"Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi... " Eliot Rosewater
venerdì 11 ottobre 2013
martedì 8 ottobre 2013
ADDIO
ADDIO
Non sapevo molto di te.. ma questo non mi
impedisce di ricordarmi di te cm se fosse ieri l’ultima volta che c siamo
incontrati..
Quelle volte che andavamo a pranzo dai
nonni, e su quel tavolo in sala alla sinistra del televisore in via Civitali ci
saziavamo con tre piatti di lasagne al forno, e brindavamo con qualche calice
di vino alla felicità della famiglia che si riuniva per le occasioni speciali.
Eri sempre solare e piena di vita a quell’ estremità del tavolo che dava sulla
finestra. Meritavi sempre il posto a capotavola in fianco al capofamiglia, e come
una regina dominavi la situazione scrutando tutti i commensali con il tuo
sguardo dolce e sincero.
Quelle volte che a natale ci si riuniva sotto
l’albero per trascorrere in allegria il grande evento, e tu trovavi sempre il
modo per non mancare, riuscendoci in ogni occasione. Anche se a volte non eri
in vena di festeggiare non lo facevi mai notare, e sul tuo volto si leggeva
sempre quella grande serenità che aveva il potere di nascondere in ogni
circostanza i tuoi rari malesseri.
L’incontro con i parenti ti faceva stare da dio.
Sapevi sempre come renderti interessante,
avevi sempre una gran voglia di confrontarti con gli altri e riuscivi sempre a
fare il primo passo nelle conversazioni. Questo era uno dei tuoi pregi più
grandi. Era il tuo modo di essere unica, e in 22 anni non sono mai riuscito a
imparare da te quest’arte. Non hai idea di quanto ti invidi e di quanto avrei
voluto essere come te.
Riuscivi a mettere di buon umore chiunque
ti ascoltasse, riuscivi a cogliere i punti deboli anche nei più forti e
riuscivi a trovare il modo per farli ridere. Tutti quelli che avevi di fronte
in qualche modo cadevano nella tua trappola, e in poco tempo di loro riuscivi a
scoprire ogni cosa, a cogliere ogni dettaglio, a interpretare ogni loro segno.
Riuscivi a rinfacciare tutto senza paura
di essere giudicata e senza timore di subire conseguenze. Non ti importava
delle reazioni altrui, del loro imbarazzo, non ti importava dei loro sguardi a
volte sarcastici. Ti importava soltanto di fare il possibile per migliorare la
qualità della vita di chiunque ti stesse accanto. Ti importava soltanto di
avere il prossimo al centro delle tue attenzioni e di metterlo a proprio agio
in ogni circostanza.
Si, questo da te l’ho imparato. Ce n’è
voluto tanto di tempo, ma alla fine ci sono riuscito e per questo ti sarò
debitore per sempre.
Quelle volte che venivamo a trovarti in
Piazza Selinunte in quella casetta così accogliente io facevo sempre il giro di
tutti i locali, come se un giorno quella splendida dimora sarebbe diventata
mia. Mi permettevo persino di entrare in camera da letto e rimanevo affascinato
da quei bellissimi quadri appesi sul muro chissà quanto tempo prima. Uno era
sulla parete a cui era accostato il letto, di fronte a uno specchio antico,
mentre un’ altro occupava la parete a destra rispetto alla porta d’ingresso
della stanza. Mi ricordo anche di un ometto su cui mettevi sempre in bilico i
vestiti che utilizzavi più di una volta. Il salotto era la mia stanza
preferita. Mi ero innamorato di una macchinina che avevi sulla credenza e la
fissavo di continuo immaginando di poterla guidare e di andare ovunque avessi
voluto.
Quando ci sedevamo sul quel divano
piccolino di fronte al tavolo da pranzo a me toccava sempre il posto più scomodo.
Stavo sempre sul bracciolo perché i miei fratelli si accaparravano i posti
migliori per starti vicino e guardarti in quegli occhi splendidi il più a lungo possibile.
Sembravano due stelle luminose. I tuoi occhi
erano sempre accesi, sempre vivi ed espressivi. Dai tuoi occhi si intuiva il
tuo stato d’animo quando non riuscivi a esprimerlo a parole. Si capiva quando
eri felice, quando stavi male, quando ti sentivi a disagio, quando eri
annoiata, quando eri tranquilla, quando avevi paura.. si capiva tutto quello
che pensavi, quello che sognavi, quello che desideravi e quello che avresti
voluto fare. Guardarti negli occhi era come guardare nel tuo cuore.
Quelle volte quando ero piccolo che
entravamo in casa tua e con te c’era la nonna Emidia. Ci dicevate sempre “Belè
Facruscè” o “Scigulin d’or” e noi sorridevamo contenti. Sorridevamo invidiosi
delle attenzioni che ci regalavate e ci sentivamo importanti e speciali.
Quelle volte che io e papà ci
precipitavamo da te quando succedeva qualcosa e ti venivamo in soccorso, o
venivamo per assicurarci che stessi bene dopo qualche piccolo incidente.
Ci prendevamo cura di te e solo dopo
essere convinti al 100% che stessi al meglio toglievamo il disturbo a
malincuore, sperando sempre che quella sarebbe stata l’ultima cosa brutta che
ti sarebbe capitata.
Quella volta che alla festa di una
ragazza che mi piaceva sono entrato in un locale a due passi da casa tua,
guardavo il cancello del tuo palazzo con una gran voglia di venirti a salutare
e di sapere come stavi.
Mi ricordavo dell’ultima volta che io e
papà eravamo venuti a trovarti, non molto tempo prima, e mi sarebbe piaciuto tanto
passare la serata in tua compagnia.
Guardavo le macchine girare alla rotonda
e passare davanti al tuo cancello sperando che qualcuno mi caricasse su e mi
portasse all’ingresso per citofonare e sentire la tua bellissima voce,
probabilmente sommessa a causa della felice sorpresa che avresti ricevuto nel
trovarmi lì a quell’ ora.
Lo stesso giorno di Giugno avevo fatto il
saggio di pianoforte e mi era andato stramale. Mi veniva da piangere perché non
ero riuscito a dimostrare di essermi sbattuto per un anno a imparare un pezzo
ed ero sicurissimo che tu mi avresti ascoltato, che mi avresti capito, e che mi
avresti confortato come solo tu sapevi fare, facendomi uscire di casa felice,
anche se tanto a malincuore.
Uff.. e poi mi ricordo bene quel dannato
giorno in cui hai lasciato casa tua.
È successo tutto così all’improvviso..
L’ho saputo da papà una sera dopo il lavoro e in quel momento sentivo che tutto
sarebbe cambiato. Sentivo che non ci saremmo più visti con la stessa frequenza
di prima, sentivo che mi saresti mancata
di più, sentivo che i nostri incontri sarebbero stati molto più brevi, sentivo
che non ci sarebbe più stato l’affetto di un tempo.
Ma per fortuna tutto ciò non è accaduto.
Nulla è cambiato, e questo è stato soprattutto per merito tuo. Sei sempre stata
forte, sei sempre stata una spanna sopra gli altri, sei sempre stata più
sveglia degli altri, e quando tramite papà sentivo le tue impressioni riguardo
a quel luogo sorridevo e ti pensavo a lungo.
Tuttavia, la tua casetta mi è rimasta
impressa nella mente, mi è rimasta nel cuore. A volte mi capita di rivederla
nei sogni, mascherata in qualche strano modo. Mi manca tutto di quel posto
stupendo. Anche l’odore così particolare mi manca. Era davvero unico e in
nessun altro luogo si poteva avvertire.
Ora Farei di tutto per poter tornare
indietro di qualche tempo, quando ero ospite in quella dimora così ricca di
vivacità e sorrisi, grazie alle tue parole dolci che lasciavano intendere tutto
l’affetto che provavi nei nostri confronti.
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