"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater

venerdì 30 dicembre 2011

Ho pestato una merda

Ho pestato una merda.
Una bella giornata, non c’è che dire.
Pestare la merda porta bene.
Una giornata fortunata.
Peccato che l’ho pestata con il piede destro e quello che porta fortuna è il sinistro.
Fantastico!
Sono riuscito a trovare il peggio anche nella sfiga.

Scendo le scale della metropolitana, sperando almeno di trovare uno di quei giornali gratuiti, che fanno talmente cagare che uno se li tiene per impilarli nel bagno dell’ufficio.
Erano mesi che non entravo in una stazione della metropolitana. Anzi, erano mesi che non prendevo i mezzi pubblici.

Considerando che la giornata è iniziata male mi ritengo fortunato: c’è ancora una copia nel distributore. Mi avvicino a grandi passi, lasciando grandi impronte. Di merda.
Mentre osservo le tracce lasciate sul linoleum della stazione della metropolitana, come un moderno Pollicino merdoso, mi viene rubata sotto il naso l’ultima copia disponibile.
E adesso?
Adesso dovrei riuscire a trovare qualcosa per pulirmi la suola delle scarpe.
Sto pensando…

Forse potrei comprare un giornale e pulirmi con quello.
A parte il fatto che costa quasi un euro e pulirmi le scarpe con quasi un euro mi fa quasi girare le palle; non saprei quale testata si meriti un tale gesto.
Me ne vengono in mente due o tre ma poi mi dà fastidio spendere quasi un euro per comprare uno di quei giornali, anche se poi lo uso soltanto per pulire la merda da sotto le scarpe.
Cosa faccio? Mi metto a sovvenzionare quelle teste vuote solo perché ho le scarpe sporche di merda?
Lasciamo stare l’idea del giornale.

Per una volta potrei fare colazione al bar. Cappuccino e brioche, con tanti tovagliolini di carta per pulirmi le scarpe. I tovagliolini però sono piccoli, potrei sporcarmi le dita. E poi i tovagliolini che ci sono nei bar non sono mica assorbenti; sembra che abbiano un patina che li rende impermeabili. Finché hai un pezzo di brioche che è rimasto appiccicato alle labbra, tutto bene, ma se appena una goccia ti cade sul mento, grazie a quel tovagliolino te la trovi anche sulle scarpe.
Pensa che bello: tolgo la merda dalla suola della scarpa destra e me la ritrovo sulla tomaia di quella sinistra.
Anche l’idea del bar è scartata.

Allora me ne devo andare in giro con le scarpe sporche di merda?
Pare di sì.
Timbro il mio biglietto, come da regolamento, ma il controllore che sta nel gabbiotto mi guarda storto.
E che naso ha, questo?
Vuoi dire che gli è arrivata la puzza fin dentro al gabbiotto?
Si alza ed esce.
Cosa diavolo vuole adesso?
Cos’è? Non si può prendere la metropolitana se si puzza di merda? E quelli con l’alitosi? Giuro, ho un amico che ha l’alito che sembra proprio la mia scarpa destra.
“Scusi mi fa vedere il biglietto?” mi fa l’incaricato dell’azienda tranviaria.
“Prego.” Faccio deciso, con scioltezza, spostando istintivamente il piede destro dietro di me.
Il controllore osserva il biglietto e scuote lievemente il capo.
“Tsk, tsk” fa lui.
“Scusi?” gli faccio io.
“Questo biglietto non è valido.”
“Perché? L’ho timbrato adesso. Cos’è, già scaduto?”
“No, è semplicemente obsoleto.”
E questo da dove arriva? Da lettere antiche?
“L’ho obliterato adesso.”
“Non obliterato, ho detto obsoleto.”
“Ho capito, non sono mica analfabeta. L’ho obliterato adesso e quindi non può essere obsoleto.”
“Senta, ho detto obsoleto perché è stato sostituito, ce ne sono di nuovi.”
“E quindi?”
“E quindi questo non è più valido.”
“O merda!”
Il controllore mi guarda le scarpe. Lo sapevo, come ho detto merda quello si è immediatamente accorto della puzza.
Tra l’altro un paio di ragazzini si sono fermati per godersi la scena.
C’è il controllore che ha beccato un trasgressore, tra l’altro di mezza età.
Piano, un momento: che mezza età, cazzo, ho solo quarant’anni e… bè, effettivamente quarant’anni sono la metà di ottanta che, più o meno, è diventata l’eta media, anzi un po’ meno.
Quindi io avrei addirittura superato la mezza età.

Proprio una bella giornata. Ho scoperto da qualche secondo di essere già nella fase avanzata della mezza età, ho un biglietto obsoleto, obliterato di recente ma comunque obsoleto, e ho le scarpe piene di merda; solo la destra ma comunque…

Il controllore mi guarda divertito. Un paio di signore mi osservano mentre superano i tornelli, col loro bel biglietto fresco di stampa, tutto colorato, e storcono il naso.
Forse la puzza arriva fino a loro? Spero di sì, altrimenti perché avrebbero dovuto storcere il naso? Sono già così conciato? Bè un uomo di mezza età può anche essere sgradevole alla vista.
Fermi tutti, adesso mi girano le palle!
Vada per l’uomo di mezza età ma c’è un limite a tutto.

“Allora, cosa devo fare? C’è da pagare una multa?” l’uomo di mezza età prende sempre l’iniziativa.
“Senta, faccia una cosa:” mi sembra comprensivo. In fondo non è poi così cattivo come i controllori della nostra immaginazione “torni indietro e compri un biglietto valido all’edicola”.
L’edicola…
Potrei anche comprare il giornale, per le scarpe.
Ah, no, quella l’avevo già scartata.
“La ringrazio. Non sapevo proprio.”
“Non c’è problema. Questo lo tengo io.” E fa sparire il biglietto obsoleto, obliterato.

Torno sui miei passi, che hanno lasciato ancora l’impronta e sento la puzza di merda che ora cha cominciato ad invadere anche gli ampi spazi della stazione.
Mi guardo la suola, evitando di farmi notare, appoggiato alla parete dell’edicola. Ecco un altro segno della fortuna: che scarpe ho messo stamattina? Scarpe con il carrarmato. Metti che piova… metti che pesto una merda di cane almeno quella s’incastra alla perfezione sotto la suola.
Infatti questa si è perfettamente adattata alla suola e i miei passi la stanno comprimendo per bene, creando un impasto degno di un pluridecorato levamerda.
Solo che io non sono pluridecorato.
Non ho nessuna intenzione di comprare un biglietto nuovo. Faccio il giro, dall’altra parte dell’edicola, lontano dallo sguardo del controllore e do un’occhiata al cestino.
Figuriamoci!
Oggi è una giornata di merda e non posso sperare di trovare un biglietto non obsoleto, anche se obliterato.
Bingo!
Mai abbandonare la speranza.
Ora vado in edicola, facendomi notare dal controllore.
“Buongiorno!” dico all’edicolante.
“Buongiorno.” Risponde questo senza nemmeno alzare la testa.
Me ne torno verso i tornelli.
Sarà un’impressione ma sento ormai addosso gli occhi di tutti.

Cosa succederà una volta sul treno della metropolitana? L’olezzo si diffonderà per tutto il vagone e non ci vorrà molto a percepire la fonte di tale diffusione. Mi additeranno, mi insulteranno, mi costringeranno ad uscire dal vagone per evitare che qualcuno dia di stomaco.

Passo il biglietto nell’obliteratrice. Il controllore mi sorride. Non sarà mica gay?
Per carità, niente contro i gay, sono persone che sanno quello che vogliono; solo non coincide con quello che voglio io. Poi, per il resto, viviamo perfettamente l’uno a fianco dell’altro.
Solo che non tutti la pensano come me: l’intolleranza. Ecco, mi sento come un omosessuale circondato da etero intolleranti. Un nero tra membri del KKK, uno con le scarpe piene di merda (solo la destra) in mezzo a gente col naso delicato.

E’ fatta!
Sono passato. Il controllore ha dato solo un’occhiata distratta.
Scendo le scale, non troppo di corsa, perché la merda fa scivolare. Ci mancherebbe solo di cascare a terra, facendo partire schegge di merda giù per le scale.
Forse però qualcosa potrei fare. Adesso scendo, mi appoggio ad un muro e batto il piede contro la parete, facendo finta di sentire un motivo nella testa che non mi fa stare fermi i piedi. E se poi mi casca tutta quella roba per terra? Dovrei spostarmi in continuazione. E se mi schizza sui pantaloni?
Altra idea da scartare?
Direi di sì.

Dovrei far finta di niente e prendere il primo treno in direzione dell’ospedale.
Cazzo, l’ospedale. Vuoi vedere che non mi conviene ritirare l’esito degli esami?
E se fosse davvero una giornata storta?
Quasi quasi torno a casa.
E già… oggi mi sono tenuto libero, per andare a ritirare gli esami e portare Nadia a fare un giro sul lago. Non posso permettermelo.
Nadia aspettava da tempo questo momento.
Potrei andare da Nadia senza ritirare gli esami.
Ma dai… non posso fare lo struzzo. Cosa vuoi che sia? E poi proprio non ce la faccio: devo andare.
Salgo sul treno e non c’è posto a sedere.
Mi appoggio alla porta che sta sul lato opposto a quella della salita. Incrocio le gambe e vedo un pezzo marrone staccarsi dalla suola della mia scarpa.
La puzza comincia a diventare più fastidiosa.
Mi concentro per mantenere i piedi ben piantati a terra, tenendo la schiena poggiata alla porta che rimarrà chiusa.
E se si aprisse all’improvviso? Oggi potrebbe anche accadere.
C’è quel signore di fronte a me, a un paio di passi, non di più. Perché mi fissa in quel modo. Un altro gay? No, mi sa che ho qualcosa che non va. Come può pensare che questo terribile puzzo di merda sia colpa mia?
Ci dev’essere qualcos’altro. Guardo nuovamente le mie scarpe e, in effetti, noto dei pezzi di merda che spuntano dalla suola, proprio nella direzione dell’uomo di fronte a me.
Che la merda abbia una vita propria?
L’uomo sorride.
Gli sorrido anch’io.
Distoglie lo sguardo ma non perde quell’aria divertita. Adesso gli vado di fronte e gli chiedo che cosa vuole. Se ha qualcosa da dirmi che me la dica in faccia.
Ma lasciamo stare, è almeno il doppio di me e potrebbe anche incazzarsi. Lasciamolo contento. Mi sposto di qualche centimetro, approfittando di una culona che mi copre la visuale e protegge le mie scarpe dalla vista dell’energumeno con la ridarella.
Il riso abbonda sulla bocca degli stolti! L’ho sentita da qualche parte e non l’ho mai condivisa… sino ad oggi.
Quello è sicuramente uno stolto, anzi, meglio, un cretino.
Fra due fermate devo scendere.
Il puzzo è diventato davvero insopportabile. Mi guardo un po’ in giro e – come temevo – noto che parecchie persone mi stanno osservando. Lo sapevo, non potevo evitarlo. Se ne sono accorti tutti. Chiedo permesso e, come d’incanto, si spostano tutti. Quando prendevo la metropolitana dovevo sempre spingere per riuscire a raggiungere l’uscita mentre oggi – potere della merda – in un lampo mi trovo davanti alla porta, a fianco dell’uomo dalla risata facile.
Quasi quasi prima di scendere gliene spalmo un po’ sui pantaloni.
Quasi m’avesse sentito,lo stronzo (lui) si sposta e lo manco di un soffio.
Scendo e vengo travolto dall’onda umana che si dirige verso le scale mobili.
Gli scalini sono zigrinati.
Che idea!
Potrei far scorrere le scarpe avanti e indietro ed utilizzare le scale come uno zerbino. Così poi tutto si fermerebbe in cima alle scale.
Potopom potopom potopom… un sobbalzare fetido che accompagna la salita di uomini, donne, bambini. Una meraviglia.
E se poi qualche vecchietto ci posa il bastone e scivola?
Non potrei perdonarmelo.
E poi lo spessore della zigrinatura antiscivolo non è così alto da penetrare nel carrarmato delle mie scarpe.
Niente da fare. Altra idea scartata.

Sento ridere alle mie spalle.
Ancora?
Insomma e che sarà mai?
Per un po’ di puzza di merda!
Vi capita mai di entrare in bagno dopo che ci siete stati proprio voi che ridete?
E allora?
Un ragazzino mi supera e mi guarda, ride e sale le scale mobili di corsa.
Maleducato!
Questi ragazzini sono odiosi, non sanno cosa sia il rispetto delle persone di mezza età.
E quand’ero ragazzo le persone di mezza età erano decisamente insopportabili.
Sono sempre circondato da esseri umani insopportabili.
Certo se i ragazzini avessero la testa di noi di mezza età, come l’avevamo noi da ragazzini… insomma sarebbe decisamente un mondo migliore.

Salgo le scale fingendo di non notare le risatine di quattro vecchie cornacchie che mi stanno dietro. Un signore, di molto più che mezza età, un paio di persone avanti a me, si volta e mi guarda.
Che c’hai da guardare, dico io?
Girati che se no ti viene un’emiparesi facciale, idiota!
Comincio a perdere la pazienza. Fortuna che siamo in cima e fra un po’ esco all’aperto. Tutta questa puzza che mi porto dietro è parecchio fastidiosa, effettivamente. Magari all’aperto trovo un po’ d’erba per pulirci le scarpe.
E se nell’erba c’è dell’altra merda?
Sarebbe fantastico: merda scaccia merda. Praticamente prenderei le scarpe e le butterei nel cestino.
E poi dove trovo dell’erba in giro per Milano? A parte quella da fumare, dubito che se ne trovi ancora in giro, di quella da calpestare.
Altra idea fallita.

Ecco le scale per l’uscita. Un mendicante mi osserva e ride, un piattino colmo di monete ai suoi piedi..
E no, questa proprio no.
“Cazzo vuoi?” questa volta mi è scappata, tra l’altro a voce alta, così adesso mi guardano proprio tutti.
Quello ride.
Lo supero di corsa e salgo le scale, due gradini alla volta. Chissà che qualche pezzo di merda abbia trovato rifugio proprio nel piattino di quello stronzo (il mendicante).
Respiro a pieni polmoni l’aria milanese. Forse era meglio la puzza che mi circondava al chiuso. Tossisco, sento i polmoni bruciare.
Stanno asfaltando un tratto di strada e tutto il fumo del catrame mi arriva dritto in gola.
Dimenticavo che questa giornata non poteva migliorare all’improvviso. Mi allontano dalla zona piena di fumo e mi trovo ad un incrocio.
Erba?
Figuriamoci.
Un bar. Ancora un’idea legata ad un bar.
Potrei entrare e andare in bagno. Con l’aiuto dello scopino del water potrei togliere tutto quel disastro che si annida sotto la suola della scarpa destra.
Potrei anche farlo.
Idea approvata. Finalmente un’idea decente.
Entro nel bar e ordino un caffè. Niente brioche, mi è passata la voglia.
Figuriamoci se il barista non si mette a sogghignare.
“La toilette?” faccio finta di non aver nemmeno visto.
“In fondo a destra.” Avrei anche potuto evitare di chiedere…
Entro nel bagno e chiudo la porta.
Già che ci sono faccio una pisciatina, che non guasta.
Mentre il getto cerca di centrare la piccola (sempre piccolissima) riserva d’acqua che si trova al centro della tazza di ceramica, gli occhi colgono la desolante immagine del locale sprovvisto dello scopino.
E adesso?
La carta igienica è di quello a mezzo velo (per risparmiare… barboni!) e quindi è impensabile che mi imbratti le mani.
Tiro lo sciacquone ed esco, incazzato come un muflone. Non pago nemmeno il caffè. Servizio di merda, appunto.

Raggiungo in meno di due minuti l’entrata dell’ospedale. Che poi non è proprio un ospedale, è un centro che fa analisi di laboratorio.
E’ che mi piace chiamarlo ospedale.
Quello vero lo chiamo clinica.
E la clinica?
Semplice non ci sono mai andato, né ci andrò mai. Non posso mica permettermela.
C’è qualcuno che chiacchiera proprio davanti alla porta d’ingresso.
“Permesso.”
Questi mi guardano e a uno proprio non riesce di trattenere una risata.
Li odio quelli che non sanno trattenersi.
Guarda che belle queste pareti, piene di quadri.
Ce n’è uno che mi ricorda un sacco la casa in montagna dei miei nonni. Non è un quadro che raffigura una casa di montagna, anzi, è una foto della Luna, solo che la mia nonna ne aveva uno identico, nella casa in montagna e allora mi piace.
Eccolo.
E’ proprio in fondo alla rampa di scale. Me lo ricordo benissimo.
Apro la porta a vetri e vedo la signorina della reception.
Quella quando mi vede sgrana gli occhi.
Devo solo ritirare delle analisi e poi andare da Nadia, finalmente, per portarla al lago. Sono anni che me lo chiede e io non l’ho mai portata.
La signorina sta parlando al telefono. Sembra piuttosto agitata.
Mi avvicino al bancone e quella indietreggia con la sedia.
La puzza di merda dev’essere arrivata fino a lei.
Mi guarda un po’ impaurita.
“Buongiorno signorina Claudia.”
“Buongiorno Orazio.”
E’ bello conoscere un sacco di gente. Qui poi sarebbe meglio conoscere meno gente possibile ma un po’ di amicizie non guastano, in certi ambienti.
Sento un trambusto alle mie spalle.
Jacob e Pierluigi.
Uno dei due è ebreo. Niente da dire, per carità, non sono mica razzista, anzi. Solo che lui l’abbiamo sempre chiamato l’ebreo. Lui mica lo sa. E’ alto quasi due metri e fa palestra per gonfiare i muscoli. Spesso la sua divisa si gonfia talmente tanto che sembra sul punto di esplodere.
“Ciao!” gli faccio appena lo vedo.
“Orazio, stavolta l’hai fatta grossa.”
“Io? Veramente è stato quel cane merdoso che l’ha fatta grossa. Guarda qui, Jacob.”
“Lascia perdere. Scappare e mancare per due giorni potrebbe metterti davvero nei guai.”
“Uh,” sogghigno “scappare da qui è il sogno di tutti. Però non fatemi male questa volta.”
“Chiamo il dottore?” fa Claudia.
“Lo portiamo noi in reparto, non preoccuparti.” Dice Pierluigi.
Jacob mi prende per un braccio. Non mi conviene reagire, è troppo forte.
“Cosa diavolo ci fai in giro in pigiama?” Jakob non è cattivo.
Mi tiene stretto ma non mi fa male.
“L’abbiamo trovato.” Jacob parla alla sua radiolina. “E’ qui con noi, tutto a posto.”
“Tutto a posto…” gli faccio il verso, tanto adesso è contento di avermi ritrovato. Finalmente adesso troverò qualcuno che mi pulirà le scarpe.
Sono tranquillo.

MASSIMO CANETTA
Settembre 2004

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