Era
andato da poco in pensione e tornato al paese. Quella casa era stata
una manna dal cielo, spaziosa e a poco prezzo. Certo, trascurata e
dall'aspetto un po' sinistro, ma lui era appassionato di bricolage e
con tutto quel tempo libero...
La
prima notte, però, fu un disastro: porte che sbattevano, risate
sataniche, rumore di catene, il letto che tremava... e alle quattro
del mattino un quadro si staccò dal muro e gli crollò sulla testa.
La
mattina dopo era incazzato nero.
Chiaro
che la casa era stregata e per questo non costava una minchia. Chiaro
che della cosa se ne fotteva. Figuriamoci se si faceva mettere sotto
da qualcosa che non esisteva neppure.
Per
quarant'anni aveva fatto l'addestratore di cani, per l'esercito e la
polizia. Aveva imparato che esiste una regola universale per educare
chiunque, cani, tigri o cristiani: premiali quando si comportano bene
e puniscili quando sbagliano. Non vedeva perché non dovesse
funzionare con quegli ectoplasmi del cacchio.
Prese
una mazza da demolizione e scese nel seminterrato. Stando di fronte a
una delle colonne portanti, si rivolse direttamente alla casa, ad
alta voce: “Stanotte hai rotto i coglioni... ora vediamo chi rompe
di più!” e giù una mazzata. Poi un altra, e un'altra. Sentiva il
cemento vibrare sotto i colpi, mentre frammenti di intonaco
schizzavano qua e là. Gli parve pure di sentire un lamento, un
ululato basso, ma forse se l'era solo l'armatura di cemento che
vibrava.
“Bene
-disse- per questa volta te la cavi con un calcio negli stinchi, ma
vedi che non si ripeta più”
Quella
notte dormì come un bambino, a quanto pare qualcuno aveva capito chi
comandava.
Premiali
quando si comportano bene, pensò, e si mise a dare l'impregnante
alle perline di legno.
Ma
sarebbe stato troppo bello pensare di aver vinto la guerra dopo una
sola battaglia.
Qualche
giorno dopo l'acqua raggelò mentre faceva la doccia, poi cominciò a
colare sangue dal doccino. I pensili della cucina si spalancarono,
spargendo il loro contenuto sul pavimento.
Gli
saltò la mosca al naso, quella stronza di casa aveva esagerato: col
cavolo che lui puliva quel disastro.
Guardò
le previsioni del tempo, lo attendeva un fine settimana freddo ma
soleggiato: perfetto.
Salì
sul tetto e tolse tre metri quadri di tegole. Aprì le finestre e le
bloccò con il filo di ferro. Poi scese in cantina e spense la
caldaia. Infine disse forte e chiaro: “Io me ne vado a pescare due
giorni. Quando torno dev'essere tutto pulito. Altrimenti il freddo
che sentirai domani lo ricorderai con nostalgia” e per sottolineare
il concetto mollò altre due mazzate alla solita colonna.
Mentre
pescava pensava al vento di gennaio che gelava i muri, al legno degli
assiti che si crepava, alla brina che ricopriva il piano di marmo
della cucina. Soddisfatto, ridacchiava.
Quando
tornò la cucina era pulita, nei pensili le scatole erano disposte
per ordine di grandezza. Sistemò le tegole e fece andare al massimo
il riscaldamento. Questa vola fu sicuro di sentire un sospiro di
sollievo. Diede la cera ai pavimenti e promise ad alta voce di
verniciare le persiane. Poi falciò il prato.
Sei
mesi dopo, viveva nel paradiso degli amanti del fai da tè. Passava
l'antiruggine sulle ringhiere, carteggiava i gradini in legno,
sistemava i mobili traballanti. Intanto la casa, sotto le carezze del
pennello, faceva le fusa con un rombo sommesso. La sera il letto lo
cullava muovendosi dolcemente mentre una voce lontana gli cantava
struggenti ballate. La mattina quando si svegliava i pavimenti erano
sempre puliti e i piatti, che aveva lasciato sporchi nel lavandino,
gocciolavano dallo scolapiatti, divisi per tipo.
Per
niente al mondo avrebbe cambiato casa.
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