Se me lo avessero chiesto avrei
risposto no, se l'universo stesso si fosse chinato su di me gli avrei
detto di lasciarmi perdere, che non era il caso, che potevo benissimo
fare a meno di respirare e di tutto il resto della menata.
L'esistenza è un tale frastuono inconcludente, che solo per questo
fa male, un mulinello di polvere e sudore nel sole, una breve pausa
calda e morbida fra due immense infinite lastre di marmo nero, è la
robusta rottura di coglioni che tutti conosciamo, meglio non farne
niente, meglio non cominciare neppure.
Invece eccomi qui, seduto sul sedile
posteriore di pelle consunta e sforacchiata della porche
rugginosa e ammaccata di Joe-Vecchia-Quercia, le converse
posate, con prudenza, sullo spesso tappeto di preservativi usati
appiccicati fra loro; costretto nell'abitacolo ingombro dei fantasmi
grassi di antichi odori rivoltanti, e imbottito dal fumo di canapa
combusta di fresco, tanto consistente da fare lacrimare gli occhi e
scaraventare l'anima fuori dai polmoni. Di lamentarmi neppure lo
metto in conto, sarebbe di certo inutile, ne ottenerei solo spallucce
e allegro sarcasmo.
La musica a tutto volume mi ferisce i
timpani, gli Skiantos... uno due sei nove... uno due sei nove...
ero a casa di mia zia, è arrivata polizia, che volete andate via,
faccio un... Permanent Flebo.
Joe-Grande-Uccello-Sturafiche batte
vigoroso il tempo sul volante di gomma riarsa, con grandi lampi
d'energia, con le mani da vecchio, coi peli bianchi ricci sulle dita
e sul dorso che tremolano, e la chitarra elettrica miagola, che pare
un gatto malato, proprio dentro l'orecchio che mi fa male, e la
batteria rimbomba dietro, fra gli occhi, non esiste nessuno, tu
diventi qualcuno con un Permanent Flebo, e Joe-In-Culo-A-Tutti
attacca a cantare a squarciagola, se tu apri quella porta puoi
trovarci una torta, ma sei trovi una corda fatti un... Permanent
Flebooo.
Sul
sedile anteriore Flora,
cioè mia madre, dondola lenta la testa bionda e liscia, adorna di
due minuscole treccine subito dietro l'orecchio sinistro, fischietta
e si pitta le unghie dei piedi di un notevole e lucido verde prato.
Se ti senti nessuno tu diventi qualcuno con un Permanent
Flebo.
Mi
sfrego la faccia per smorzare il prurito, per un sollievo che mica
trovo. Dopo poco sono costretto a tamponarmi il sangue che
prende a sgorgare ostinato, abbracciato al pus denso e maleodorante,
dagli enormi crateri che ho in faccia, che nella notte emergono come
isole di lava sulla superficie già devastata della mia pelle grassa
d'adolescente sfigato. Che dio ci si è certo messo d'impegno e
d'ingegno, s'è arrovellato il bastardo, si è spremuto per
escogitare questa combinazione d'intrecci futile quanto grottesca che
è la mia esistenza. Ogni tanto s'affaccia, si sporge da lassù, sul
baratro, solo per spiare me e farsi quattro larghe risate maligne.
Quando mi dicono che dio non esiste io rispondo che esiste, eccome,
purtroppo.
Se
hai paura delle streghe fatti pure delle seghe ma se cerchi delle
beghe fatti un... Permanent Flebooo. Sangue
e pus, sangue e pus.
Merda.
Non c'è
liberazione, mi ritrovo in depressione, oh che disperazione, faccio
un Permanent Flebo.
Faccio
un Permanent Flebo. Permanent Fleboo... Permanent Fleboooo...
Permanent Flebooooo...
E'
stupefacente lo so, al limite dell'incredibile, ma la
musica è la somma, l'operato sinergico, la santa alleanza fra un
logoro nastro e il mangiacassette incastrato nella pancia del
cruscotto. Roba primitivissima, di cui vergognarsi come cani, ma
Joe-Super-Cazzone-Numero-Uno-Al-Mondo ne è estremamente orgoglioso.
E' convinto d'avere fatto un gigantesco affare, meglio, di avere
proprio inchiappettato il venditore, che per una cifra simbolica gli
ha venduto la porsche. Il
concessionario, pirla straordinario, sfigato leggendario, non si
sarebbe accorto dello sfarzoso riproduttore ad alta tecnologia di
marca bose (quando il
vecchio Joe-Voi-Non-Capite-Un-Cazzo pronuncia
le due sillabe arriccia un poco le labbra ed emette piano il fiato,
sicché quelle galleggiano in aria un attimo prima di giungere a
destinazione). Meglio: non ne avrebbe saputo comprendere il valore in
quanto emerita testa di cazzo fascista la cui cravatta
manifesta il chiaro desiderio di essere impiccato ad un albero mentre
un alce se lo incula da dietro.
Il
tizio è bersaglio ricorrente degli strali idioti e laidi di
Joe-Ti-Cago-In-Bocca, di
certo provocati
dalla grana che a quello transita numerosa nelle tasche, dalla
splendida villa in collina in cui vive, dall'audi
grigia nuova di zecca posata sul pratino inglese, ma sopratutto per
le gambe chilometriche e le tette colossali della giovane moglie
cubana.
Il
lussuoso boooo-se, che
da solo valeva il prezzo; se è per quello abbandonato sul sedile
c'era pure un mezzo pacchetto di gomme da masticare, a giustificare
la spesa meschina sarebbero bastato quello.
Ne è così fiero, il vecchio, che,
specie quando ha bevuto parecchio, cioè sempre in effetti, arriva
persino a biascicare che, sebbene l'auto, la porscina, per lui
sia come una specie di totem, un'immagine sacra, un altare, un'ostia,
il corpo della sua divinità personale, il sangue del capo dei capi,
cioè dell'unico essere che potrebbe essergli superiore,
l'incarnazione della Fortuna, la Fica Cosmica Spalancata, e che
quindi va da sé sia da lui amata, accudita e coccolata più della
moglie, ebbene, tutto sommato, dice quando è davvero andato,
nonostante ciò, la cosa di cui è davvero soddisfatto è lo stereo.
Il bose, dice che è stato quello a convincerlo ad investire
il grano nell'affare col venditore pirla, quello che, col culo
accarezzato dal duttile refolo della musica quadrifonica
deumidificata, eiacula nelle mammelle cubane, divaricate sul sedile
reclinabile in morbido derma dell'auto lucente, posteggiata
nell'incanto pervasivo della luce lunare, proprio davanti casa, nel
giardino con vista mare.
-Non dovresti andare così forte caro.
Lo sai, il mio karma non lo sopporta. -dice delicata Flora, la
boccuccia ricoperta di rossetto salvia protesa in avanti, seduta a
gambe incrociate, le mani impegnate a sbriciolare erba nel mezzo
guscio di noce di cocco dai cui non si separa mai.
-Naa... ancora con quelle cazzate anni
settanta. -risponde Joe-Cinque-Testicoli mentre succhia uno
stecchino.
-No, bello mio, non sono affatto
cazzate, e non sono mica anni settanta. Sono molto ma molto più
antiche. Persino di te, sciocchino. Vai più piano, per favore, sai
che sono un po' sibilla, io le cose le prevedo.
-Sta minchia prevedi. Eppoi è no.
Eppoi nessuno è vecchio quanto me, questi fluenti capelli d'argento
sono qui a testimoniarlo. La mia esistenza ha radici nel fondo del
tempo. Molto in fondo, parecchio sotto il pavimento. Ho così tanti
giorni sulle spalle che ho paura di cominciare a puzzare.
Joe-Attempato-Longevo-Vegliardo rutta
con voluttà, con tutta l'energia sua e del gas della birra che ha
preso a trangugiare da appena alzato, alle due del pomeriggio. Poi
scoreggia, ma è puro teatro, le produce a comando, è pure bravo a
farlo.
-Tutto era stato progettato da tempo.
La mia venuta era stata annunciata dal movimento di certi astri, e da
una strana fioritura anzitempo dello zafferano nella valle del
Kashmir.
Guida affondato nel sedile, tutt'uno
con la macchina, come un'estensione di quella. Dovrebbero venderle
tutte così le porscine, con al posto di guida un vecchio
scoreggione, in grado di andare a fari spenti nella notte ad occhi
chiusi, ubriaco magari, intanto che disquisisce nei più minuti
dettagli di come si masturba un'anatra, prima di tirarle il collo,
spennarla, marinarla nel succo d'arancia e metterla in forno.
Trattandosi del vecchio laido non necessariamente in questo ordine.
-E dalla nascita di ben due agnelli a
tre teste in una fattoria vicino a Varese. Il che fa sei.
-Sei cosa?
-Le teste.
Fermo al semaforo prende a leccare il
vetro, per eccitare, dice, le giovani occupanti della macchina
a fianco, in evidente crisi da eccesso di desiderio inesaudito,
prodotto dalla
combinazione di
moderni maschi debosciati e confusi e
di dirompenti fuoriuscite ormonali da alimentazione sovra
zuccherina della tipica femmina contemporanea.
-L'unico ridicolo problema,
l'inciampo, c'è stato con la congrega segreta di monaci nella contea
di Kerry, gli adoratori di Sheela.
-Scila, solo il nome mi eccita.
Sta dea, sta Grande Madre, me la farei qui ora mentre guido. Ma solo
dopo averla marinata a lungo, tappandole la bocca con un bel pezzo di
carne dura.
Ride di soddisfazione grassa. Come
possa essere orgoglioso di sé un simile cazzone, avanzo degenere
della peggiore mediocrità, mi risulta inimmaginabile.
-C'erano dei monaci che aspettavano
pazienti la mia venuta da più di due millenni. Sono sempre stati gli
unici a poter interpretare correttamente i segni inviati dal cielo.
Ma la setta si è estinta, nella figura di padre Brown, un prete
centenario ormai cieco per le troppe pippe, negli anni quaranta.
Quindi tutto inutile, quando io sono finalmente giunto non ho trovato
nessuno ad aspettarmi davanti al lettino. Neanche il bue e
l'asinello. E' stata inutile persino il doppio passaggio della
stellona cometa sopra Brembate.
-Soffri di cuore lo sai.
-Io sto benissimo. Eppoi non c'entra
un cazzo.
-Sì invece. Se ti venisse un infarto
ora, a questa velocità allucinante, da astronave aliena, tu
moriresti. Pace, ma noi ci ritroveremmo incastrati in fin di vita nel
guard rail. Sarebbe una tortura atroce, ti pare?!
-Stiamo andando ai trenta all'ora.
Siamo in centro città, non ci sono guard rail dove incastrarsi. Se
vuoi mi do da fare, cerco un muro bello solido, prendo la rincorsa e
via. Non aspetto l'infarto. Vecchia cagna sdentata. Zoccola vizza.
-Non chiamarmi così! Non davanti a
lui! Che ti ho fatto?!
-Parli di un mio ipotetico
infarto e ti preoccupi per voi, per te e per quella mezza sega di tuo
figlio frocio. Delle magnifiche idee che mi ronzano in testa,
patrimonio dell'umanità, che in caso di infarto definitivo
andrebbero perdute per sempre, neppure ti interessi.
-Ritira quello che hai detto! Non dire
più che Ettorino è frocio o mi metto a piangere qui ora e subito.
Guarda comincio già.
-Tranquilla non è frocio. Solo perché
ancora s'incula gli allegri animali della fattoria, quelli di
peluche, specie i pulcini. Solo i maschi però.
Ride rombando, la bocca spalancata, il
viso verso l'alto, la gola tesa, l'intero corpo che vibra.
-E' checca, non c'è niente daffare.
Non c'è da stupirsi con te che continui a chiamarlo Ettorino. Ettore
era un grande eroe, comprendi?! Un corpo perfetto, dono divino e
della dura disciplina, che si è immolato nella polvere. Il suo
sangue, il suo sudore, ancora aperti i suoi occhi, si facevano fango
secco nel sole alto. Il corpo squarciato, l'interno ribaltato fuori.
Non un lamento. Ettore era uno che poteva tenersi l'entragne fra le
mani senza turbamento, poteva guardarle ad occhi asciutti. Ettore era
uno mi spezzo ma non mi piego. Non avrete mai il mio culo vivo. Un
po' come me. Quest'altro Ettore, questo Ettorino, si cava lui
le mutande e apre le chiappe al primo che passa.
Il ridere gli sale dal bacino, ad
ondate sussultorie; coinvolge prima la pancia tesa, ciò lo costringe
a gettare indietro la testa e le spalle, per non esplodere; poi sale
fino al petto, risata rauca, piena di fumo e di tosse, che gli
raschia la gola; infine arriva alla bocca, e alla testa, e lì
esplode nell'ululato felice e selvaggio del giovane lupo vincente.
-Ma è logico, un simile figlio è la
giusta punizione per uno come me, per avere voluto godere troppo, per
essermi fatto dio. Ed è pure un segno, così lo considero, un segno.
E del resto non me ne frega un cazzo.
Una tirata di nicotina rabbiosa,
compressa, il gestaccio rivolto ad un altro conducente. Impresa per
il quale
Joe-E'-Un-Po'-Di-Giorni-Che-Vi-Tengo-D'-Occhio-E-Ci-Penso-Sù-Voi-Non-Valete-Proprio-Un-Cazzo-Di-Niente
sente la necessità di abbassare il finestrino gracchiante,
manualmente, e di sporgere il braccio fuori, bene in vista, con
l'anulare teso nella pioggia, l'unghia scura spessa e rapace da
predatore metropolitano. Tutto senza smettere di guidare, parlare,
strofinarsi la minchia e ghignare, perché lui ghigna molto, in
continuazione. Insomma senza smettere un attimo di compiere frenetico
tutti quegli atti che lo fanno essere lui.
-Capisco e accetto la sua diversità,
anche se non me ne potrebbe fregare di meno. Capisco che con un padre
come me, maschio, virile, potente non poteva che uscirne un pirlotto
difettoso mezzo frocetto. Perché neppure ha le palle di decidere
cos'è, se lo vuole dare, gettare duro oltre l'ostacolo, o se vuole
farsi morbido e accogliente e prenderlo. Ora, anche se io in genere
quelli come lui me l'inculo, lui può stare tranquillo. Eviterò di
calpestarlo come una gigantesca merda, ci girerò intorno. Sono un
papà moderno, contemporaneo, dei nostri tempi, e del resto che cazzo
mi frega?! Vero Ettorino? Dì alla mamma bella dove ti piace
prenderlo.
-In bocca. -rispondo -Sempre in bocca.
-E nel culo? Mai?
-Anche nel culo, ma solo quando non
sono grossi come il tuo.
Joe-Sperma-Che-Più-Denso-Non-Si-Può
ride soddisfatto, apre la bocca, le labbra spesse fremono, s'addensa
quel suo sorriso deforme, da belva, i denti cresciuti sbiechi,
scheggiati e ricoperti di catrame e tartaro, la lingua ingombrante
che esce sussultando come un rettile. Tossisce per la saliva che gli
va giù storta e afferra il piccolo cilum, quello da viaggio, appena
acceso da Flora, mia madre. Scrolla la testa leonina, ride
gorgogliando satanico e succhia.