato nessuno.
E allora
perché?
Forse
fuggivo da qualcosa e non da qualcuno, ma non riuscivo a capire quel qualcosa
cosa fosse per me.
La mia vita sinora
era solo un susseguirsi di gesti precisi, di visite, di pranzi e di cene, di
pomeriggi nella sala tv.
Avevo Laura che mi parlava, si sedeva vicino a me , mi guardava con i suoi occhi
azzurri come il cielo di un giorno di primavera, mi schiacciava l’occhiolino, mi raccontava i suoi ricordi, aveva 20 anni.
A proposito
io sono convinto di aver compiuto 30 anni ma a volte mi assale un dubbio sulla
veridicità di questa convinzione.
A volte
riuscivo a seguire Laura, ad ascoltarla , ma poi perdevo la concentrazione,
ogni tanto annuivo e le accarezzavo la
testa e i suoi capelli lisci e morbidi.
Quando gli
zii venivano a trovarla le portavano tanti dolci che lei non poteva mangiare perché
era grassa e le facevano male.
Allora lei
veniva nella mia camera, di notte, e me li metteva nel cassetto del comodino. La sentivo arrivare
con il passo incerto e il respiro
trattenuto.
Erano sempre
cinque i dolci che trovavo al mattino, cinque come le dita di una mano.
A parte
Laura nessuno mi parlava, o meglio gli infermieri mi parlavano per dirmi che dovevo prendere le
pastiglie e che dovevo lavarmi.
Una volta mi
dissero che avevano bisogno di me perché ero un ragazzone robusto, dovevano
legare al letto un ragazzo, Fabio, che continuava a scappare. Io mi rifiutai
e così per punirmi legarono anche me.
Mi
lasciarono legato una settimana, non potevo toccarmi, grattarmi, girarmi, mi davano da mangiare e da bere, gridai
per ore dicendo che sarei morto.
Tra le cose
belle di quel luogo c’erano Castore e
Polluce, erano belli da ricordare, due
fratelli irriverenti e senza scrupoli, saltavano sui tavoli e mangiavano tutti
gli avanzi.
Di notte
sceglievano il letto più comodo e si acciambellavano per dormire, preferivano
quelli che avevano le lenzuola fresche
di bucato.
Ero felice
quando sceglievano il mio letto, li accarezzavo a lungo, avevano il pelo folto
e lungo, gli occhi gialli che nel buio di quella stanza erano un faro nella mia
notte.
Mi appagava
sentire il loro piacere. Amavo quei gatti ma sapevo che non mi avrebbero mai
cercato.
E
allora, mi chiedevo ancora “da chi sto
fuggendo?”
Il treno
andava veloce e mi piaceva la sensazione
che mi stesse portando via, lontano
dalla mia solitudine.
I miei
pensieri erano lenti , nascevano e si trasformavano in altri pensieri sempre
più ricchi di ricordi di immagini e di parole non dette, nascoste dappertutto,
introvabili anche per me.
Quando il
treno stava per arrivare alla stazione di Terni, presi la decisione di scendere da quella comodità ,
di andare incontro al mio nuovo destino.
Presi il mio zainetto e mi avvicinai alla porta di
uscita.
Mi chiesi preoccupato dove sarei andato con due soldi in
tasca, senza nessuno che mi potesse aiutare, solo come un fiore rosso appena
nato in un muto e bianco ghiacciaio.
Il treno si
era fermato quando sentii un fruscio sulla mia gamba destra, pensai alla
valigia di un altro viaggiatore dietro me e non mi voltai.
Poi però un
cane abbaiò e subito lo riconobbi, era Gaspare.
Abbaiava ed
era come se mi dicesse “allora sono qui, finalmente ti ho trovato e tu che fai?
Non mi dici niente? Non mi stringi a
te??”
“Gaspare
come hai fatto a raggiungermi? Mi hai seguito? Gaspare come sono felice di
vederti” lo stringevo forte a me e lui mi leccava e guaiva tutto agitato.
Ti sono
bastate due carezze al giorno Gaspare per volermi così bene!Ora starai con me e
non saremo mai più soli.
Quel fiore
rosso solo nel ghiacciaio Gaspare l’aveva trovato e ora lo teneva con se.
Manuela
"Ti sono bastate due carezze al giorno per volermi bene".... si accontentano di poco i nostri amici a quattro zampe!! :-)
RispondiEliminaBrava, Manu!
Flavia
Non so chi tu sia o se mai leggerai, ma ti dico solo una parola: Grazie
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