Antonio Salieri - Immagine dal web (fotogramma dal film Amadeus) |
Nel
crepuscolo della mia vita, ormai consapevole della fallacità delle cose umane,
attendo che le mani misericordiose del Signore stringano le mie, perdonandomi
per averle elevate a strumento miracoloso che più mi fece sentire uguale a Lui.
Ebbi
in dono queste mani non certo per lavorare la terra ma per rendere gloria a Dio
nella più alta arte che è la musica.
Per
anni trasformai in musica la passione dell’amore e la rabbia inconfessabile, la
gioia e la tristezza che compite nella mia mente gelosamente custodii,
ritenendo che ancora nessuno strumento creato fino ad allora avesse una voce
tanto celestiale che fosse degna di pronunciare la mia arte. Studiai per anni
prima di posare le mani sul legno di uno strumento finché incontrai un altro
uomo prescelto dal Signore, anch’egli con un dono divino, le sue mani traevano
dal legno i suoni dell’universo, donava la voce di Dio alle sue creature, una
voce che nessun umano aveva mai sentito prima.
Così
tutto mi parve compiuto, volli liberare sullo strumento l’infinità di note che
per lungo tempo, gelosamente tenni chiuse in me.
E
finalmente la voce di Dio giunse sulla terra, dalle mie mani uscirono tante e
tali melodie che ogni uomo al mio cospetto, nel sentire la musica che scaturiva
sotto le mie dita si inginocchiava alla mia grandezza, la mia arte faceva
scaturire lacrime anche a coloro i quali mai avrebbero creduto che la
compassione dimorasse nel loro cuore, e a quelli ai quali la vita aveva negato
ogni felicità, la luce dell’arte mia illuminò le loro anime donandogli la
certezza di poter gioire un giorno nella gloria del Signore.
Dai
potenti di tutto il mondo fui accolto e reclamato. Avermi al loro fianco li
elevava al rango di grandi uomini ed io li elevai nella schiera degli immortali
con l’arte che ero io stesso.
Mi
allontanai dal mondo, navigai tutte le acque del conosciuto e pensai di poter
navigare nello spirito stesso del cielo e della terra.
Gli
uomini mi tributarono ogni onore e gloria. Li accettai, nella convinzione che
fosse solo il giusto tributo alla mia grandezza, osai rivolgere lo sguardo al
Signore nostro Dio e lo guardai dritto negli occhi.
Peccai,
fortemente, a lungo. Peccai di presunzione, peccai credendomi al di sopra di
tutti gli altri uomini, anche di colui che per me modellò lo strumento che chiamai
“anima mundi”, peccai non riconoscendo a Dio il merito della mia grandezza.
Finalmente
queste mani tremanti che non sanno più compiere i gesti perfezionati in tanti
anni di rituale ormai collaudato; gli esercizi che ho ripetuto infinite volte
per sciogliere le dita li ho anche questa volta eseguiti perché necessari,
fondamentali per la buona riuscita della mia arte ma finalmente ormai nulla può
fermare il tremore che le rende umane; fatte di carne ed ossa, rigide e
doloranti come quelle di ogni altro miserrimo piccolo uomo, non sanno più
elevarmi fino a Dio, ed allora finalmente posso inginocchiarmi al Suo cospetto
per chiedergli umilmente perdono nella speranza di essere accolto tra le sue
mani veramente artefici di ogni meraviglia dell’universo, sperando che Egli mi
assolva per aver creduto di essere in terra fra tutti i miei simili mortali
l’unico uomo le cui mani erano quelle di Dio.
Luigi
Zamproni