L'autunno si era travestito da inverno:
tutte le mattine si alzava una nebbiolina fredda e appiccicosa e
pioveva un giorno sì e l'altro pure. Gli alberi si vergognavano di
essere nudi già alla fine di ottobre. Chissenefrega: mia moglie,
stavolta, aveva avuto l'idea giusta: 15 giorni di vacanza a Palawan,
sud-ovest delle Filippine, un'isola verdissima e tropicale fuori
dalle solite rotte o, per dirla come il depliant, “uno smeraldo in
un mare di turchesi”. Per farvi capire di che umore ero quando
partimmo, vi dico solo che già in aereo portavo il costume da bagno
sotto la tuta, e a metà del volo mi infilai le infradito.
Per la verità, a Manila il benvenuto
non fu granché: una pioggerellina sottile sporcava le vetrate
dell'areoporto. Mia moglie sentenziò: “ che c'entra, qui siamo
molto più a nord, e poi è il microclima della città...”. Per la
seconda volta aveva ragione: il giorno dopo a Palawan era una
giornata da cartolina, roba che il depliant gli faceva una sega:
ventinove gradi, mare cristallino, vegetazione rigogliosa... e il
resort, che spettacolo! Un pugno di palafitte in mezzo al nulla, una
lingua di sabbia e sole e mare, mare e sole.
La mattina dopo, però, ci svegliammo
sotto la pioggia. Mia moglie minimizzò: “è un acquazzone
tropicale, tra mezz'ora passa”. Ma ne aveva dette due giuste e la
statistica non mente, per altri cinque anni non ne avrebbe azzeccata
una.
Comunque, dopo due ore stavamo ancora
lì, e non c'era molto da fare in quella cacchio di palafitta senza
neanche un televisore, così facemmo l'amore, per la prima volta dopo
mesi. E nel pomeriggio, mentre la pioggia picchiettava romanticamente
sul tetto, lo facemmo ancora. Dopo cena, mia moglie mi fece un
sorriso strano, malizioso... fu a quel punto che tirai fuori le carte
e proposi una partita a burraco, perchè mica sono fatto di ferro.
La mattina dopo pioveva ancora e così
mi avviai verso il bungalow della reception per sentire le previsioni
del tempo dagli indigeni. Sfoderando il mio migliore inglese chiesi:
“the time.. domani... beautiful, yes?”. La filippina al banco
sorrise. Mimai delle gocce di pioggia, o forse l'attacco di un orso,
poi l'illuminazione: “the rain...”.
“Oh” -fece quella- do you want to
know something about the weather?”
“Eh?”
“Just a moment” - disse, e sparì
nel retro.
Dopo qualche secondo uscì un ometto
basso, che doveva aver fatto il maggiordomo in Italia, perché
esordì, sempre sorridendo: “Questa è stagione di pioggia”.
Sbiancai.
“Ma tu non preoccupare, due-tre
settimane tutto finito”
“Cooosa? E che ci faccio qui...”
“Oh divertente qui: giovedì viene
signore per massaggio, sì, e domenica ballo tradizionale”
Balbettai “Ma, ma, ma... e gli
altri?”
“Non c'è altri, altri viene a
dicembre, stagione secca. Noi tutti per voi!” e giù un sorrisone.
“Ma porco ****!” e giù un
bestemione epico.
Il filippino raggelò: mi indicò
imperioso il crocefisso alla parete: “Se tu vuoi bestemmiare, va da
un'altra parte!”
“Magari!”
Tornai alla palafitta imprecando, tutta
colpa di quella stronza che si era fatta infinocchiare! Palawan del
cazzo! Mia moglie abbozzò una difesa, ma la stroncai sul nascere;
seguì un litigio furioso, sicché mi scordai l'unico passatempo
decente per tutti i giorni che seguirono: cinque giorni di pioggia,
noia e burraco, prima di trovare un biglietto a prezzo spropositato
per tornare a Milano.
A Malpensa un sole abbagliante mi
attendeva per sfottermi. Il tassista, saputo che venivamo dalle
Filippine, si lanciò: “ma io ho una nuora Filippina, ci sono stato
l'anno scorso: che paese meraviglioso, che sole, che spiagge!”
“Si fermi.”
“Cosa?”
“Si fermi, porco ****, voglio
scendere”
“Ue' cicetti, se devi bestemmiare,
vai da un'altra parte!”
“Dai caro, non fare il matto” -
fece mia moglie.
“Ma vattene affanculo tu e le
Filippine” dissi al tassista, o forse a mia moglie o al mondo
intero, e saltai giù che l'auto non era ancora ferma, correndo non
so dove.
Vidi giusto il cofano della macchina
che mi veniva addosso, e feci in tempo a notare l'adesivo che aveva
sul parabrezza, quello contro il nucleare con il sole, il sole che
ride, 'sto stronzo.
Mi svegliai in quest'ospedale di suore,
dove sono in trazione da sei settimane, immobile sul letto a guardar
fuori dalla finestra. Vedo solo un albero spoglio e una fetta di
cielo grigio. Piove, piove da giorni. La madre superiora mi tiene il
pappagallo mentre piscio.
Il cellulare suona, è mia moglie che
sta facendo la settimana bianca, mi manda la sua foto con
l'istruttore di sci, sorridenti nella neve che riflette il sole
limpido tra le montagne. “Ma porco ****... ahhh!” La suora mi
strizza le palle. “Se vuoi bestemmiare, va da un'altra parte!”
Piagnucolo:“Magari!”.